Potere, politica e religione nel mondo antico

Se il consenso cade dal cielo


"Sacre impronte e oggetti "non fatti da mano d'uomo" nelle religioni" è il convegno che si è appena concluso all'università di Torino. La relatrice che ha aperto i lavori ha sintetizzato per il nostro giornale il tema del suo intervento.

di Lellia Cracco Ruggini
Accademia dei Lincei

Mi occuperò qui brevemente soltanto della preistoria del fenomeno, ossia degli "oggetti caduti dal cielo" nell'antichità; e soltanto per sottolineare, attraverso qualche esempio, il mutamento epocale che andò maturando anche in questo ambito nel lento passaggio al medioevo, in parallelo con l'affermarsi del cristianesimo.
Soprattutto durante l'età romana tali oggetti furono presi in alta considerazione come talismani atti a garantire la sopravvivenza di un'entità statale che fin dalle origini si era profilata come unitaria, anche se non ancora "mondiale" come avverrà in seguito. E il fatto di essere "oggetti caduti dal cielo" si collegava semplicemente alla loro antichità, che aveva fatto smarrire la nozione della loro origine storica.
Tali furono, in particolare, le caratteristiche sia dell'ancile (o scudo) che si faceva risalire al tempo leggendario di Numa, sia del Palladio o simulacro arcaico di Pallade Atena collegato a Troia, i due casi senz'altro più celebri e a noi meglio testimoniati in innumerevoli varianti.
Un altro aspetto comune sia all'ancile sia al Palladio - e che non sembra trovare riscontro in altre religioni al di fuori del paganesimo - fu pertanto l'esistenza di copie del tutto eguali, onde evitare sottrazioni sacrileghe e, al tempo stesso, poter mettere sempre in dubbio eventuali traslazioni di oggetti che si legavano alla sopravvivenza stessa dell'imperium e che proprio per questo erano considerati segni del consenso divino.
Nel cristianesimo, così come presso altre religioni, le "sacre impronte" rivestirono invece significati e finalità differenti:  teologiche innanzittutto, che la pubblica autorità concorse tutt'al più a garantire, pur non avendo partecipato alla loro "invenzione". E questo era evidentemente il frutto di situazioni capovolte rispetto al precedente romano - meno, forse, rispetto al periodo greco arcaico, per quanto è dato saperne; e pour cause - ché soltanto nel mondo romano, per la prima volta, si verificò una convergenza tra portentum (un evento di per sé religioso) e vocazione politica "ecumenica".
Dopo l'età romana, le entità statali retrostanti al fenomeno religioso furono sempre, invero, meno forti e unitarie delle Chiese che di volta in volta se ne eressero a custodi. Ancile e Palladio dunque, in età pagana antica e tardoantica; e nel mondo romano con un significato in sostanza politico, ma anche con fortune fra iv e vi secolo in parte diverse, per la natura stessa dei messaggi di cui essi erano portatori.
Lo scudo ebbe infatti una sopravvivenza "popolare" e folklorica di lunga durata specialmente in quanto connesso con festività della cui origine si è ormai persa la nozione, ma che rimasero a lungo un punto di riferimento importante nel calendario romano. Dell'ancile e delle sue vicende un funzionario palatino di Costantinopoli come Giovanni Lido, nell'Oriente greco del vi secolo dell'era cristiana - o la fonte antiquaria che certo gli sottostava - poteva ormai dare una spiegazione alternativa opposta a quella tradizionale:  liberamente fantasiosa, ma certo più adatta alla mentalità prevalente nei nuovi tempi cristiani.
Il secondo oggetto - il Palladio - conobbe invece una fortuna legata soprattutto all'idea di sopravvivenza dell'imperium ecumenico di Roma:  in Occidente tramontò quindi con la conquista visigotica dell'Urbe nel 410, lasciando dietro di sé imbarazzo e reticenze non casuali presso gli stessi Romani ormai fatti cristiani; mentre in Oriente tale fortuna si salvò più a lungo nell'erudizione antiquaria grazie a un'idea di translatio imperii il cui primo atto risaliva allo stesso fondatore "cristiano" di Costantinopoli, Costantino il Grande. Il pontificato massimo imperiale - benché ormai cristianizzato - si conservò invece soprattutto per salvaguardare certe funzioni pubbliche ancora funzionanti, che si connettevano con l'istituzione pontificale.



(©L'Osservatore Romano 21 maggio 2010)
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