Un piccolo ma prezioso patrimonio sottratto alla rovina

L'Archivio della «schola di santità et hilarità» di Filippo Neri


di Edoardo Aldo Cerrato

Una bella pubblicazione uscita all'inizio dell'estate a cura di Anna Di Falco e Alberto Bianco, Archivio della congregazione dell'Oratorio di san Filippo Neri. Intervento di conservazione, valorizzazione e fruizione del patrimonio documentario e storico-artistico. Roma 2006-2009, (Roma, 2010, pagine 79) illustra e documenta il lavoro compiuto dai due autori e direttori degli interventi. Lavori realizzati grazie al contributo della regione Lazio.
Tutto il vasto complesso vallicelliano - di cui agli oratoriani, dopo gli eventi risorgimentali, è rimasta la custodia di una sola piccola parte - è viva e preziosa memoria di una storia iniziata con Filippo Neri, apostolo di Roma. Di tale opera il santo, benché in vita abbia potuto vedere soltanto la chiesa - e neppure nello splendore delle forme e della ornamentazione che essa avrebbe assunto nei secoli XVIi e XVIii - è l'iniziatore. Il Neri non vide sorgere infatti, la biblioteca Vallicelliana:  ma all'origine di essa, come pure dell'attuale biblioteca della congregazione, formatasi dopo le vicende storiche di fine Ottocento, ci sono la sua personale libreria - cospicua, per l'epoca - e il suo amore per i libri e la lettura. Non vide l'Archivio:  ma i "Libri dei Decreti" - in cui la giovane congregazione oratoriana iniziò a registrare le decisioni di governo - sono la culla del grande archivio vallicelliano, ora in parte patrimonio dello Stato e in parte della Casa. Non vide san Filippo la splendida casa:  ma il suo gusto per il bello non è certo estraneo all'impostazione di chi - soprattutto padre Virgilio Spada - ispirò al Borromini la costruzione.
In una deposizione al processo di canonizzazione di Filippo Neri, Marco Antonio Maffa usò un'espressione di rara efficacia per descrivere l'ambiente filippiano:  "schola di santità et hilarità cristiana".
"Il programma spirituale del Neri - afferma Marco Marcocchi - si nutre di fiducia nella natura umana e di amore per l'arte (...) si caratterizza per l'equilibrio del rapporto tra Dio e l'uomo, tra natura e grazia, rifugge dai toni foschi e accigliati, si illumina di festosità e di gioia. Questo programma è influenzato dall'umanesimo cristiano, il cui retroterra teologico è il principio che la grazia non sopprime la natura, ma la sana, la irrobustisce, la perfeziona".
Diversamente da altri esponenti della vita devota, anche del suo tempo, dai quali pure accolse utili lezioni, Filippo è sensibile alla bellezza che si manifesta nella natura e nell'arte e induce a prediligere gli spazi aperti; ad amare la musica e il canto; a essere attento alle espressioni delle arti figurative. A questo proposito, interessante è la testimonianza che, tra le altre, si legge nella Vita di Pietro Giacomo Bacci, dove il biografo ricorda che padre Filippo spesso sostava, in Chiesa Nuova - da lui voluta e con grandi sacrifici innalzata - dinanzi alla tela della Visitazione del Barocci che unisce a una concezione ancora tardo manieristica i caratteri di essenzialità e di semplicità cari a Neri.
