La corporeità nel pensiero e nell'arte dell'ebraismo

Tatuaggi sulla carne e nell'anima


Il 23 maggio si concluderà a Torino l'ostensione della Sindone. Continua invece fino al 1 ° agosto alla Venaria Reale la mostra - organizzata da Imago Veritatis e curata da Timothy Verdon - "Gesù. Il corpo, il volto nell'arte". Dal catalogo (Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2010, pagine 336, euro 35) pubblichiamo quasi integralmente il saggio scritto dall'Ambasciatore d'Israele presso la Santa Sede.

di Mordechay Lewy

La corporeità nell'ebraismo, in contrapposizione alla spiritualità nel cristianesimo, è stata per secoli oggetto di numerose polemiche, conclusesi, a volte, in maniera disastrosa per gli ebrei. Scrivendo questo mio saggio, non è mia intenzione rinfocolare il circolo di polemiche. Al contrario, vorrei far luce su alcuni aspetti che possano ridurre la polarizzazione creatasi nel corso dei secoli. Né il giudaismo né il cristianesimo hanno aderito sempre pienamente alla corporeità o alla spiritualità rispettivamente. Talora troviamo ebrei che elaborano la loro dottrina adottando la filosofia ellenistica, come, per esempio, Filone d'Alessandria, o persino concezioni aristoteliche della vita dopo la morte, come Maimonide. La Qabbalah ebraica ha sviluppato un concetto molto corporeo di Dio, compresa l'idea di reincarnazione dell'anima. La maggior parte dei cristiani hanno inteso Dio quale entità corporea adottando l'idea dell'incarnazione, del Verbo fattosi carne. L'idea della transustanziazione contribuì al culto del Corpus Christi stabilito nel 1264. L'arte cristiana divenne corporea nel momento in cui furono necessari dipinti più naturalistici per diffondere la nuova dottrina. Tuttavia, pur prendendo in prestito gli uni dagli altri, ebrei e cristiani rimasero fedeli ciascuno alla propria verità.
L'alleanza di Dio fu stipulata non soltanto con la nazione ebraica fisicamente presente nel Sinai, ma anche con le future generazioni. L'arca prima, e il tempio, in seguito, erano considerati la dimora di Dio. Dalla distruzione del Secondo tempio, la presenza divina fu dispersa tra il popolo ebraico; nel Talmud vi si fa riferimento col nome di Shekhina. Il testo scritto divenne lo strumento dell'onnipresenza del divino. Le offerte materiali furono sublimate in parole e nelle preghiere quotidiane. Questa idea di onnipresenza divina ben si addice al concetto ebraico di Dio invisibile, privo di corpo o corporeità.
Tra i sommari degli articoli di fede, i tredici principi scritti da Maimonide sono sempre stati oggetto di alta considerazione. I primi tre di essi sono pertinenti:  "Sia esaltato il Dio vivente e sia lodato. Egli esiste e la Sua esistenza non ha limiti di tempo"; "Egli è uno, e non vi è altro unico come la Sua unità. Inscrutabile e infinita è la Sua unità"; "Non ha forma corporea e non è un corpo. Niente può essere paragonato alla Sua santità. Dio è uno, è invisibile e onnipresente e non ha corporeità".
I principi di Maimonide provocarono una frattura nel mondo rabbinico medievale. Uno dei suoi primi critici, vicino ai circoli cabalistici, fu Rabbi Moses ben Hasdai Taku, che non accettò l'interpretazione allegorica data da Maimonide del linguaggio antropomorfico con cui il testo biblico nel Pentateuco attribuisce a Dio delle voci. Per Rabbi Moses, la potenza di Dio è infinita ed Egli può "ridurre" se stesso, apparire inaspettatamente e allo stesso modo produrre dei suoni o rumori a proprio piacimento. La corrente principale dell'ebraismo continua a considerare Dio invisibile e onnipresente e non ha mai appoggiato idee di reincarnazione dell'anima (Gilgul Neshamot), anzi le ha completamente rigettate. All'emergere dell'impatto della Qabbalah tra il xii e il xiii secolo, l'idea della reincarnazione dell'anima divenne parte del misticismo ebraico.
