Da Giovanni da Montecorvino a Celso Costantini
le figure che hanno reso possibile il dialogo col Celeste Impero

Quattro ponti verso la Cina


"Chiesa e Stato in Cina. Dalle imprese di Costantini alle svolte attuali" è il volume curato da Bruno Fabio Pighin (Venezia, Marcianum Press, 2010, pagine 295, euro 35) che è stato presentato a Roma a Palazzo Borromeo. All'incontro sono intervenuti il cardinale Antonio Cañizares Llovera, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, monsignor Brian Edwin Ferme, preside della Facoltà di Diritto canonico San Pio X di Venezia, Giuseppe Dalla Torre, rettore dell'università Lumsa di Roma. Erano presenti anche i cardinali Giovanni Coppa, Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, Salvatore De Giorgi, Julian Herranz, Bernard Francis Law, e l'arcivescovo Giuseppe Bertello, nunzio apostolico in Italia e nella Repubblica di San Marino. Pubblichiamo ampi stralci dell'intervento dell'Ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede.


di Antonio Zanardi Landi

La Cina non è soltanto un grande Stato-nazione, come spesso in Occidente siamo soliti rappresentare, ma è un continente a se stante. Un continente multiforme, poliedrico, variegato e, in definitiva, "un enorme caleidoscopio di diversità" come ha giustamente sottolineato Giuseppe Dalla Torre. Una molteplicità di esperienze, di contenuti, di costumi, di popoli, di lingue, di etnie e persino di religioni:  dal confucianesimo al taoismo, dal buddismo all'islamismo, fino al cristianesimo sia nella declinazione protestante che in quella cattolica. Anche per questi influssi di tipo religioso, il rapporto tra la Cina e l'occidente può essere definito come un lunghissimo ponte di esperienze e di uomini che affonda i suoi basamenti in un remoto passato. Un deposito storico antico, dunque, caratterizzato da alcune grandi personalità, che provenivano soprattutto dalla penisola italiana, che con la loro azione missionaria, apostolica e diplomatica, hanno tracciato un percorso che è partito dal medioevo, ha raggiunto il xx secolo ed è arrivato fino ai giorni nostri.
Solitamente quando si parla dei rapporti storici tra Cina e Italia un pensiero comune, diffuso soprattutto dalla letteratura scolastica, va subito diretto verso una delle opere di maggior successo del medioevo:  Il milione di Marco Polo. Eppure, senza nulla togliere alle cronache del viaggio del mercante e ambasciatore veneziano, esistono altre esperienze, più profonde e durature, di cui ancora oggi avvertiamo i riflessi e i condizionamenti, che connettono il Paese del Celeste Impero non solo con l'Italia ma con l'intera cultura occidentale. Mi riferisco, ovviamente, a quelle esperienze di vita missionaria e a tutti quei legami "diplomatici" che hanno saputo tessere, in un lunghissimo intervallo di tempo, alcuni uomini di fede cattolica attraverso un poderoso slancio evangelizzatore e una intelligente sapienza "politica".
Al di là della prima "leggendaria predicazione" tommasea o dell'azione svolta dall'eresia nestoriana, nel vii secolo, è soprattutto nel medioevo e poi, in seconda battuta, tra il XVI e XVIi secolo che si formano le prime comunità cattoliche in Cina. Ed infine è solamente nel xx secolo, grazie soprattutto alla lettera apostolica di Benedetto xv Maximum illud del 30 novembre 1919, che si poté compiere la svolta diplomatica decisiva per porre le basi per una concreta e stabile relazione tra lo Stato cinese e la Chiesa cattolica.
Quello che si compie a cavallo di circa nove secoli è un percorso accidentato, non sempre lineare, spesso interrotto, costituito da successi e sconfitte, ma che mostra, nonostante tutto, delle continuità storiche e che si dimostra fecondo non solo nell'opera missionaria ma anche nell'instaurazione di alcuni rapporti "politici" tutt'oggi viventi, le cui fila, con tutti i dovuti distinguo del caso, sono rintracciabili sin dal medioevo. Questo percorso, o meglio, questo ponte tra queste due diverse civiltà, per molti aspetti culturalmente opposte, è stato tracciato, essenzialmente, da quattro grandi figure - quattro grandi italiani - che si sono susseguiti dal medioevo al Novecento e che sono nell'ordine, Giovanni da Montecorvino, Odorico da Pordenone, Matteo Ricci e Celso Costantini.
