Sensualità e carne nella rappresentazione sacra tra Rinascimento e Barocco secondo Giovanni Bonanno

I sensi del cristiano


di Timothy Verdon

Verso la fine dell'anno scorso è uscito un libro d'arte d'importanza unica, forse il più bello degli ultimi anni:  Pittura, sacralità e carne nel Rinascimento e nel Barocco dello storico e critico palermitano Giovanni Bonanno, edito in grande formato con dovizia di illustrazioni, di cui molte di opere praticamente inedite (Milano, Electa, 2009, pagine 303, euro 60). Volendo poi fare onore oltre che piacere a un amico, Bonanno ha chiesto a chi ora scrive una breve premessa, e così il volume è introdotto da quattro pagine mie sulla "teologia della carne"; egli infatti stava ultimando la sua opera mentre io mandavo in stampa un libro analogo, almeno per quanto riguarda il tema:  Il catechismo della carne. Corporeità e arte sacra cristiana (Siena, Cantagalli, 2009). Accettai l'invito di contribuire con una premessa al volume di Bonanno perché la stessa intuizione aveva guidato sia il mio che il suo lavoro:  quella della centralità del corpo umano nel vissuto della fede cristiana e quindi anche nell'arte che questa ha generato nei secoli. Ma laddove io avevo scritto un piccolo "catechismo", Giovanni Bonanno ha orchestrato un cantico monumentale o (mutando metafora) ha dipinto con colori vibranti e energiche pennellate una grande tela rubensiana.
Il tema della corporeità è particolarmente presente nella cultura cattolica di questi tempi:  si pensi al volume di Margherita Pelaja e Lucetta Scaraffia, Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia (Roma-Bari, Laterza, 2008), o alla collezione di diciotto saggi del catalogo della mostra attualmente allestita per l'ostensione della Sindone a Torino, Gesù, il corpo, il volto nell'arte (Reggia di Venaria Reale, 1 aprile - 1 agosto; Milano, Silvana Editoriale, 2010). In un certo senso tutte queste iniziative non fanno che prolungare, articolandole, le catechesi di Giovanni Paolo II sul libro della Genesi, aiutando a demolire il luogo comune secondo cui, per il cristianesimo, il piacere sarebbe colpa e il sesso peccato. Ma tra i numerosi scrittori cattolici sul tema negli ultimi trent'anni, forse nessuno ha saputo decantare la bellezza corporea quale essenziale componente di una vera e propria mistica cristiana come fa Bonanno in questo libro. Secondo l'autore siciliano (che oltre a essere esimio storico dell'arte è anche maestro di stile letterario), nel cattolicesimo rinascimentale e barocco, "illuminata dalla Scrittura, l'arte riscopre la sacralità dell'uomo che desidera la donna e ne documenta l'amore con immagini d'interiorità. Celebra con fantasia il corpo dei profeti e dei santi dell'Antico e del Nuovo Testamento e il corpo di mistici, martiri e fedeli che formano la Chiesa. Corpo quale asse prospettico dell'orizzonte terrestre e di quello celeste; corpo vivente nell'èros e nell'agàpe, consapevole di essere manifestazione della gloria divina. Sarebbe assurdo negare nella pittura dei secoli XVI e XVII la fragranza voluttuosa di angeli e santi, avallata da una teologia ardita, come quella dei gesuiti, che consente nella volta del Gesù di Roma l'apparizione della carnalità come "sacramento"". Se in non pochi ambienti post-tridentini imperversa la sessuofobia, dice Bonanno, "nella cerchia degli umanisti e dei biblisti è considerata consustanziale alla beatitudine la corporeità, senza la quale non potrebbe esserci né vita né grazia (...) Soprattutto il barocco non nasconde l'incanto della natura, sapendola opera di Dio. Anzi ne recupera il senso trascendente, esaltando il corpo come epifania del mistero". Questa brillante pagina d'introduzione conclude con l'asserto che "con maggiore o minore penetrazione, tra il XIV e il XVII secolo, la pittura sacra, rifuggendo spesso da estetismi illustrativi, si connota di una teologia della carne, inquieta ed erotica, che testimonia come gli artisti si sentano poeticamente esegeti del Verbo, mentre ne traducono la presenza in immagini umane".