Il diverso atteggiamento verso l'incarnazione nell'ebraismo e nel cristianesimo ha le proprie radici nella maniera di interpretare la creazione dell'umanità. Di estrema importanza per l'ebraismo era il concetto monista della creatura umana, per cui l'anima e il corpo furono creati come una unità. Il termine ebraico per anima, Nefesh, è quasi sinonimo di uomo e di vita. Essendo una cosa sola, l'uomo porta il proprio corpo nella sua relazione con Dio. Dall'altra parte, Dio conferma questa corporeità, includendo il corpo nella sua alleanza attraverso la circoncisione. Il dualismo ellenistico, tuttavia, ebbe un impatto anche su vari movimenti del giudaismo nel periodo del Secondo tempio. Filone d'Alessandria è considerato il suo principale esponente nella filosofia ebraica. Secondo il suo pensiero il corpo è quasi una prigione dell'anima. Nel Talmud un certo Antonino appare numerose volte mentre dialoga con un certo Rabbi Yehuda, chiaramente il riverito presidente del sinedrio. Ciò riflette una sorta di legittimazione degli scambi di vedute con la filosofia greca. È troppo domandarsi se Antonino rappresenti per caso un imperatore della dinastia degli Antonini, probabilmente persino Marco Aurelio stesso? Alcuni saggi ebrei si sentirono minacciati e si opposero all'impatto ellenistico.
Un pomo della discordia fu la questione della circoncisione. Nel Talmud alcuni saggi presentano la distinzione secondo la quale, dopo la morte, la creatura umana si scompone nelle sue tre parti. L'anima proviene da Dio, il quale (ri)prende ciò che gli appartiene. La sostanza bianca proviene dall'uomo, e di essa sono fatti il cervello e le ossa. La sostanza rossa proviene dalla donna, e di essa sono fatti la pelle, la carne e il sangue. Le parti che hanno origine dall'uomo e dalla donna, dopo la morte, si decompongono. La morte separa il corpo e l'anima temporaneamente sino alla resurrezione. Non v'è descrizione della resurrezione più suggestiva di quella della visione che Ezechiele ebbe delle ossa aride. Gli ebrei adottarono delle usanze funebri finalizzate proprio a predisporre il corpo umano alla resurrezione futura:  l'intero corpo deve essere sepolto lo stesso giorno, e la cremazione non è consentita. Deve essere mantenuta l'integrità del corpo, malgrado la decomposizione mortale, poiché con la resurrezione il corpo tornerà in vita.
Chi non ha visto, dopo ogni attentato suicida, ebrei ortodossi aggirarsi tra le vittime civili israeliane, per raccogliere qualsiasi resto di corpo umano, sparso ovunque, anche lontano dal sito dell'attentato terroristico? Tali sforzi sono giustificati, in effetti, solo se si crede nella resurrezione del corpo nella sua interezza. Ma probabilmente non avrebbero trovato d'accordo Maimonide, molto contestato dai saggi ebrei del suo tempo (1135-1204) e considerato perfino eretico da alcuni, solo perché aveva sostenuto la separazione dell'anima dal corpo dopo la morte.
Non v'è espressione corporea più forte della richiesta di Dio ad Abramo, e a tutta la sua discendenza, di praticare il rito della circoncisione (Brit Mila) sulla loro carne, come segno di alleanza. Un altro vincolo corporeo, ripetuto quotidianamente dagli ebrei osservanti, è quello di legare i filatteri (tefillin) sulla fronte (totafot) e al braccio sinistro, quello vicino al cuore (ot).
