Freud e un caso di possessione diabolica del Seicento

Nevrosi demoniache


Pubblichiamo una parte di una delle relazioni presentate al convegno "Malattia versus Religione tra antico e moderno", terzo incontro delle Giornate Genovesi di Cultura Cristiana. L'autore è titolare della cattedra di Psicologia dell'educazione all'università di Milano Bicocca.

di Claudio Risé

Freud presenta, in Una nevrosi demoniaca nel secolo decimosettimo, un caso di "patto col diavolo", con conseguente possessione, ricostruito sui documenti originali conservati nel santuario di Marienzell, in Carinzia. Lo studio, condotto da Sigmund Freud "come si fosse trattato di un caso attuale in analisi" (in S. Freud, Opere, ix, Torino, Bollati Boringhieri, 2006, p. 325) è utile alla nostra indagine perché ci mostra attraverso quali percorsi, bisogni e ideazioni (più o meno deliranti) prenda forma la servitù volontaria al Padrone negativo.
Si tratta del racconto che fa di se stesso il pittore Christoph Haizmann, raccolto e confermato dai padri del convento. L'uomo nel 1669 era caduto in uno stato di "melanconia" (è lui stesso a definirla così, oggi il Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders lo chiamerebbe forse "episodio depressivo"), in seguito alla morte del padre. Il diavolo gli si era avvicinato, gli aveva chiesto il perché del suo stato, e gli aveva promesso di aiutarlo e sostenerlo in ogni modo. "Ci troviamo dunque di fronte al caso di una persona che stringe il patto col diavolo al fine di liberarsi di uno stato di depressione psichica" (ivi, p. 35). I patti sottoscritti sono due. Il primo patto, scritto con l'inchiostro, è:  "Io, Christoph Haizmann, firmo un patto con questo Signore, impegnandomi ad essere suo figlio e servo per nove anni. Anno 1669". Il secondo, scritto col sangue, dice:  "Anno 1669, Christoph Haizmann. Con questo patto mi dichiaro impegnato ad essere figlio e servo di questo Satana, ed in capo a nove anni ad appartenergli nel corpo e nell'anima". Lasciamo ora Freud, che, pur con la consueta lucidità, e non senza un sottile humour, riconduce tutto al suo abituale schema interpretativo, fondato sul romanzo famigliare (padre, madre, figlio), e sulle sue eventuali implicazioni affettive, limitando a questo ogni dinamica psicologica ed escludendo qualsiasi contenuto e direzione trascendente. È vero, naturalmente, che al centro del patto c'è la sostituzione del padre morto, con l'acquisizione di Satana come padre. Però c'è assieme la (a mio avviso fondamentale) "dichiarazione di servitù. L'acquisizione del padre satanico è ottenuta contemporaneamente all'impegno di un servaggio", di una rinuncia alla libertà. E questo ci consente di ipotizzare che gli scopi dei patti di Haizmann fossero appunto due:  riavere un padre, e liberarsi della libertà.
Realizzando così quella pulsione à rébours ("all'indietro"), verso un indistinto originario che (pur tutelando il soggetto) lo sollevi dai gravami e dalle sfide materiali e morali della libertà e della responsabilità. Allo scadere dei nove anni, durante i quali è il diavolo che si impegna a soddisfare i desideri del pittore di avere un padre e un padrone, il pittore avrebbe pagato ciò che aveva ottenuto, consegnando definitivamente al diavolo la proprietà del suo corpo e dell'anima. Si può notare che, così come Freud trascura il "servaggio", considerandolo un'espressione convenzionale, altrettanto i padri di Marienzell che traducono in latino patti e vicenda, menzionano solo il mancipavit, l'asservimento del pittore al demonio tradendo la Trinità divina, ma trascurano la sua ricerca di paternità. Tutti comunque, Freud e i Padri, non badano alla liquidazione del soggetto umano, (e neppure all'incapacità di conservarne la responsabilità della guida) che spinge alla redazione del patto.