Era uomo di buona cultura, anche se i suoi studi giovanili non presentano un iter accademico regolare. La risoluzione di abbandonare la "Sapienza" e lo Studio Teologico degli Agostiniani a Roma - dove aveva iniziato a frequentare le lezioni - non fu determinata da disinteresse nei confronti di quelle discipline, di cui, anzi, portò il gusto e sulle quali non mancò di affrontare il discorso quando l'occasione gli si presentava:  "Anchorché lo studio del nostro Padre fosse oratione continua, nondimeno, quando voleva raggionare de materia de theologia, de philosophia o lettere humane, le haveva tanto fresche come se le havesse studiate all'hora", attesta al processo di canonizzazione Antonio Gallonio, primo biografo e discepolo per lunghi anni del santo. "Usava spesso, massime da certi anni in qua, per divertire il suo spirito raggionare di theologia e di pholosophia; nelle quali scienze era molto versato" depone il cardinale Girolamo Panfili; e Matteo Guerra testimonia:  "Ho sentito molte volte disputare il Padre con alcuni theologi et dotti, nel dichiarare molti passi della Scrittura, che quelli istessi theologi et li circostanti se ne meravigliavano".
Nato a Firenze, patria dell'umanesimo, Filippo Neri portava dentro di sé, dalla prima istruzione ricevuta, l'amore per il libro. Nei sessant'anni in cui visse a Roma la sua libreria personale si arricchì di volumi a stampa e di manoscritti il cui inventario - redatto al momento della morte - rende l'idea degli interessi e della versatilità di Filippo:  le circa cinquecento opere costituiscono una raccolta che, messa a confronto con le librerie personali dell'epoca, mostra ragguardevole importanza.
Dall'amore di Filippo per i libri e per la lettura trae origine certamente, nell'Oratorio nascente, il "ragionamento sul libro" che caratterizzava gli incontri con i discepoli dapprima nella "stanziola" del santo in San Girolamo della Carità, poi nell'ambiente più ampio concesso dai confratelli della Carità sopra la navata della chiesa, il primo "Oratorio".
Grazie alla presenza di uomini di levatura culturale quali Cesare Baronio, Francesco Tarugi, Tommaso Bozio, questi incontri ospitarono, nell'arco di breve tempo, i "sermoni" dell'Oratorio che fu detto "grande", per distinguerlo da quello vespertino, ristretto alla cerchia dei più intimi e fondamentalmente costituito dalla preghiera vocale e dall'orazione mentale.
Lungi dal rappresentare un'occasione di solo godimento intellettuale, la cultura costituiva, nelle tornate oratoriane, un mezzo di elevazione spirituale ed era occasione di formazione alla virtù.
Ogni questione teorica e astrattamente speculativa vi era bandita; gli argomenti preferiti - oltre che la riflessione sulla Parola di Dio e la pratica delle virtù - erano quelli legati alla storia della Chiesa e all'esperienza del cristianesimo delle origini. Si svilupperà dalla predilezione per questa materia anche la disciplina dell'archeologia cristiana, atteso l'approccio metodologico e l'attenta analisi delle fonti divenuti caratteristica delle trattazioni oratoriane. Il lavoro svolto a servizio dei sermoni diventò nel volgere di breve tempo un vero e proprio impegno scientifico che porterà con il Baronio alla pubblicazione degli Annales a partire dal 1588, mentre già nel 1584 con unanime favore era stato accolto il Martirologio, alla cui revisione il Baronio si dedicò con severi studi per incarico di Gregorio xiii; con Gallonio alla agiografia; con Paolo Aringhi alla archeologia, con Bozio alla trattatistica anti-machiavelliana.
Dalla necessità di favorire questi studi - secondo quanto affermava Baronio - scaturì l'incremento e la specializzazione della biblioteca Vallicelliana, destinata a diventare una delle più importanti biblioteche romane.
La fama di rigorosi cultori delle scienze storiche riconosciuta agli oratoriani - vi eccelsero in particolare i padri Orazio Giustiniani (1580-1649), Odorico Rinaldi (1595-1671), Francesco Marchesi (1623-1697), Giacomo Laderchi (1678-1738), Giuseppe Bianchini (1704-1764), Agostino Theiner (1804-1874), Generoso Calenzio (1831-1915) - si rifletteva sulla loro biblioteca che costituisce, insieme alla biblioteca dei girolamini (oratoriani) di Napoli, l'espressione più compiuta e il frutto più duraturo della loro vicenda intellettuale e che, divenuta strumento prezioso per gli studi di storia religiosa ed ecclesiastica, le consentì di superare indenne l'insidia dello smembramento che segnò la fine della maggior parte delle biblioteche religiose romane nel decennio seguito all'annessione di Roma all'Italia.