Così le raffinate conoscenze storiche e teologiche di Bonanno riducono in frantumi il preconcetto popolare secondo cui la fede in un Redentore crocifisso avrebbe penalizzato la dimensione sensoria della cultura antica fino all'esclusione del corpo come soggetto significativo dell'arte cristiana. Emblematica di questa tesi è una pagina dei Reisebilde di Heinrich Heine in cui, per suggerire  l'impatto  del  cristianesimo sul mondo pagano, l'autore ottocentesco descrive un festino delle divinità olimpiche, tutto allegria, ambrosia e nettare, brutalmente interrotto da Gesù Cristo. "A un tratto - dice - irrompe sulla scena un ebreo ansimante e pallido, coperto di sangue, disgustoso (...) Porta in testa una corona di spine e sulla spalla una grossa croce, che getta in mezzo alla tavola imbandita (...) Gli déi impallidirono:  impallidirono fino al punto di scomparire nell'etere (...) E allora il mondo divenne grigio e lugubre (...), senza dèi allegri. Monte Olimpo si mutò in un lazzaretto dove divinità scorticate, arrostite e piagate giravano continuamente, mostrando le loro ferite e cantando una triste litania. La religione non dava più gioia, solo consolazione; era una religione di punizioni, sanguinaria, deplorevole".
Scritta da un giovane ebreo obbligato a diventare cristiano per motivi di carriera nella Sassonia post-napoleonica, questa piccola satira mette a fuoco uno dei problemi centrali nel rapporto tra il cristianesimo e la cultura, e cioè la peculiare concezione della propria esistenza fisica che l'uomo occidentale ha da quando si è "convertito" dalle ovidiane Metamorfosi al Vangelo di Cristo, sostituendo alla tavola di Olimpo la mensa eucaristica:  una conversione implicante una diversa concezione del corpo, visto ormai come tempio dello Spirito Santo anche quando legittimamente offre il piacere. Da qui nacquero conseguenze per il rapporto del cristianesimo con l'arte, perché l'arte necessariamente coinvolge il corpo e, in occidente almeno, ha prediletto il corpo come soggetto, esaltandone la forza e la bellezza. L'arte occidentale ha infatti presentato altre realtà, anche metafisiche, attraverso il corpo, fino al punto che - in molti periodi della nostra storia - il corpo si configura come il principale segno espressivo dell'essere umano e della sua vita interiore.
Ma ecco come Bonanno affronta simili argomenti. Parlando della Maddalena delle due fiamme del Metropolitan Museum (nota anche come la Maddalena Wrightsman), opera di Georges de La Tour dipinta verso il 1639, fa notare che la tela fu probabilmente eseguita per Notre-Dame du Refuge, il convento di una congregazione femminile dedita alla redenzione delle "traviate". Il dipinto della santa penitente la ritrae con il profil perdu e seduta - come narra con eleganza Bonanno - "dinanzi a uno specchio dorato, riflettente il lume della candela che rischiara il suo volto, la camicia semiaperta sul petto diafano e le mani incrociate su un teschio, tenuto sulle gambe. È raccolta nella contemplazione della doppia luce, dando le spalle. Nessuno ne conosce lo sguardo e di sé fa sapere solo d'aver abbandonato i piaceri del peccato, avendo smesso di apparire irresistibile con occhi maliosi, profumo di carne, collane e orecchini. Stanno a terra o sul tavolo i monili e il vaso di unguenti. Lei, bella e traslucida, con la pancia da gestante, è incuriosita, più che dalla luce reale, da quella riflessa, dal suo rimando simbolico che la obbliga a superare la realtà di un oggetto luminoso per comprenderne il senso. Vede nello specchio la luce riflessa e inizia, dinanzi all'immagine irreale, il processo speculativo della mente, aperta alla gnosi, che le svela la realtà altra".
