L'orto dei semplici:  un dialogo sull'immagine e sull'arte

Quando l'apparire
è apertura all'essere


di Marco Maurizi

Èsotto gli occhi di tutti il potere e il fascino che l'immagine esercita su di noi, condizionando non solo la vita quotidiana, ma addirittura il mondo della cultura; per tacere delle scelte della politica.
Siamo certi però che l'effetto di superficialità e di fatuità - che così spesso si denuncia - possa essere attribuito al carattere d'immagine come tale? Una tale diagnosi, infatti, rischia di rimanere essa stessa troppo in superficie se la questione dell'immagine non viene affrontata e chiarita preliminarmente. Senza tale disamina, l'immagine apparirà sempre travestita di un'ovvietà e di una trasparenza che ne occultano il significato più profondo. Già a livello etimologico, tanto in greco che in latino, il termine rimanda originariamente alla dimensione della "somiglianza", della "forma" e della "illusione":  parlare dell'immagine, dunque, significa necessariamente attraversare questioni radicali come quelle del senso e del non-senso, dell'apparire e dell'essere, del soggettivo e dell'oggettivo. È attorno a questo nucleo filosofico originario, dell'esperienza e della riflessione estetica, che ruota il dialogo tra Paolo Biscottini e Giovanni Ferrario, ora pubblicato con il titolo L'orto dei semplici. Dialogo sull'immagine e sull'arte (Milano, Biblion edizioni, 2010, pagine 54, euro 12).
L'orto dei semplici è un'espressione di ascendenza medievale e fa riferimento al luogo dei conventi riservato alla coltivazione delle erbe medicinali (i "semplici"); l'hortus simplicium, durante il rinascimento, andrà invece a indicare l'orto botanico che veniva attrezzato presso le facoltà di medicina delle università (p. 5). Qui gli studenti di medicina imparavano a distinguere le piante curative dalle "sofisticazioni" e in tal senso il titolo allude a quella ricerca di forme pure, perfette, cui si dedica non solo l'artista, ma chiunque cerchi la verità. È il tipo di ricerca che mette qui in dialogo due personalità dai percorsi e dagli interessi divergenti come Ferrario e Biscottini; il primo, artista affermato e docente di Fenomenologia e critica d'arte all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; il secondo, docente di Museologia e Istituzioni di storia dell'arte nello stesso ateneo, dirige il Museo diocesano di Milano e ha realizzato mostre e pubblicato cataloghi e saggi d'arte moderna e contemporanea. Il dialogo è frutto di un confronto che è andato maturando nel tempo e che, pur nella distanza delle rispettive posizioni, giunge a disegnare un campo comune d'esperienza e di senso:  rappresenta infatti l'incrocio tra sguardi che scoprono la capacità di un incontro proprio nello spogliarsi della limitazione prospettica che li accompagna, grazie alla disponibilità a lasciarsi animare e pervadere dalla forma, fino a intravedere l'al di là cui essa enigmaticamente allude.
Che cosa "significa" la forma? A cosa "si riferisce" l'immagine? Scartata la tesi che intende l'arte come imitazione della natura esteriore, Biscottini e Ferrario definiscono l'esperienza estetica come messa in forma di un mistero che vivifica e apre l'occhio dello spettatore, conducendolo in un oltre di cui la rappresentazione è la chiave d'accesso.
L'arte, osserva Biscottini, è un'apertura verso l'ignoto cui si guarda con speranza (p. 37) e, in tal senso, può qualificarsi come "sacra" anche laddove non tratti esplicitamente soggetti religiosi (p. 31). Tuttavia, se per Biscottini questo oltre e questo ignoto si manifestano esplicitamente come un deciso salto al di là dell'orizzonte naturale, come aspirazione alla contemplazione del volto di Dio (p. 22), per Ferrario è come se l'arte fosse destinata a farci avanzare nel grembo infinito di una natura al tempo stesso avvolgente ed elusiva (p. 16).
Per Biscottini l'arte ha il potere di interrogare e di scuotere l'individuo nella sua singolarità; mette a nudo e inquieta tanto l'anima dell'artista che dell'interprete (p. 13). In tal senso, apre a un al di là che non va inteso come un vuoto anelito, quanto come una forza che agisce interiormente poiché è sempre mossa attivamente dall'Altro:  l'Apparire dell'immagine è qui apertura verso l'Essere. Per parte sua Ferrario non nega alla radice questo assunto, ma sottolinea, con altrettanta fermezza, l'irriducibile specificità dell'esperienza artistica; il fatto cioè che l'immagine non garantisca alcuna risposta e che non possa quindi essere mai addomesticata (p. 27). Né l'artista, né l'interprete  ne possono disporre; entrambi devono invece disporsi al suo ascolto, senza pretendere una comprensione che quanto più cercherà  di possedere il senso dell'opera, tanto più se lo vedrà sfuggire (p. 43).
È per questa ragione che l'arte contemporanea, con i suoi scandali e con i suoi paradossi rappresenta un passaggio obbligato del dialogo. Qui la questione del senso dell'immagine diventa esplicita:  qual è il rapporto tra arte e verità? fino a che punto l'arte deve rimanere fedele alla verità o si può invece parlare di una verità dell'arte? A tale proposito, Biscottini sottolinea come certe ambiguità dell'arte contemporanea costituiscano un tradimento, talvolta pericoloso e ideologico, di una verità che è più originaria dell'arte e rispetto cui l'immagine ha il compito di restare fedele. Ferrario ribadisce invece come non sia possibile parlare di alcuna verità dell'arte se questa stessa ambiguità non è fatta salva (pp. 50-51). Entrambi sono però consapevoli di come ogni immagine, anche la più fantomatica e leggera, sia carica di un peso impercettibile e nascosto che, proprio perciò, rischia di schiacciarci (p. 54). Non è quindi fuori luogo parlare della necessità di una vigilanza, se non di una vera e propria responsabilità nei confronti dell'arte, cui tutti - l'artista, il critico, il pubblico - siamo sempre chiamati.
Sembra che L'orto dei semplici offra così un contributo interessante al dibattito sull'immagine. La stessa forma dialogica spiazza le certezze ideologiche di un discorso sull'immagine, mostrando come quest'ultima riveli il suo segreto solo a chi sa lasciarsi interrogare dalla sua abissale enigmaticità:  essa nasconde quando mostra e rivela laddove elude lo sguardo dello spettatore. Ma se questo è il modo in cui la verità prende forma a livello dell'esperienza estetica, è anche il punto in cui il potere dell'immagine può declinarsi nel senso del pericolo o della salvezza. Poiché, come svelano i momenti in cui il dibattito di Biscottini e Ferrario si accende e mette in gioco, illuminandoli, gli interessi dei dialoganti, la verità dell'immagine non potrebbe essere pensata, né decifrata, se non fosse originariamente imparentata con quanto suscita e sostiene il desiderio.



(©L'Osservatore Romano 9 giugno 2010)
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