Il 10 aprile 1970 si scioglievano i Beatles

I sette anni che sconvolsero la musica


di Giuseppe Fiorentino e Gaetano Vallini

È vero, hanno assunto sostanze stupefacenti; travolti dal successo hanno vissuto anni scapestrati e disinibiti; in un eccesso di spacconeria hanno detto persino di essere più famosi di Gesù; si sono divertiti a lanciare messaggi misteriosi - perfino satanici stando a improbabili esegeti - assecondando voci e leggende metropolitane sulla loro vita e anche sulla presunta morte di uno di loro; certo non sono stati il migliore esempio per i giovani del tempo, ma neppure il peggiore. Tuttavia ascoltando le loro canzoni tutto questo appare lontano e insignificante. A quarant'anni dal turbolento scioglimento dei Beatles - ufficializzato il 10 aprile 1970, ma di fatto avvenuto l'anno precedente, al termine delle registrazioni di Abbey Road - restano come gioielli preziosi le loro bellissime melodie che hanno cambiato per sempre la musica leggera e continuano a regalare emozioni.
Ancora oggi i fan più incalliti si rammaricano per la fine precoce di un gruppo che aveva pubblicato il primo disco appena nel 1963. E continuano a chiedersi quali e quante altre perle avrebbero potuto regalarci i fab four se personalismi, malumori e incomprensioni non avessero incrinato irrimediabilmente un sodalizio che sembrava plasmato soprattutto sull'amicizia. Domanda legittima, ma del tutto speculativa. Più o meno volutamente - ma come fanno solo gli autentici fuoriclasse - Paul McCartney, John Lennon, George Harrison e Ringo Starr decisero di smettere all'apice del successo e della creatività. Avevano detto tutto quanto c'era da dire in quei sette anni e tredici album che cambiarono la storia della musica leggera. E forse non c'era altro da aggiungere.
Preso atto che la complicità si era dissolta anche per un'esigenza di maggiore libertà individuale, scelsero - sia pure con non poco rincrescimento da parte di qualcuno di loro - di continuare come solisti, regalandoci alcuni buoni lavori, in particolare Lennon (Imagine) e McCartney (Band On The Run) - ma non raggiungendo più le vette che solo il lavoro comune aveva reso possibili. E certo non fu facile scrollarsi di dosso cotanto passato. Loro erano stati i Beatles, il gruppo più famoso e acclamato al mondo, e per un poco il peso del mito sembrò schiacciarli.
Lo aveva presagito McCartney. Let It Be, canzone che dà il titolo all'ultimo album in ordine di pubblicazione, ma non di realizzazione, racchiude infatti il pensiero di quello che più di tutti tentò di evitare la separazione. "Lascia che sia", cantava, rilanciando le parole dettegli in sogno dalla madre Maria. Parole dalle quali traspare però l'amarezza per una fine annunciata, probabilmente inevitabile ma non per questo meno dolorosa. Paul si chiede ossessivamente:  there will be an answer?, ("Ci sarà una risposta?"). In quell'aprile del 1970 la risposta attesa da milioni di fan in tutto il mondo - la notizia di una riappacificazione dei quattro - non arrivò. Così come non arrivò mai quella di una loro riunione, fosse anche per un solo, indimenticabile concerto.
Ma più che rammaricarsi di cosa non è stato, è forse più interessante porsi la domanda su come sarebbe la musica leggera senza i Beatles. Quando appena sette anni prima - ma sembra un secolo musicalmente parlando - i quattro giovanotti di Liverpool irruppero sulla scena portarono una vera rivoluzione. Di costume certo, divenendo idoli di una generazione che non vedeva l'ora di liberarsi dalle strette maglie di una cultura ritenuta troppo tradizionale e opprimente, ma soprattutto musicale. Arrivarono con la loro faccia da bravi ragazzi, sorriso furbo e sbarazzino, e sbaragliarono la concorrenza, scalando a ripetizione le classifiche nazionali ed estere con canzoni tanto semplici (in apparenza) quanto accattivanti. E soprattutto diverse:  diverse nelle sonorità, nelle atmosfere, nei testi via via più complessi e raffinati, nelle suggestioni ricche di contaminazioni inimmaginabili e di sperimentazioni mai praticate. Quelle canzoni furono una ventata di novità in un panorama bloccato, se si eccettuano timide fughe in avanti.