Questa è un'ulteriore espressione di corporeità, che comprende la proprietà collettiva di Dio di ciascun individuo ebreo come suo schiavo. Il corpo dell'ebreo maschio porta dei segni permanenti (circoncisione) e segni temporanei (i filatteri legati quotidianamente) quali segni mnemonici, per ricordare la benevolenza di Dio sin dall'esodo dall'Egitto. Ma può essere aggiunto anche un significato antropologico a quei segni corporali. Essi sembrano riflettere l'evoluzione da antichi modelli socio-legali della pratica di marchiare le proprietà. Le antiche culture orientali usavano marchiare la proprietà sui beni, sia che fossero oggetti sia che fossero corpi di animali o corpi umani. Lo stato di schiavitù permanente nelle culture della Mesopotamia era contraddistinto tramite tatuaggio piuttosto che con un marchio a fuoco, ma la Bibbia mal tollerava segni corporei permanenti. Ritengo che i tefillin siano stati introdotti in sostituzione; la proibizione di marchi e tatuaggi aveva come scopo quello di segnare una distinzione tra la nuova religione monoteistica e le culture politeistiche della regione, come ribadiva nuovamente Maimonide nel xiii secolo. La circoncisione tuttavia continuava a essere praticata dagli ebrei nella misura in cui erano usi fare soltanto i popoli egizio e cananeo. Non vi è prova linguistica, o di qualsiasi altro genere, che le culture mesopotamiche praticassero la circoncisione. Pertanto la tradizione che vede nella circoncisione di Abramo un retaggio mesopotamico mi pare dubbia; probabilmente qualcuno aveva interesse a nascondere l'influenza che la cultura egizia ebbe sugli ebrei. L'ellenismo ereditò con molta probabilità il costume babilonese-persiano di rigettare la circoncisione, e sotto l'influsso ellenistico la pratica della circoncisione non fu più seguita da tutti gli ebrei, tanto che non era raro il ripristino del prepuzio. La cultura greco-romana rifiutava la circoncisione, che era vista come una mutilazione della bellezza del corpo.
Le mnemotecniche impiegate nell'antico ebraismo mediante i segni del corpo ebbero un brillante futuro nel cristianesimo medievale. Il Nuovo Testamento aveva prodotto la visione organica della comunità quale corpo in comunione con Gesù. L'idea di Dio (la Parola o Lògos) che diviene carne (che cioè assume forma umana) non era estranea alle tradizione ellenistica, egizia e mesopotamica. Allo stesso tempo la natura divina e umana di Gesù divenne una dottrina vincolante nel primo concilio di Nicea nel 325. I primi cristiani adottarono costumi analoghi a quelli della cultura ebraica, ma a un livello simbolico e non corporeo. L'esempio migliore è il battesimo quale rito d'iniziazione. In maniera analoga alla circoncisione, il battesimo crea un marchio indelebile, ma nell'anima. La contrapposizione tra la corporeità ebraica e la spiritualità cristiana è stata segnata da polemiche tra le due religioni, le più antiche delle quali probabilmente risalgono fino alla Mishna. Rabbi Eliezer Hamodai diceva nelle Massime dei Padri che coloro che cancellano il patto di Abramo "non hanno parte nel mondo che verrà". Sant'Agostino espresse questa polarizzazione polemica, affermando che i cristiani hanno una comprensione più profonda del significato spirituale, mentre gli ebrei permangono nel regno "inferiore" della carnalità, intesa soltanto nella sua forma fisica e materiale. Ciononostante, la circoncisione era considerata da Agostino come una sorta di sigillo di salvezza. Essa era comunque intesa da Pietro Lombardo come un mero marchio, giacché Abramo era già giustificato attraverso la fede. Basandosi su Agostino, Lombardo considerava la circoncisione sin dal tempo di Abramo come un rimedio contro il peccato originale, ereditato di generazione in generazione attraverso la concupiscenza dei genitori.
Nell'iconografia cristiana sin dal xiii secolo il rito ebraico della circoncisione appare spesso nel ciclo della vita di Gesù, quasi sempre senza allusioni negative. A partire dal xiii secolo i sentimenti religiosi cristiani comprendevano una corporeità emergente seguita dall'arte figurativa. Crebbe di conseguenza il culto dei segni del corpo, nelle forme più svariate, quali la venerazione del Corpus Christi, le cinque piaghe di Gesù, le stimmate di san Francesco o la venerazione delle Arma Christi. La Imitatio Christi divenne l'ideale corporeo della religiosità mistica in epoca tardo-medievale. Il sangue mutò il suo significato normativo, in opposizione a quanto registrato nella Bibbia, nella quale era associato alla vita, alla purità e alla prosperità. La Qabbalah abbracciò valenze differenti e contraddittorie. Sia per i cristiani sia per gli ebrei in epoca medievale il corpo di Dio, e in particolare il suo sangue, venne a trovarsi al centro di un nuovo senso di corporeità; entrambe le culture, come scrive David Biale, condividevano il culto del sangue di Dio.