La biblioteca fu oggetto di una lunga trattativa istituzionale ampiamente documentata nelle discussioni parlamentari tra il 1870 e 1880, poiché la sua sede risultava ambita da diverse amministrazioni che se la contesero invano. Essa, fortunatamente, poté rimanere al suo posto, benché sottratta alla gestione dei padri e affidata alla Società Romana di Storia Patria che ne ebbe la direzione scientifica, affiancata da un commissario governativo per l'aspetto amministrativo, per poi divenire una biblioteca governativa a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso. Il cambiamento di gestione garantì, comunque, l'omogeneità e l'integrità del patrimonio librario, ma i padri dell'Oratorio romano, privati della loro biblioteca dovettero con fatica ricostituirne un'altra, che è ben poca cosa se paragonata alla originaria, ricca di 25.000 volumi a stampa e di una preziosissima raccolta di circa 3.000 manoscritti.
Ebbe, purtroppo, una sorte assai più dolorosa l'Archivio della congregazione, la cui costituzione risale al 1582 quando il padre Niccolò Gigli diede un primo assetto organizzativo alle carte che vennero poi collocate dal padre Virgilio Spada nelle sale previste dal progetto di Francesco Borromini nell'edificio dell'Oratorio "che sopra e sotto ha volte et è lontano da camini e pericoli di fuoco", come leggiamo nel manoscritto dell'Opus architectonicum equitis Francisci Borromini di padre Spada, uno dei più preziosi documenti dell'Archivio oratoriano.
La fisionomia dell'Archivio rimase intatta e si trasmise negli inventari settecenteschi, compilati subito dopo la bolla di Papa Benedetto xiii sugli archivi, fino al 1870, quando il timore di perdere le memorie preziose della propria storia indusse gli oratoriani a nascondere alla meglio le loro carte onde sottrarle all'incameramento decretato dalle nuove leggi.
La giunta liquidatrice dell'asse ecclesiastico, in esecuzione della legge del 1873 che estendeva alla provincia di Roma le leggi sulle corporazioni religiose, prese possesso dei beni della congregazione nel dicembre dello stesso anno. La stessa giunta provvide nel 1876 alla consegna delle carte dell'Archivio all'Archivio di Stato di Roma. Il materiale pervenuto dai padri fu contrassegnato da una nota approssimativa redatta dalla giunta, dalla quale si evince che la consegna non fu particolareggiata ma "in massa" e senza alcun inventario, come si deduce dal verbale di consegna di cui Anna Maria Corbo fa memoria nell'introduzione al suo inventario stilato negli anni Cinquanta. Il prospetto non aveva valore ufficiale, redatto come fu da un impiegato della giunta "in confidenza". Si nota che alcuni gruppi di documenti non furono consegnati e che altri, come i registri dei decreti, i verbali della congregazione e l'archivio musicale, non compaiono affatto.
Innumerevoli furono le dispersioni, i trafugamenti e le perdite di materiale archivistico che, per essere affrettatamente nascosto, finì per perdersi o per andare distrutto dall'umidità:  i padri, infatti, privati dei locali nei quali ospitare le carte dell'archivio, dovettero, per molti anni, conservarle in luoghi di fortuna dove intemperie, animali e visitatori indiscreti contribuirono alla dispersione.
L'opera di restauro e di valorizzazione di questo ridotto ma prezioso patrimonio è segno di quanto importante esso sia:  e lo sanno, in particolare, i numerosi studiosi che continuamente vi accedono.



(©L'Osservatore Romano 4 settembre 2010)
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