Ora, saper evocare, in poche ma suggestive frasi, un intero universo interiore, evidenziandone delicatamente i paradigmi concettuali - il passo profuma infatti del cerebrale misticismo di Port-Royale - è da grandi letterati, da veritabili maestri del pensiero e del linguaggio. La mia, l'ammetto, è un'ammirazione "storica" per lo stile di Giovanni Bonanno:  già dieci anni fa citai un suo passo mirabile in un mio libro su L'arte sacra in Italia (Milano, A. Mondadori, 2001):  la descrizione di un capolavoro del secondo Novecento, la Risurrezione di Pericle Fazzini nell'Aula Paolo vi in Vaticano, l'opera contemporanea in assoluto più conosciuta perché vista da milioni di telespettatori quando vengono trasmesse le udienze papali dall'Aula. Questa scultura lunga venti metri, alta sette e profonda tre è una "icona di movimento e di stabilità, di realtà e surrealtà, di vita umana e divina", come scrive Giovanni Bonanno. Poi, con linguaggio che echeggia sia le paure nucleari della guerra fredda sia la speranzosa visio di Teillard de Chardin, l'autore scrive:  "l'animano la luce e il vento con ritmi turbinosi, più che di trionfo, di festa coinvolgente il cosmo (...) L'esplosione della materia, la lacerazione della natura, la dissoluzione della forma non atterriscono. Sono segni di un evento sospirato da secoli, che ora si svela nella verità che annunzia la stessa Risurrezione dell'uomo".
Il nuovo libro di Bonanno è al contempo un profondo saggio critico e un dinamico percorso storico. Apre con sezioni intitolate "Forma della bellezza", "Riscoperta della realtà", "Umanesimo dell'arte", per poi incamminarsi sul crinale tra la storia dell'arte e la storia della spiritualità, con sezioni dai nomi più schematici:  "Epoca di rivolgimenti", "Rinascimento dell'uomo", "Tensioni del Seicento", "Barocco della carne", "Barocco dell'Europa latina", "Barocco dell'Europa germanica". Dal punto di vista metodologico, ritengo che si tratti di un capolavoro senza uguali, il tipo di panorama globale che si faceva nel tardo Ottocento e nel primo Novecento, ma non dopo. A prescindere poi dal suo metodo, Bonanno riesce a proporre la storia come poesia:  quando parla del retroterra spirituale della pittura olandese del Seicento, scrive:  "Nella "solitudine" dei Paesi Bassi, lambiti da mare e cielo, si sviluppa una teologia mistica che parla dell'incontro con Dio. Da questa esperienza, vissuta in umiltà, abnegazione e obbedienza, si origina, a fine Quattrocento, l'ascetismo di Tommaso da Kempis, che contribuisce, con la sua Imitazione di Cristo, alla formazione, in tutta l'Europa, di una religiosità moderna, la quale si proietta con sentimento interiore nell'azione esterna e nell'esistenza altrui". Quando parla invece di Rubens e della pittura nelle Fiandre cattoliche, dice:  "Seducente diviene la figurazione femminile, lattea nelle carni sontuose, profumata dell'eros sapienziale del Cantico dei Cantici, che spiega l'attrazione dell'uomo e della donna. Non teme giudizi inquisitori per questa poetica inventiva. Con intelligenza libera, l'artista dipinge di sensi, sensualità e sentimenti i corpi delle madonne e dei santi, consapevole della grazia che li anima. È umanista cristiano, nella sua ideazione, Rubens".
Grazie a questo libro, torniamo anche noi a essere "umanisti" all'interno della tradizione di fede nel Dio fattosi uomo, che in Cristo ha dato valore infinito al mistero della carne umana.



(©L'Osservatore Romano 9 aprile 2010)
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