Di quella magica alchimia creativa, un misto di genialità e di incoscienza, sono stati scritti fiumi di parole. Ma a contare davvero è il valore della loro eredità musicale che, per l'influenza che ha avuto e continua ad avere, è inestimabile. Decine e decine di gruppi si sono ispirati a loro e continuano a farlo, ne hanno ripreso le intuizioni, hanno usufruito più o meno consapevolmente della loro sperimentazione anche tecnologica. Interpreti di chiara fama hanno cantato le loro canzoni in una miriade di rivisitazioni non sempre riuscite, e ancora oggi esistono in tutto il mondo cover band che ripropongono il repertorio beatlesiano.
Un'eredità importante, dunque, che però non si esaurisce nel solo valore filologico, ma che trova la sua principale conferma nel fatto che ancora oggi, quarant'anni dopo, i loro dischi vengono ascoltati non solo da nostalgici ormai maturi ma anche da giovani, persino bambini. Prova ne è il balzo in testa alle classifiche mondiali di alcuni degli album rimasterizzati in digitale e pubblicati lo scorso settembre in una operazione certamente commerciale, ma che, nell'era degli mp3, ha consegnato il più grande gruppo di musica popolare al futuro. Basta ascoltare quei dischi per capire il perché di un successo intramontabile:  alcune canzoni sembrano scritte ieri; sono degli anni Sessanta e paiono non accusare il peso del tempo che ha fatto giustizia di tanti gruppi musicali assurti a una tanto vasta quanto effimera notorietà.
Non a caso - sopravvissuti a se stessi senza esser dovuti passare attraverso la deprimente esperienza fatta da altri gruppi rock geriatrici i cui componenti ancora si ostinano a dimenarsi pateticamente sui palcoscenici a torso nudo e con jeans attillati - i Beatles restano il fenomeno più duraturo, consistente e rappresentativo della storia della musica popolare. È stata la band che per prima ha dato dignità artistica al pop, "esplorando le consuetudini della musica classica", come scrisse il critico Carl Belz, ma anche le suggestioni di altre esperienze artistiche, dalla fotografia al cinema. La loro fu un'imprevedibile evoluzione dal ruolo di semplici entertainers a quello più impegnativo di artisti, protesi, quindi, alla ricerca di nuovi linguaggi non solo musicali. Già nel 1967 Luciano Berio colse il legame sostanziale tra l'opera dei Beatles e le avanguardie, soprattutto il surrealismo, in una traslazione dall'idea di canzone a quella di "drammaturgia sonora" costruita grazie a frammenti di dialoghi, ritagli, sovrapposizioni di registrazioni.
Particolarmente attenti alle trasformazioni che investivano la scena culturale di quegli anni, i Beatles sono stati i simboli di una rivoluzione generazionale sotto la bandiera del rock, ma più ancora i geniali divulgatori di un'onda che pure altri hanno cavalcato con piglio diverso e rabbia maggiore - "Non riesco a trovare nessuna soddisfazione/ per quanto ci provi e ci riprovi", cantavano i Rolling Stones - senza però riuscire ad avere la stessa presa sul pubblico. Attraverso la loro musica quei quattro ragazzi di Liverpool, splendidi e imperfetti, sono stati capaci di leggere e di esprimere i segni di un'epoca che a tratti hanno persino indirizzato, imprimendovi un marchio indelebile. Un marchio che segna lo spartiacque tra un prima e un dopo. E dopo, musicalmente, nulla è più stato come prima.



(©L'Osservatore Romano 10 aprile 2010)
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