Consenso coniugale e requisito della fede

Il matrimonio
fra contratto e sacramento


di Giuseppe Sciacca
Prelato uditore della Rota Romana

Con dovizia di ragionamento e di puntuali e abbondanti riferimenti vuoi alla dottrina, vuoi alla giurisprudenza della Romana Rota, vuoi al Magistero, Giacomo Bertolini, giovane ma già apprezzato e maturo canonista, formatosi alla scuola di riconosciuti maestri, quali Paolo Moneta e Sandro Gherro, ha consegnato a due cospicui volumi dal titolo Intenzione coniugale e sacramentalità del Matrimonio (Padova, Cedam, 2008, pagine 296, euro 27)le sue riflessioni su un argomento salebroso, si direbbe con latineggiante parola, ma non certamente astratto, nell'odierna temperie socio-culturale che non manca, naturalmente, di investire la vita e i comportamenti pratici, le scelte esistenziali dei credenti, seppur trattasi di questione che taluno potrebbe considerare come di scuola, per essere essa paradigmatica e per le molteplici rifrazioni che su di essa si proiettano, di natura canonistico-teologica e pastorale.
È la vexata quaestio del rapporto che intercorre tra il consenso coniugale, da cui germina il matrimonio, sacramento e contratto, e la dignità sacramentale che eo ipso sorge dal matrimonio celebrato tra battezzati, come avverte lapidariamente il canone 1055 2 Codex Iuris Canonici.
Occorre da subito rilevare che, senza nulla sottrarre al valore dell'opera che presentiamo, il sottoscritto sarebbe indotto a ritenere conclusa la questione, e cioè che sacramento e contratto, per il battezzato, fan tutt'uno, secondo l'espressione sancita nella celeberrima sentenza rotale, risalente ai primordi della ricostituzione del Tribunale Apostolico, coram monsignor Persiani, del 27 agosto 1910, che definisce proximum fidei il principio dell'inseparabilità tra contratto e sacramento.
E siffatta conclusione si fonda sul Magistero Pontificio più recente, laddove il servo di Dio Giovanni Paolo ii, facendosi eco consapevole dell'insegnamento costante dei predecessori, rivolgendosi ai prelati uditori nell'udienza del 30 gennaio 2003, così ebbe inequivocabilmente ad esprimersi:  "È decisivo tener presente che un atteggiamento dei nubendi che non tenga conto della dimensione soprannaturale del matrimonio, può renderlo nullo solo se ne intacca la validità sul piano naturale nel quale è posto lo stesso segno sacramentale", ribadendo quanto egli stesso aveva affermato nell'udienza del 1° febbraio 2001:  "A partire dal concilio Vaticano ii è stato frequente il tentativo di rivitalizzare l'aspetto soprannaturale del matrimonio anche mediante proposte teologiche, pastorali e canonistiche estranee alla teologiche, pastorali e canonistiche estranee alla tradizione, come quella di richiedere la fede quale requisito per sposarsi".
Nel primo volume dell'opera che qui si recensisce, il quale reca come sottotitolo Il dibattito contemporaneo, l'autore indaga le fonti, la dottrina e la giurisprudenza contemporanee.
Le fonti vengono studiate sia nei documenti del Magistero, sia nel lungo lavoro di revisione del Codice latino e in quello di redazione del Codice orientale. Quanto alla dottrina, vien proposto un excursus critico inerente alle possibili configurazioni del rapporto tra intenzione soggettiva, sostanza naturale e sacramentalità del vincolo, attraverso il quale è colta un'evoluzione che, muovendo da talune istanze pastoraliste degli anni Settanta - che non mancarono, talora, di affiorare anche in qualche orientamento giurisprudenziale, fattosi subalterno a un mal filosofato esistenzialismo - tendevano a scardinare i fondamenti della tradizionale teoria dell'inseparabilità, nel matrimonio, tra contratto e sacramento, e prospettavano, quale capo autonomo di nullità, la positiva esclusione della dignità sacramentale dal consenso matrimoniale.
Al riguardo Bertolini non manca opportunamente di avvertire che esistono soluzioni pratiche, quali il ricorso a istituti come quello della simulazione totale o dell'error iuris. Talune posizioni danno per scontato che l'assenza di fede necessariamente si riverberi a livello intenzionale sulla dignità sacramentale e sulla capacità di celebrare o ricevere il sacramento, così dimenticando che la sacramentalità del matrimonio non dipende dall'intenzione soggettiva e non è nella disponibilità dei nubenti e non può pertanto esser fatta oggetto di volontà escludente, ulteriore a quella necessaria e sufficiente per costituire un vincolo valido secondo il diritto naturale.
