"Impressioni d'Abruzzo" di Enrico Nicolò

Fotografo perché ho qualcosa da scrivere


di Silvia Guidi

Si possono osservare le scrostature di vernice su una vecchia porta - segno di mille estati che hanno scolorito e corroso i blu, i rossi, gli ocra delle ridipinture successive creando un impasto policromo di tonalità sovrapposte - fino a farle diventare la corteccia di un albero esotico inesistente in natura. Ma si può anche lasciarsi guidare dalla luce calda del tardo pomeriggio fino a trasformare una balla di paglia pressata in una filigrana dorata appoggiata al blu cupo del cielo, come un prezioso bottone su una stoffa. I fotogrammi interiori di Enrico Nicolò sono un viaggio tra le cose "mutanti" che ci sono accanto tutti i giorni (Impressioni d'Abruzzo. Fossacesia:  fotogrammi interiori, Chieti, La Voce Multimedia, 2010, pagine 76) nella consapevolezza che catturarne la mutevolezza con un obiettivo senza addomesticarne troppo la natura non è facile, serve una grande disponibilità all'attesa e un'altrettanto grande permeabilità alle soluzioni inattese e alle geometrie impreviste regalate dal paesaggio.
Enrico Nicolò cita il fotografo Balazs Borocz come esempio di un atteggiamento molto raro tra gli artisti contemporanei:  Borocz è un "portatore sano" di gratitudine, ha la consapevolezza di non possedere fino in fondo l'abilità o la sensibilità particolare che esprime nell'opera d'arte, ma di averla ricevuta in dono, come il proprio tono di voce, il colore degli occhi, il padre e la madre, l'esistenza stessa. "Ritengo mia missione personale - scrive il fotografo - creare cose che possano essere amate, che suscitino amore nelle persone. Immagino il mondo come una lotta tra cose buone e cose cattive. Se io posso suscitare amore in chi guarda le mie foto, la portata delle cose buone aumenterà (come accade normalmente dopo un buon concerto, un buon film o una mostra). Come artista ho la percezione di una mia responsabilità personale:  dal momento che ho un dono, devo usarlo al servizio dei migliori propositi. Infine mi sento motivato anche dal mio destino, ho avuto un talento da Dio e sono in debito, sono nella condizione di dover restituire in qualche modo, lavorando e mettendo  a  disposizione  il mio talento".
Nicolò usa e distorce il colore per evocare scenari surreali, come negli scatti all'infrarosso o deformati dalla pioggia ("Impressioni di gocce - 1", 2008), ma talvolta preferisce il bianco e nero per dare risalto a nervature, intrecci di linee e volumetrie giustapposte, alla scoperta della straordinaria normalità di quello che vediamo tutti i giorni, accompagnando lo sguardo lungo le ombre vellutate che disegnano una zucca o raccontano la morbida friabilità della terra appena dissodata (come in "Morgia", 2008).
"Quelli di noi che conoscono il piacere dell'inquadratura - scriveva il fotografo Dennis Stock, recentemente scomparso - sanno che il nostro scopo è di opporci al caos. Ci preoccupa l'ordine per scoprire dov'è l'armonia. Vogliamo affermare qualcosa, non distruggerlo".
Le cose, secondo l'autore, possono raccontare noi stessi meglio delle espressioni di un viso:  una rete da pallavolo su una spiaggia deserta o la sagoma di un vecchio trabocco sul mare appeso alle sue fragili palafitte, goffamente incastrato nella linea dell'orizzonte come un ragno dalle zampe sottili infilzato da uno spillo, sono un interessante intreccio di ombre, ma anche un grido silenzioso raggelato in mille sfumature di grigio, segno dell'infinito desiderio di libertà che affonda le sue radici nella natura stessa dell'uomo, mentre una palizzata di cemento corrosa nel montaliano "meriggiare pallido e assorto" di un giorno d'estate spiega meglio di un ritratto il difficile cammino della vita. "Fotografo perché ho qualcosa da scrivere" ama dire l'autore.



(©L'Osservatore Romano 4 agosto 2010)
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