L'amplificazione della figura paterna che l'uomo ritrova nel diavolo, con contenuti più ampi, sia intrapsichici che archetipici, è illustrata da tavole, nelle quali Haizmann ha rappresentato in che forme gli apparve il diavolo nelle diverse visite che gli fece. Nella prima è in effetti una figura paterna, un "rispettabile signore di una certa età, con una grande barba bruna, un mantello rosso, il cappello nero, la mano destra appoggiata sul bastone, e un cane nero accanto". Solo i colori, e il cane nero, sono le avvisaglie simboliche di cos'altro c'è, dietro a un padre distinto ed equilibrato. Nella seconda gli aspetti demoniaci si moltiplicano, il vestito è sostituito da un mantello sotto il quale la figura è nuda, la testa è coperta da un elmetto cornuto, la barba è caprina, le gambe sono scheletriche e terminano in artigli. Ma soprattutto dal petto nudo emergono due enormi e gonfie mammelle. Il cammino regressivo ha già raggiunto, a partire dal potere paterno, l'arcaico e violento potere di una Grande Madre infera, nutriente e artigliante al tempo stesso. Più tardi questa figura, che già in questa fase contiene aspetti sia maschili sia femminili, apparirà con un enorme pene in forma di serpente:  un'immagine (quella del serpente) che nella psicologia analitica - come nella storia delle religioni - rappresenta per solito l'aspetto fallico e di potere dell'archetipo della Grande Madre, nella quale il padre è stato ormai del tutto risucchiato, come nelle grandi regressioni psicotiche. Col passare del tempo, la figura diventa più terrificante, e compare infine il drago:  l'immagine più terrifica e tradizionale del demonio.
Infine, un paio di mesi prima che il patto scadesse, mentre il pittore è in Chiesa a Pottenbrunn, a sud dell'Austria, viene colto da violente convulsioni. Queste si ripetono nei giorni successivi; preoccupato il parroco gli parla, e gli chiede se "non avesse intrecciato un rapporto con lo spirito maligno". Il pittore racconta allora del patto, che sarebbe scaduto il 24 del corrente mese di settembre del 1677. Dichiara poi di essere pentito, e di credere che solo la grazia dell'effige di Maria venerata a Marienzell avrebbe potuto salvarlo, costringendo Satana a liberarlo dal patto, scritto col sangue. Il parroco di Pottenbrunn inviò dunque l'uomo a Marienzell, con una lettera di presentazione ai frati. Qui viene compiuto un esorcismo alla presenza dei religiosi riuniti nella cappella. Il pittore vede così in un angolo della cappella il diavolo sotto forma di drago, si precipita verso di lui, che restituisce il patto a suo tempo scritto col sangue. Sta subito bene, e se ne va a Vienna, dove va ad abitare presso una sorella sposata. Poi però ricominciano le apparizioni diaboliche, con le forme, questa volta, di Cristo e della Vergine. Torna allora al santuario, raccontando dell'altro patto, quello scritto a inchiostro, e chiedendo un nuovo esorcismo per rientrarne in possesso. Ciò viene fatto, anche l'altro patto viene restituito, l'uomo stavolta entra nell'Ordine della misericordia, e muore "in dolcezza e serenità" nel 1700, di tisi, nel convento che l'Ordine ha a Neustatt, sulla Moldava. Al di là dell'avvenuta restituzione dei patti, che certo ha la sua importanza, vale forse la pena di notare come solo l'adesione e l'ingresso nell'ordine monastico, che in qualche modo accoglie il soggetto in una comunità più vasta e in una sovranità positiva, sollevandolo attraverso la Regola dall'esercizio solitario della libertà e della responsabilità, acquieta l'anima e la psiche di Haizmann, ora frate Chrystosomus.
Tuttavia non c'è dubbio che in questo "caso" si sia anche realizzato un processo di trasformazione psicologica. Ancor prima delle restituzione dei patti, e della rassicurazione ottenuta con l'ingresso nell'Ordine, cos'è che ha trasformato l'ossesso in preda alla convulsioni nel pacificato monaco di Neustatt? Grande importanza terapeutica ha certamente rivestito l'aver rovesciato, da parte di Haizmann, la propria posizione psicologica dalla passività nei confronti dei contenuti identificati col diavolo, che prima voleva servire, all'attività di un soggetto che appuntava e descriveva meticolosamente gli incontri, le apparizioni, le sembianze e le ingiunzioni di Satana. I fogli in cui egli dipinse le diverse apparizioni del diavolo, da padre benevolente a drago che sputa fiamme, passando per una figura androgina di padre-madre terrifica, gli servirono per prendere coscienza del rischio che stava correndo, di venire cioè distrutto, annullato da un'entità primordiale e divorante cui inconsciamente aveva voluto tornare. A quel punto ha avuto paura, è tornato in chiesa, ha chiesto aiuto, è stato preso da convulsioni e, con l'aiuto dei frati, ha continuato il percorso di recupero e guarigione del suo Io debole, e malato. La restituzione dei patti, da lui (e dalla comunità dei frati) richiesta imperiosamente a Satana, è l'immagine simbolica del recupero di sé, del suo sé che era stato compromesso in quei patti. L'iniziale ripiegamento in se stesso si è rovesciato qui in un deciso "andare verso" il demonio, un convocarlo per riprendersi ciò che gli aveva consegnato nell'incertezza identitaria seguita alla morte del padre. È questo mutamento di posizione e di direzione, fisica, psicologica e spirituale, che indica l'arresto della caduta, e l'inizio della guarigione. Un inizio segnato da un atto di volontà, dopo i precedenti cedimenti.
