San Francesco d'Assisi e i 150 anni dell'unità d'Italia

Cattolico dunque patriota


di Marco Bellizi

San Francesco d'Assisi. Patriota. Simbolo di unità nazionale. Capace di pacificare un Paese da sempre in guerra latente con se stesso. Di più:  capace di mettere d'accordo destra e sinistra italiana, un'impresa che da sola si avvicina alla categoria del miracolo. E poi, Francesco in un certo senso anche protofederalista, impegnato a coniugare la globalità con il locale, l'universalità del messaggio e la potenza diffusiva della lingua volgare, seguendo sempre il filo rosso della solidarietà dovuta a ogni membro della famiglia umana, a ogni figlio di Dio.
Sembra troppo. Eppure Francesco d'Assisi è così:  è il santo di tutti, senza che per questo la complessità della sua figura ne risulti ridotta. E viene perciò naturale pensare al patrono d'Italia anche come a uno dei padri della coscienza comune del Paese, e dunque accostare la sua figura alle celebrazioni per i 150 anni dell'unità. Con buona pace di chi considera il Risorgimento una fase della storia dalla quale i cattolici debbano essere esclusi per principio. Ha detto il presidente del Senato, Renato Schifani, aprendo martedì l'incontro a Palazzo Giustiniani su "San Francesco patrono d'Italia a 150 anni dall'unità nazionale":  "Una comprensione nuova del contributo cattolico al processo unitario appare finalmente possibile anche a livello teorico e storiografico, dopo che la realtà quotidiana ha già dimostrato il pieno superamento di ogni divisione e la rinnovata concordia tra le istituzioni statali ed ecclesiali. Lungo questo orizzonte di superamento delle divisioni ed equilibrio tra le diverse sensibilità, il ritratto di san Francesco rientra senza forzature tra i padri fondatori dell'Italia unita". E Anna Finocchiaro, capogruppo del Partito democratico (Pd) al Senato, che ha partecipato all'incontro assieme, fra gli altri, al ministro della Pubblica Istruzione Maria Stella Gelmini e al senatore Maurizio Gasparri:  "Probabilmente Francesco è cofondatore dell'èthos nazionale", una circostanza che spiega anche "perché il nazionalismo italiano non sia stato mai un nazionalismo escludente". Francesco - ha aggiunto l'esponente del Pd - si è reso interprete di un primo esempio di quello che oggi viene definito glocal, ovvero, nel caso del santo d'Assisi, di "un universalismo predicato a livello locale". Due dichiarazioni che, da sole, sembrano consolidare le convinzioni di chi ritiene il cattolicesimo come elemento costituente non solo della spiritualità ma anche della stessa cultura laica italiana.
Un ruolo attuale, secondo quanto ha ribadito nel corso del suo intervento a Palazzo Giustiniani il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, il vescovo Mariano Crociata:  "Rispetto ai sentimenti di distanza, se non disaffezione - ha detto il presule - con cui molti oggi guardano all'anniversario dell'unità d'Italia, come cattolici ci sentiamo impegnati a riproporre i principi fondamentali della dottrina della Chiesa", principi che "ci interpellano e spingono a dar corso a quelle riforme che il Paese attende da anni e su cui è necessaria la ricerca del più ampio consenso".
L'identità italiana si trova a coincidere così quasi perfettamente con i valori di quell'autentico umanesimo cristiano che Francesco ha saputo così felicemente incarnare, ovvero, ha ricordato monsignor Crociata, "priorità della persona umana, portatrice di valori inalienabili antecedenti allo Stato e che lo Stato è chiamato a promuovere:  dalla tutela della vita, dal concepimento alla morte naturale, alla sussidiarietà, dalla solidarietà a una laicità che riconosce la distinzione e insieme la collaborazione tra ordine politico e ordine religioso". Una collaborazione, per la verità, non sempre praticata con successo. E non solo per colpa dello Stato:  "Il mondo cattolico - ha detto monsignor Crociata - ha conosciuto anche stagioni di difficile confronto, se non di scontro, specie a fronte delle misure repressive di alcuni governi anticlericali. È innegabile - ha osservato - che la paura che la fine del potere temporale potesse coincidere anche con il tracollo dell'istituzione ecclesiale, portò a chiusure, a irrigidimenti e a rotture". "Se, però, non vogliamo fermarci a ricostruzioni parziali e pregiudiziali - ha aggiunto - dobbiamo riconoscere che le tensioni non impedirono comunque ai cattolici di essere a loro volta portatori di una forte idea di unità nazionale:  nemmeno gli esponenti più intransigenti e conservatori misero in discussione il processo unitario, ma semmai le modalità con le quali doveva essere realizzato, affinché non avvenisse a scapito della Chiesa e della sua presenza nella società".
Tuttavia, ha spiegato il presidente del Senato, Renato Schifani, "una vera e propria contrapposizione fra laici e cattolici non vi fu neppure nelle fasi più complesse del periodo risorgimentale, quando invece a contendersi lo spazio del pubblico dibattito fu lo scontro tra clericali e laicisti. Per troppo tempo l'incomprensione fu il pretesto che impedì un dialogo costruttivo che oggi invece possiamo dirsi compiuto all'interno del doppio binario della "distinzione" e della "collaborazione", assi portanti di una ritrovata tensione verso il bene dell'intera nazione".
La mitezza di san Francesco - ha osservato Schifani - diventa modello anche per chi ha responsabilità nell'ambito della comunità civile, una mitezza che "è il codice che la politica può recuperare:  una mitezza, in primo luogo di linguaggio, che non è arrendevole rispetto ai valori ma è sempre pronta ad ascoltare le parole come i silenzi, per diventare strumento di libertà per tutti i cittadini e gli uomini del nostro tempo". "L'impegno di Francesco - ha aggiunto - era quello di servire e promuovere il bene comune e la dignità di ogni persona. Un sentimento che oggi possiamo liberamente chiamare "patria"". Il riferimento alla mitezza del linguaggio, da parte del presidente del Senato, non è casuale. Schifani è infatti tornato sulle polemiche sorte dopo le dichiarazioni, di stampo antisemita, fatte dal senatore Giuseppe Ciarrapico nel corso del dibattito a Palazzo Madama sulla fiducia al Governo. Si tratta di affermazioni fatte in un momento nel quale il presidente del Senato non stava presiedendo la seduta, "espressioni - ha assicurato Schifani - che sono da me duramente e formalmente censurate", "nessun cedimento è in alcun modo consentito o anche solo sottovalutato". Giudizio che il presidente del Senato ha riferito di aver espresso, in colloqui telefonici, anche al Presidente dell'Unione delle comunità ebraiche, Renzo Gattegna, e al presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici.
Francesco dunque anche modello di stile. Ha detto il vescovo di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino, Domenico Sorrentino:  "Francesco riesce a parlare come pochi anche a questa nostra società "plurale". E ciò non perché egli abbia una santità vaporosa, capace di adattarsi a tutte le mode. Nulla è ambiguo nella sua personalità. Tutto in lui dice Cristo, il Vangelo sine glossa, la croce fino alle stimmate. Il contrario del relativismo, dunque. Ma egli lo incarna in quella tipica mitezza che scarta presunzioni e arroganze, facendosi testimone di una verità che si coniuga con l'accoglienza, la prossimità, il calore fraterno". Francesco - ha osservato il Custode del Sacro Convento, padre Giuseppe Piemontese - è figlio del popolo italiano e insieme patrono di un'Italia che deve essere considerata "come territorio, popolo, Stato, nazione, civiltà, cultura. E comunità cristiana".



(©L'Osservatore Romano 7 ottobre 2010)
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