Non vi è dubbio che ebrei e cristiani nelle città medievali condividevano una corporeità che era il prodotto della coabitazione in un ambiente urbano densamente abitato. Avevano imparato a conoscere i reciproci riti, ma, contendendosi la benevolenza divina, ciò non bastò a ridurre la loro animosità. Ebrei e cristiani spesso "interpretavano" o deridevano vicendevolmente i propri riti, contribuendo entrambi, in questa maniera, ad alimentare un ciclo di polemiche. L'unica differenza era che gli ebrei costituivano una minoranza che non soltanto rischiava la propria vita, ma veniva anche bollata con pregiudizi profondamente radicati.
Considerando la liturgia come linguaggio del corpo in una religione, si potrebbero tracciare delle similitudini e delle differenze tra i gesti corporei ebraici e cristiani e le loro rispettive liturgie. Nell'atto penitenziale all'inizio di ogni messa i fedeli battono per tre volte il pugno della mano destra sulla parte sinistra del petto; lo stesso gesto viene compiuto principalmente dagli ebrei askenaziti nella preghiera quotidiana del Vidui (confessione) per ciascuno dei ventiquattro peccati che vengono enumerati. Non è noto quale religione abbia adottato il gesto per prima, ma esso fu introdotto molto probabilmente nel Medioevo. Quando il rotolo della Torah viene estratto dall'arca santa la comunità in sinagoga si alza in piedi. Allo stesso modo, durante la Liturgia Verbi per la lettura del Vangelo, l'assemblea in chiesa si alza in piedi. Al Vangelo è riservata dignità simile a quella della Torah, entrambi infatti sono esibiti in processione intorno all'Altare o all'Arca Santa rispettivamente. Mentre il Vangelo viene adorato da lontano, gli ebrei cercano la prossimità fisica col rotolo della Torah durante la processione, baciandolo o sfiorandolo con le frange di corde intrecciate (Zizit) poste alle estremità del mantello da preghiera (Tallith). La stessa manifestazione di contatto fisico avviene tra gli ebrei all'inizio e alla fine di ogni lettura di un passo dal rotolo della Torah. Anche la liturgia cristiana ha tuttavia sviluppato una propria genuina espressione di corporeità. Il quadrato di lino bianco sull'altare, sul quale si posano le specie eucaristiche, è chiamato già dal xiv secolo Corporale, poiché esso viene utilizzato per avvolgere il corpo di Cristo durante la liturgia eucaristica. Il segno della croce con le dita su oggetti, sul corpo di qualcuno o in aria creò un'ampia varietà di gesti liturgici. Il barocco spagnolo produsse sculture votive lignee dipinte in maniera così naturalistica da essere chiamate encarnación. Quest'arte post-tridentina diede alla dottrina della Parola divenuta carne un'amplissima visibilità.
Il Pentateuco riflette già un'attitudine iconoclastica, vietando la creazione di immagini. Gli ebrei in seguito svilupparono la capacità di sublimare la corporeità in immaterialità, per esempio, mutando le offerte in preghiere. Parole e scritti canonizzati rafforzavano l'attitudine all'espressione artistica non pittorica. Ne derivarono, come nell'arte islamica, disegni ornamentali e micrografie. L'instaurazione di una cultura quasi priva di immagini sotto il dominio musulmano equivalse a una rottura della tradizione classica greco-romana di espressione pittorica, che aveva dominato il bacino mediterraneo sin dall'antichità. Il cristianesimo andò in altre direzioni, sublimando la spiritualità della Parola nell'incarnazione di Dio attraverso Gesù. A causa di questa corporeità il cristianesimo poté facilmente mutuare modelli di arte pittorica dalla tradizione greco-romana. Sotto l'influsso ellenistico i mosaici nelle sinagoghe della Terrasanta riproducevano rappresentazioni iconografiche di episodi biblici. La ricchezza di immagini bibliche negli affreschi della sinagoga di Doura-Europos, del iii secolo, è unica.