In effetti accettare la "servitù volontaria" è ancora un atto di libertà, l'ultimo, forse, prima di diventare schiavi, e precipitare nella malattia. Che non è solo la possessione demoniaca:  anche quella della droga, del cibo, del sesso, dell'alcool, di internet, hanno le stessa caratteristica:  un soggetto che non regge il "peso" della libertà e della responsabilità, e che accetta, e a volte chiede, la schiavitù.
Un comportamento, questo, che, nella sua fase iniziale soprattutto, è solo al limite della malattia, anche perché a volte è (si presenta come) uno stato di necessità. È per questo, anche, che i giusnaturalisti, come Grotius, trovavano normale la servitù volontaria:  "Poiché lo status di servitore sembrò comodo a molti, molti si decidettero a entrare in questa condizione nella famiglia di qualcuno, col patto che venisse loro fornito il cibo e le altre cose necessarie alla vita. La servitù fu così stabilita da un libero contratto tra le parti e con un accordo di fare, in cambio di un ricevere". Anche il pittore Christoph Haizmann forse ha dovuto compiere quel cammino, per poi scoprire, quando le sue energie aumentarono (anche per la paura, ma soprattutto per l'esercizio di riflessione simbolica realizzato col dipingere le trasformazioni del demonio), la bellezza di una posizione pienamente attiva e responsabile, e della libertà. Poiché, come abbiamo visto, la servitù volontaria affonda le sue radici nella ricerca dello stato fusionale perduto con la separazione dalla madre, a volte questo passaggio regressivo, che ripete il trauma originario legato agli inizi della vita umana, si rivela necessario per "comporre conflitti (e dolori) verificatisi nell'infanzia, in particolare quando la madre non ha reso possibile, o facile, questa separazione".
Come spiega Michela Marzano presentando il saggio di Etienne de La Boétie sulla servitù volontaria, "la servitù volontaria si spiega con desiderio del popolo di trovare una sorta di unità simbolica presso il tiranno, rassicurandosi così sulla propria identità. Il desidero di servaggio, cercando di realizzarsi, si rivolge sistematicamente contro se stesso, e diventa un "desiderio di morte". In questo senso il desiderio di servaggio prende sempre le mosse da un desiderio di riconoscimento, ma si conclude sempre con la sua cancellazione".
Quasi sempre. Sul piano individuale almeno, a volte, come abbiamo visto nel caso del pittore Christoph Haizmann, succede qualcosa di imprevisto. Può accadere, infatti, come ha notato anche McDougall, che queste "servitù autoprocurate", nate dalla coazione e dal bisogno, riescano involontariamente a far passare il soggetto dal piano passivo del bisogno a quello, attivo, del desiderio. Mettendo così le premesse per il passaggio verso la costruzione di un soggetto, dotato appunto della capacità di sviluppare desideri distinti e diretti verso un preciso oggetto, e quindi verso la libertà e la guarigione.
Come osserva Lacan:  "Il soggetto prende forma in quel margine in cui la domanda si strappa dal bisogno", dando così luogo alla formazione di un desiderio. In queste esperienze "estreme" infatti (anche per la loro estrema profondità), la persona può rendersi conto che la soddisfazione del bisogno non esaurisce la domanda originaria (che andava al di là di quel bisogno), e riesce a trasformarla in un movimento desiderante, che si oppone potentemente alla pulsione di morte, col suo percorso inesorabilmente regressivo verso l'ormai non più vitale unità originaria. Solo a quel punto il soggetto può legittimamente dire:  "Io", vivendo tutte le traversie che comunque lo caratterizzeranno, dato che "Io" non è comunque mai un'entità stabile, né tantomeno immutabile.



(©L'Osservatore Romano 4 luglio 2010)
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