Il ruolo di "primo apostolo della Cina" spetta, senza dubbio, al francescano, doctissimus et scientissimus, Giovanni da Montecorvino. Una figura per lo più sconosciuta e poco celebrata. Invece, alcuni recenti studi ne hanno sottolineato l'importanza missionaria e l'elevata statura morale. Nel 1289, dopo aver riferito a Papa Niccolò iv della sua missione in Armenia, in Persia e in alcune regioni del Medio Oriente, Giovanni da Montecorvino partì per raggiungere l'Asia orientale e, in particolare, per fare visita al Gran Khan della Cina, Kubilai, al quale portava alcune lettere pontificie. Nel 1294 arrivò a Khambalik, l'attuale Pechino, dove fu accolto con grandi onori quale legato di Roma, da Timur, succeduto a Kubilai, e rimase nella capitale del Celeste Impero per ben 35 anni facendo costruire chiese, conventi e due istituti, simili a dei seminari, dove alcuni bambini cinesi vennero istruiti alla conoscenza del latino, della liturgia e del canto e, soprattutto, fatto assolutamente non secondario, traducendo il Nuovo Testamento e il Salterio. Giovanni da Montecorvino può dunque a ben diritto essere considerato uno dei fondatori della Chiesa cattolica in Cina e il precursore dell'attività missionaria francescana.
Sulla scia dell'opera tracciata da Giovanni da Montecorvino, si colloca l'azione svolta da Odorico da Pordenone, anch'esso francescano, il quale, riuscendo a congiungere una esemplare vita austera con un instancabile zelo missionario, si meritò l'appellativo di "apostolo dei cinesi".
Dopo alcuni secoli di stallo, la rinascita della presenza cattolica in Cina si deve soprattutto all'opera di Matteo Ricci che svolse la sua opera di evangelizzazione nel grande paese orientale a cavallo tra il XVI e il XVIi secolo. La sua azione in Cina, al tempo della dinastia Ming, dal 1582 alla morte, nel 1610, ha segnato indubbiamente la ripresa del cattolicesimo cinese. Una delle caratteristiche del metodo di apostolato del Ricci fu uno sforzo continuo di mettere in pratica le parole dell'Apostolo Paolo, "mi son fatto tutto a tutti" che reinterpretò in una nuova declinazione:  "Farsi cinese con i cinesi". Le linee-cardine sulle quali Ricci impostò la sua opera straordinaria furono a un tempo semplici quanto importanti:  al rispetto per i valori spirituali del Celeste  Impero  coniugò  la conoscenza della cultura e della lingua cinese; all'opera di apostolato e cura delle classi colte combinò l'esercizio della carità cristiana.
Tutte queste esperienze che ho brevemente riportato, confluiscono nell'opera missionaria dell'ultimo "grande italiano" che ho citato all'inizio, Celso Costantini.
Arrivò in Cina per la prima volta nel 1922 e si fermò nel grande Paese-continente asiatico fino al 1933 in qualità di primo Delegato Apostolico. Nonostante fosse poi rientrato in Italia e avesse assunto per moltissimi anni la segreteria di Propaganda Fide, Costantini lasciò in eredità all'oriente una missione che sarebbe sopravvissuta alla sua persona - allargandosi e consolidandosi negli anni successivi - e riassumibile, come ha evidenziato giustamente monsignor Bruno Fabio Pighin, in un motto che parafrasa la notissima dottrina Monroe, "la Cina ai cinesi".
Una delle grandi difficoltà che incontrò Costantini fu il cosiddetto "feudalesimo territoriale" o se si vuole l'"occidentalismo", che conferiva al cristianesimo in Cina "la falsa caratterizzazione di religione straniera, legata agli interessi espansionistici occidentali e contraria al bene della Cina". Per scardinare quest'immagine sbagliata - che però veniva alimentata dal "protettorato francese" - Costantini pensò bene che l'unica forma di sopravvivenza per il presente e di propagazione per il futuro fosse la creazione di una Chiesa cattolica veramente cinese e diffusa sul territorio.
Una bellissima immagine a cui ricorre Costantini per descrivere la difficile situazione della Chiesa in Cina è quella della "piantagione". Il porporato friulano, il 10 marzo 1924, scrisse che dopo tre secoli di lavoro "non si è riusciti" a "piantare la Chiesa", cioè a stabilire "la gerarchia cinese". E ancora:  "Invece di piantare un seme, si trapianta un albero adulto con tutto il suo fogliame". Quello che appare a Costantini come "un fallimento dell'opera missionaria" si trasformò, per l'appunto, nel punto principale del suo mandato in Cina. Costantini seminò e i frutti vennero raccolti nel 1946 quando venne costituita in forma stabile la gerarchia episcopale in Cina che può dirsi, senza dubbio, l'apice della strategia di monsignor Costantini.