La cultura ellenistica ammetteva le immagini come verità, così come espresso da Filostrato; Platone contrastò la pittura (e i sofisti) nel Fedro, poiché nessuno dei due poteva creare la vita e la verità. A suo parere soltanto l'anima e la sua verità potevano creare la vita. Le riserve platoniche contro la pittura esistono anche nelle tradizioni musulmane degli Hadith. L'ostilità nei confronti delle immagini è stata mantenuta nel complesso da ebrei e musulmani allo stesso modo. Nella sua polemica contro l'approccio iconoclastico Giovanni Damasceno sosteneva che, poiché Gesù era divenuto l'incarnazione della parola divina, poteva essere raffigurato.
Beda il Venerabile tentò di armonizzare Antico e Nuovo Testamento interpretando l'uno come prefigurazione dell'altro. L'emergere della corporeità nell'arte cristiana fu quasi una necessità didattica. Questo approccio di base del cattolicesimo favorevole all'immagine non è identico all'atteggiamento bizantino iconofilo (iconodulo). William Durand (1220-1296) mise in chiaro che "una cosa è adorare un'immagine e un'altra cosa è, attraverso un'immagine, apprendere storicamente che cosa si deve adorare". I dottori della Chiesa erano ben consapevoli del fatto che, nelle dispute medievali con ebrei e musulmani, il cristianesimo era visto alla stregua di un'idolatria. La principale argomentazione assumeva che, se Gesù fosse stato di sola natura umana, la venerazione della sua immagine sarebbe stata idolatria. Se, invece, Gesù avesse avuto natura divina, sarebbe stato impossibile raffigurarlo. La nuova dottrina della transustanziazione e la venerazione del Corpus Christi necessitavano di una diffusione tra credenti i quali, senza miracoli visibili, avevano difficoltà a comprenderle. Maimonide, nella sua classifica dei cinque tipi di infedeltà, definì il cristiano "colui che ammette che c'è un solo Dio, ma che questi ha un corpo e una forma".
Il mezzo espressivo meglio preservato nell'arte ebraica medievale è costituito dai manoscritti ebraici miniati di origine askenazita (dell'Europa centro-occidentale). Ciò che colpisce, osservandoli, sono le rappresentazioni figurative di animali e di creature umane. Come si può conciliare questo fenomeno con l'approccio iconoclastico dell'ebraismo? Maimonide scrive nel Mishe Torah:  "È permesso beneficiare di figure realizzate dai gentili per decorazione, ma quelle realizzate per l'adorazione di idoli sono proibite". L'opinione accettata oggigiorno è che quei manoscritti sono il prodotto della collaborazione fra scribi ebrei e miniatori cristiani. Le creature, spesso bizzarre e distorte, rispondevano essenzialmente alla richiesta da parte dei committenti ebrei di non raffigurare esseri umani. A ogni modo, pur non spingendoci oltre come Ruth Melnikoff, possiamo affermare che gli ebrei, nella loro opposizione alle immagini umane, sembrano chiudere un occhio su queste miniature. Nei manoscritti ebraici di provenienza italiana o spagnola non si trova questo tipo di deliberata deformazione della figura umana. Escludo la possibilità che in questi Paesi venissero ingaggiati pittori ebrei; se consideriamo le norme prescritte da Maimonide nei confronti degli idoli, pittura e scultura non potevano essere una professione per ebrei. Soltanto il processo di assimilazione all'interno di una società gentile, come accadde in parti dell'Europa alla fine del xix secolo, portò un cambiamento radicale. Ci vollero quasi ottocento anni dal tempo di Maimonide perché Chagall potesse creare per la prima volta un'autentica arte figurativa ebraica.



(©L'Osservatore Romano 22 maggio 2010)
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