L'analisi della giurisprudenza, poi, presentata in chiusura del primo volume, può risultare di interesse per gli operatori del diritto, poiché offre attento commento delle sentenze rotali in materia non ancora edite. Sono, infatti, lette con attenzione le sentenze circa l'esclusione o l'errore relative alla sacramentalità, con disamina non solo delle parti in diritto, ma anche della storia concreta della fattispecie sottoposte al giudizio del Tribunale Apostolico, tentando, in tal modo, di cogliere eventuali filoni giurisprudenziali relativi ai capi di nullità interessati. È da rilevare come il Bertolini sottolinei che in talune recenti decisioni i Turni Rotali, superando una tendenza per altro minoritaria, hanno rimesso in discussione l'autonomia dei citati capi di nullità, ribadendo l'irrilevanza della fede nella formazione di una retta intenzione coniugale, così statuendo la parificazione tra l'intenzione naturale e quella sacramentale, e aderendo infine a una interpretazione coerente del principio di identità contratto-sacramento.
La ricerca svolta nel primo volume permette, dunque, all'autore di fissare i punti che egli ritiene bisognosi di un chiarimento dottrinale, e cioè:  cosa la struttura essenzialmente relazionale del matrimonio giuridicamente imponga come contenuto suo proprio; quale sia l'oggetto del consenso in quanto res iusta dovuta nel rapporto di giustizia che insorge tra i nubenti; se detto contenuto sia sufficiente anche in ragione della dignità sacramentale; se nello scambio dell'oggetto materiale del consenso abbiano un ruolo l'atto di fede e l'intenzione sacramentale interna e/o esterna; se infine la Chiesa possegga la facoltà di dichiarare nulli tali matrimoni rettamente posti quanto alla loro sostanza naturale, ma con avversione alla dimensione esclusivamente sacra, ammesso - e, diciamo noi, non concesso - che questa possa essere esclusa dai contraenti.
Nel secondo volume, dal titolo Approfondimenti e riflessioni, l'autore rappresenta poderoso ed esteso studio storico-giuridico-teologico, nel quale si riflette sul momento peculiarissimo e provvidenziale in cui le enunciate tematiche si appalesarono nella loro complessità, vale a dire il concilio di Trento.
Fu in quella sede che, emerse funditus il problema dell'inseparabilità contratto-sacramento, della intenzione, della ministerialità, e anche dei limiti del potere della Chiesa di irritare ex ante, o dichiarare nulli ex post, matrimoni che possiedono l'essenza minimale, così restringendo, di fatto, lo ius connubii, che è di diritto naturale.
Tale analisi ha consentito a Bertolini di rinvenire in quei dibattiti chiara traccia di quella distinzione teologica tra "natura" e "sopranatura" del matrimonio; vera scissione concettuale che - avverte l'autore - originatasi già in epoca tardo scolastica, divenuta poi doctrina recepta almeno sino alla sua messa in discussione nel xx secolo, è risultata essere gravida di negative conseguenze giuridiche, profondamente incidenti sia sul dibattito creatosi nella canonistica contemporanea relativamente alla dignità sacramentale del matrimonio, sia derivatamente sulla interpretazione stessa di molti ambiti del diritto sostantivo matrimoniale e di taluni capi di nullità.
Giunto a tal punto, l'autore procede in una delle parti più complesse e di maggior pregio dell'opera, ove egli, recuperando l'unitarietà della dottrina teologica, filosofica e giuridica, immediatamente precedente alla scissione "natura-sopranatura", vale a dire l'unitarietà del sistema agostiniano-tomista, del quale si mostra sicuro conoscitore, tenta di espungere le conseguenze della teologia del duplice fine dalla teoria del consenso matrimoniale.
Viene in tal modo recuperata la stretta pertinenza del matrimonio al diritto naturale, non quale "pura natura", ma quale istituto al quale la natura inclina, per far nostra la celebre espressione tomista (cfr. In iv Sententiarum., D. 26, q. 2, a.1).
Il sacramento è dunque il matrimonio di diritto naturale, poiché in esso risiede la simbologia mistica e la causalità anche della grazia, ex Christi voluntate assicurata tra battezzati, senza che si dia scissione alcuna tra la dimensione naturale e quella soprannaturale. L'intenzione sacramentale altro quindi non è che la semplice intenzione matrimoniale di due battezzati, creature razionali.