Dopo l'ordinazione dei primi sei vescovi cinesi, avvenuta a Roma il 28 ottobre 1926, infatti, si effettuò la prima nomina di nuovi vescovi autoctoni, che gradualmente presero il posto di molti prelati di origine occidentale, fino a quando, nel 1946, il processo poté dirsi compiuto con la nascita di una Chiesa cinese che si radicava nel territorio del grande Paese orientale, che si fondava su un clero indigeno e che, pur rimanendo fedele e obbediente al magistero petrino, non era più rappresentata come una longa manus che agiva per conto di Roma. Naturalmente la natura epocale dei progetti costantiniani ebbero delle ovvie ripercussioni che si tradussero in una serie di attacchi pubblicati contro di lui tra il 20 marzo e il 12 giugno 1930 nel Journal de Pékin. In difesa di Costantini si schierò pubblicamente "L'Osservatore Romano" del 29 giugno 1930.
Nonostante la partenza dalla Cina nel 1933, l'influenza del cardinale Costantini sul grande Paese asiatico continuò a sentirsi anche con l'esercizio delle sue funzioni nella Curia Romana. La nuova strategia, basata sul superamento del "colonialismo" religioso, rifletteva infatti un disegno generale che metteva sotto accusa il colonialismo politico dell'occidente e anticipava un pensiero sempre più diffuso tra l'opinione pubblica occidentale e tra le classi dirigenti. In questo contesto, il superamento del problema plurisecolare dei "riti cinesi" e la traduzione della liturgia latina nelle lingue indigene sono due fra i più importanti risultati dell'azione costantiniana. Un'azione la cui autorevolezza presso il governo del più grande Stato dell'Asia viene emblematicamente sottolineata nell'ottobre del 1939 quando un diplomatico cinese si rivolse direttamente a lui e non direttamente alla Segreteria di Stato della Santa Sede per "favorire da parte della Santa Sede la pace tra la Cina e il Giappone".
Anche se, come abbiamo detto, le relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Repubblica cinese furono stabilite nel 1942 quando Costantini aveva lasciato il Paese asiatico da nove anni e solamente nel 1946 arrivò a Pechino l'Internunzio apostolico, l'azione del porporato friulano, sulla base anche dei documenti inediti conservati presso l'Archivio della Santa Sede e studiati dal professore Felicetto Gabrielli, ci permettono di tracciare un affresco dell'opera politica di Costantini e di valorizzarne, ancor di più, la sua efficacia. Infatti, fu solamente la lungimiranza e la tempra d'uomo, prendendo a prestito due delle qualità che dovrebbe avere il "politico" secondo Max Weber - la terza era il "distacco dalle cose" - che gli permisero di muoversi con intelligenza e saggezza in un terreno reso difficilissimo anche a causa della resistenza della Francia che difendeva con forza il proprio status. Il porporato friulano riuscì a muoversi in un ginepraio di interessi e di posizioni politiche consolidate attraverso quello che è stato definito, in questo volume, come il "metodo Costantini", ovvero l'instaurazione graduale di una serie di rapporti politici che prevedevano l'accordo su singole questioni.
Il cosiddetto "metodo costantiniano" si basava sulla prudens qualitas dell'azione da Delegato apostolico e sulla non interferenza sulle questioni politiche cinesi. "Ho creduto opportuno di non dover accreditare in alcun modo il sospetto che la religione sia uno strumento politico messo al servizio delle nazioni europee" annotò nel suo diario monsignor Costantini. Una sottolineatura non secondaria, riferita direttamente al console francese, e centrale nell'azione del porporato friulano.
Il Delegato Apostolico, infatti, non solo non si occupò "minimamente delle cose interne della China" ma riconobbe l'autorità statuale cinese "secondo la dottrina di san Paolo" e pregando "per il bene spirituale e anche materiale della China". Il Delegato Costantini ideò quella che lui stesso chiamerà "soluzione intermedia":  "La Santa Sede avrebbe riconosciuto giuridicamente la sovranità politica della Cina, mentre la Cina quella della gerarchia cattolica con a capo il romano Pontefice, così che sarebbe stata garantita la libertà di esercizio del sacro ministero". Quelle che potrebbero sembrare due sconfitte politiche - ovvero i due tentativi falliti di stipulare delle convenzioni parziali tra Santa Sede e Cina nel 1926 e nel 1929 - rappresentarono, in realtà, il degno preludio, una sorta di necessario e doloroso preambolo alle lettere credenziali del primo Ambasciatore cinese che Pio XII ricevette in Vaticano il 25 febbraio 1943.



(©L'Osservatore Romano 11-12 ottobre 2010)
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