La morte di Furio Scarpelli

L'esperanto cinematografico
che raccontava l'Italia


di Emilio Ranzato

Furio Scarpelli è stato uno dei padri della commedia all'italiana. Durante il suo lunghissimo e altrettanto prolifico sodalizio con Age (Agenore Incrocci) ha infatti attraversato tutte le fasi del fortunatissimo genere, dalle origini derivanti dalla farsa, e dall'avanspettacolo, al varo ufficiale con I soliti ignoti (Mario Monicelli, 1958), fino alla maturità di film come C'eravamo tanto amati (Ettore Scola, 1974). Per poi inoltrarsi, stavolta da solo, fino ai giorni nostri e alla nuova commedia di Paolo Virzì, passando per il successo internazionale de Il postino (Michael Radford, 1994).
Formatasi nelle redazioni di giornali satirici nati fra le due guerre come "Il Marc'Aurelio" e "Il Bertoldo", per i quali i due soci lavoravano come vignettisti, la ditta Age & Scarpelli esordisce al cinema mettendosi al servizio del grande Totò, per il quale durante gli anni Cinquanta firmerà più d'una decina di film. È un periodo durante il quale i due trattano lavori su commissione per produzioni di successo ma dichiaratamente corrive, con ritmi da catena di montaggio e senza cercare la ribalta personale. Ancora ben lungi dall'acuta satira sociale che caratterizzerà la migliore commedia all'italiana, in questa fase mettono soprattutto a punto i tempi comici, sfruttando la tradizione del teatro popolare e i personali trascorsi umoristici. Tuttavia, già in alcuni film dell'epoca - Signori in carrozza (Luigi Zampa, 1951), Auguri e figli maschi! (Giorgio Simonelli, 1951), Ragazze da marito (Eduardo De Filippo, 1952) - la coppia comincia a mettere in scena quei personaggi persi tanto nelle tribolazioni economiche quanto in aneliti piccolo borghesi, che nelle commedie successive rappresenteranno i contraltari e le mille derive del boom economico.
La consapevolezza di una propria vena personale giunge a piena maturazione con I soliti ignoti, opera la cui alta ingegneria narrativa fa perdonare un affresco sociale appena accennato. In compenso, è il film in cui la coppia elabora compiutamente il proprio linguaggio, ossia quel misto di dialetti vari e di lingua italiana che per sempre rimarrà la matrice cui il genere sarà chiamato a rifarsi per conciliare le due facce dell'essenza popolare:  il rispetto per i particolarismi e la fruizione universale del messaggio. Una sorta di esperanto cinematografico, che fa dei due autori i Manzoni della commedia italiana. Ma anche un elemento sintomatico dei grandi cambiamenti di quegli anni:  la mobilità sociale da una parte, e la funzione didattica e unificatrice della televisione dall'altra.
Un nuovo linguaggio facilita inoltre la nascita di una nuova epica. Ecco quindi che la coppia azzarda un'impresa fino ad allora impensabile per il cinema leggero:  rivisitare la storia del Paese attraverso le due guerre mondiali, con La grande guerra (Mario Monicelli, 1959) e Tutti a casa (Luigi Comencini, 1960), miscele senza soluzione di continuità di dramma e commedia, il cui sviluppo narrativo rapsodico e picaresco troverà in seguito più libero sfogo con L'armata Brancaleone (Mario Monicelli, 1966).
Attraverso l'incontro con Pietro Germi - Sedotta e abbandonata (1964) e Signore e signori (1966) - le loro sceneggiature acquistano quel tocco di cattiveria che in passato gli era mancata, e che gli permette di portare più a fondo lo sguardo nelle contraddizioni della società. Laddove, viceversa, era stata la stessa realtà nazionale a fornire un'insospettabile credibilità sociologica a un film dagli intenti caricaturali come I mostri (Dino Risi, 1963).
L'attitudine per la caricatura li porta tra l'altro ad accostarsi al neonato spaghetti-western con Il buono, il brutto, il cattivo (Sergio Leone, 1966). Una collaborazione cui furono indotti anche dal contemporaneo tramonto della commedia, o quanto meno dalla fine della sua epoca d'oro.
Accogliendo nel loro sodalizio Ettore Scola, con C'eravamo tanto amati (1974) e La terrazza (1980) i due ebbero modo di dire ancora qualcosa insieme, traghettando però definitivamente la commedia al di fuori dei suoi confini. Attraverso il bilancio esistenziale di tutta una generazione, coraggiosamente ancorché velatamente autobiografico.



(©L'Osservatore Romano 30 aprile 2010)
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