Partendo da alcuni spunti del Magistero di Giovanni Paolo ii e da talune sue allocuzioni alla Rota, l'autore conclude l'argomentazione tratteggiando una teoria generale del matrimonio il cui valore è dato dall'abbandono delle categorie della dottrina della "natura pura". Bertolini afferma la necessità di non dovere più pensare la sacramentalità del matrimonio quale oggetto di separata e razionalista intellezione-volizione, come avviene per gli altri elementi o proprietà essenziali, ma approfondisce l'indagine relativa alla relazione coniugale creaturale. L'autore sostiene infatti che l'essenza coniugale va ricercata non già in modelli culturali, giuridici, o teologici estrinseci al rapporto tra le due persone, bensì, e con realismo giuridico e autentico personalismo, essa va individuata in quella interna inclinazione che connota il matrimonio di una peculiare indole naturale e interpersonale.
In altri termini, vi è una trascendenza costitutiva della relazionalità coniugale che consente ai coniugi di porre la vera e unica materia sacramentale in quella mutua traditio et acceptatio, in forza della quale essi diventano una caro. Con ferma convinzione Bertolini ribadisce che non dandosi tra battezzati un vero matrimonio che non sia sacramento, l'esclusione della dignità sacramentale risulta irrealizzabile e, pertanto, giuridicamente impossibile, così da poter concludere che non si possa configurare come autonomo capo di nullità quello della simulazione della dignità sacramentale. Solo una forzatura, infatti, permetterebbe di applicare alla dimensione esclusivamente sacra le medesime categorie che si applicano ai bona augustiniana (fedeltà, indissolubilità, prole).
Affermava al riguardo il cardinale Mario Francesco Pompedda, rivolgendosi all'Arcisodalizio della Curia Romana nel 2003, nella piena maturità della sua lunga e prestigiosa riflessione canonistica, che era "più corretto parlare non già di intenzione sacramentale, bensì, semplicemente, di intenzione matrimoniale tout court (...) Se infatti fosse possibile distinguere l'intenzione matrimoniale naturale da quella matrimoniale sacramentale - e sovente si preme perché ciò avvenga - si finirebbe con l'operare un'ultima frattura, irreversibile questa e gravissima e sarebbe conferita all'uomo la facoltà di scardinare e riformare lo statuto ontologico dato da Dio alle realtà create e redente".
Pertanto, "l'esclusione della sacramentalis dignitas - concludeva autorevolmente il compianto Porporato - non potrà essere considerata capo autonomo di nullità, essendone completamente assenti i presupposti. E l'indagine medesima circa l'intenzione dei nubenti ammetterà un'inquisizione limitata alla mera realtà naturale, costituendo quest'ultima l'unico oggetto intenzionale, recte ponendus, così come voluto dall'arcano disegno creatore di Dio".
Quanto alla necessità della fede dei nubenti, il discorso muta se si procede alla doverosa distinzione fra validità del matrimonio e sua fruttuosità, donde l'urgenza, da parte di tutti gli operatori pastorali, di uno strenuo impegno per una adeguata preparazione dei nubenti, che faccia pure tesoro, per la ratio dialectica oppositorum, anche di quanto può emergere da quella cartina di tornasole che sono le cause di nullità, per evitare che errori si ripetano. E d'altra parte, ciò era già stato avvertito dalla Commissione Teologica Internazionale nel 1977:  Fides est praesuppositum et causa dispositiva effectus fructuosi, sed validitas non necessario implicat fructuositatem matrimonii.
Lo ius connubii non si può negare, infatti, a quei battezzati cattolici che, pur avendo perso il dono della fede, tuttavia hanno la capacità naturale di volere e di contrarre un matrimonio legittimo, unico, fecondo, indissolubile.
E infine, è proprio per ribadire "la necessità di mostrare con coerenza l'identità "matrimonio-sacramento"" (Francesco Coccopalmerio), che, con il Motu proprio Omnium in mentem del 26 ottobre 2009, Benedetto XVI ha deciso la soppressione dai canoni 1086 1, 1117 e 1124, della clausola actus formalis defectionis ab Ecclesia catholica, per cui, anche chi avesse operato - e spesso ciò avviene per concrete contingenze che poco hanno a che fare con autentici problemi di fede - siffatta defezione, è tenuto, ad validitatem, alla forma canonica, e pertanto contrae valido matrimonio.
Tale disposizione si rivela coerente con le inequivocabili parole rivolte dal Papa alla Rota, nell'allocuzione del 29 gennaio 2009:  "Occorre anzitutto riscoprire in positivo la capacità che in principio ogni persona umana ha di sposarsi in virtù della sua stessa natura di uomo o di donna. (...) Anzi, la riaffermazione della innata capacità umana al matrimonio è proprio il punto di partenza per aiutare le coppie a scoprire la realtà naturale del matrimonio e il rilievo che ha sul piano della salvezza. Ciò che in definitiva è in gioco è la stessa verità sul matrimonio e sulla sua intrinseca natura giuridica".



(©L'Osservatore Romano 27 gennaio 2010)
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