Serietà e bellezza del gioco dai profeti biblici a Montaigne

Il divertimento di creare


di Gianfranco Ravasi

La mia famiglia ha sempre avuto per casa almeno un gatto. È forse per questo che anch'io appartengo alla schiera di coloro che rimangono affascinati dall'eleganza ora indolente ora bizzosa e aggressiva di questo felino. Condivido, perciò, quello che scriveva più di quattro secoli fa nei suoi Saggi il grande Montaigne:  "Quando gioco con la mia gatta, non riesco a sapere se è lei a divertirsi di più con me o in verità se sono io a divertirmi di più con lei". Il divertimento autentico è, infatti, una sorta di indizio di umanità perché comprende libertà, creatività, freschezza, poesia. Il poeta tedesco Schiller nel suo trattato Sull'educazione estetica dell'uomo non esitava a scrivere che "l'uomo gioca soltanto quando è uomo nel significato più pieno del termine ed egli è interamente uomo solo quando gioca".
In questa luce si riesce a capire perché la cosiddetta "analogia ludica" sia diventata nella teologia, non solo recente, un modello per parlare di Dio (pensiamo alla Festa dei folli di Harvey Cox o all'Homo ludens di Hugo Rahner). La stessa Bibbia non ha imbarazzo nel raffigurare la Sapienza divina creatrice come una fanciulla che sta danzando divertendosi nell'orizzonte di quel mondo che sta fiorendo dalle sue mani (Proverbi 8, 30-31). Il creare, quindi, come divertirsi:  ne sanno qualcosa gli artisti. Anzi, persino Gesù si lascia catturare incuriosito dal divertimento, sia pure fallito, di un gruppo di ragazzi che giocano sulla piazza di un villaggio e che non s'accordano sul tipo di gioco da adottare:  alcuni vorrebbero mimare una festa di nozze ballando al suono del flauto, altri desidererebbero invece imitare un funerale piangendo e lamentandosi (Matteo, 11, 16-17).
Dopo tutto già nell'Antico Testamento l'era messianica era vista anche attraverso il bambino che si diverte con gli animali e che, travolto dalla curiosità che accompagna il gioco, infila la manina nella buca della vipera (Isaia, 11, 8). Oppure si sognava una Gerusalemme le cui piazze "formicolavano di ragazzi e di ragazzi che giocavano divertendosi" (Zaccaria, 8, 5). La stessa rappresentazione escatologica nell'immaginario di secoli e secoli di arte ha sognato sempre un "paradiso" di festa, di musica, di danze. Un severo Lutero non era imbarazzato a descrivere la gloria celeste così:  "Allora l'uomo giocherà col cielo e con la terra, giocherà col sole e con tutte le creature. E tutte le creature proveranno un piacere, un divertimento, un amore immenso e rideranno con te, Signore". Un serioso teologo come Karl Barth non temeva di prospettarsi un paradiso ove la musica della liturgia dell'Agnello fosse solo quella di Bach, ma ai santi, ritornati nelle loro stanze celesti, fosse concesso di abbandonarsi al godimento della musica di Mozart!
Il vero divertimento non è, quindi, il semplice passatempo, il diversivo, la distrazione:  è qualcosa di più profondo che coinvolge tutto l'essere in maniera sia "dionisiaca" sia "apollinea". Se però prevale solo Dioniso, abbiamo l'abbrutimento di un certo tifo barbarico da stadio calcistico ove il divertimento può precipitare nel sadismo lugubre e macabro. Se il divertimento è inquinato da fattori estranei come l'economia, l'interesse, la moda, l'obbligo sociale del "divertirsi" a tutti i costi, allora si comprende l'ambiguità di fondo del vocabolo adottato per esprimere questa esperienza. "Divertirsi" deriva, infatti, dal latino devertere, cioè "distogliere, stornare, distrarre" ed è il contrario di "convertirsi", anzi può correre verso il tratto oscuro dello spettro semantico legato al vertere, divenendo un "pervertirsi" o un'"eversione". Non si dimentichi che "divorzio" deriva ugualmente da devertere.
È per questo, allora, che esiste un sospetto nei confronti del divertimento a causa della sua ambiguità che, in ultima analisi, è la stessa ambiguità della libertà umana. Così, il Qohelet, vecchio sapiente realistico di Israele, ammoniva:  "Divertiti, o giovane, nella tua giovinezza, si rallegri il tuo cuore nei giorni della tua gioventù. Segui pure le vie del tuo cuore e i desideri dei tuoi occhi. Sappi, però, che su tutto questo Dio ti convocherà in giudizio" (11, 9). E un altro sapiente biblico, il Siracide, continuava:  "Corri a casa e non indugiare:  là divertiti e fa quello che desideri, ma non peccare!". Di fronte a un certo "divertimento" imbastardito, stupido e volgare a cui ci sta abituando la società contemporanea soprattutto attraverso la televisione, questi moniti sono meno moralistici di quanto sembrino a prima vista. Essi potrebbero salvaguardarci dal perdere il gusto per il vero divertimento, nauseati da certi divertimenti. Avrebbe, allora, ragione Edward Bulwer-Lytton, politico e scrittore inglese dell'Ottocento, quando ci ricordava che "la vita sarebbe abbastanza divertente se non fosse per i suoi divertimenti".



(©L'Osservatore Romano 20 agosto 2010)
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