L'allocuzione di Pio X del 27 novembre 1911 per il suo quinto concistoro

Porpora e croce


di Paolo Vian

Quasi cento anni fa, il 27 novembre 1911, Pio X tenne il quinto dei sette concistori del suo pontificato (il primo si era svolto il 9 novembre 1903, a tre mesi dall'elezione, l'ultimo fu convocato il 25 maggio 1914, tre mesi prima della morte del Papa).
Quello del 1911 fu il più numeroso dei concistori piani, con la creazione di quasi la metà del numero dei cardinali complessivamente creati da Papa Sarto (19 su 50, di cui uno riservato in pectore, il patriarca di Lisbona, António Mendes Bello, pubblicato il 25 maggio 1914). Pio X doveva essere consapevole dell'importanza del momento e la sera del 29 novembre, rispondendo a un indirizzo del francescano abruzzese Diomede Falconio, tenne un'allocuzione ai neo-porporati ai quali era stata imposta la berretta, dopo aver steso il testo interamente di sua mano su un fascicolo di sei fogli - ne pubblichiamo qui sotto la prima parte.
Si tratta di un testo semplice, colloquiale, di una dolcezza aliena da toni rigidi e solenni, ma intensamente percorso da due idee di fondo:  la stretta unione fra i nuovi cardinali e il Papa e la vocazione alla testimonianza, sino al martirio, che la creazione cardinalizia comporta. Lo scenario ecclesiale e mondiale spiega i toni del Papa:  le leggi anti-religiose infierivano in Francia ma la situazione non appariva migliore in Portogallo o in Polonia o in Irlanda, mentre da anni si combatteva la lotta contro il modernismo e il continente, ancora immerso nella spensieratezza della belle époque, s'incamminava a passi inconsapevoli ma decisi verso il baratro della mattanza bellica e dell'"inutile strage". Su questo sfondo non stupisce che la riflessione del Papa, imbevuta di passi scritturistici e permeata dalla contrapposzione giovannea al "mondo", presenti ai nuovi cardinali una concezione "agonica" (nel senso deunamuniano del termine), martiriale, in ultima analisi cristologica del loro ufficio, non onore mondano ma appello alla condivisione della croce. Non diversamente si era espresso il Papa scrivendo un mese prima, il 26 ottobre 1911, al preposito generale della Compagnia di Gesù, Franz Xaver Wernz, per annunciargli l'intenzione di promuovere al cardinalato il gesuita Louis Billot, pur sapendo che "per la loro Regola i padri della Compagnia non solo non possono aspirare, ma devono anche rifiutare qualunque dignità". Ebbene, argomentava il Papa, "se ai tempi di sant'Ignazio il cardinalato era una dignità tenuta in grande onore nel mondo anche profano, oggi invece è una vera croce, e chi l'accetta e la porta con santa rassegnazione moltiplica i meriti pel paradiso".
Il testo dell'allocuzione ai cardinali - già comparso sulle colonne del nostro  giornale  il 30 novembre 1911 - è stato ora pubblicato sulla base dell'autografo nel recentissimo volume Carte Pio X. Scritti, omelie, conferenze e lettere di Giuseppe Sarto. Cenni storici, inventario e appendice documentaria, a cura di Alejandro M. Dieguez (Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, 2010, Collectanea Archivi Vaticani, 71, pagine xl + 493, con 8 tavole).
Diéguez è autore benemerito e stimato per gli studi piani. A lui si deve l'inventario de L'archivio particolare di Pio X, pubblicato nel 2003 (Collectanea Archivi Vaticani, 51), seguito tre anni dopo, nel 2006, dai due volumi, curati insieme al prefetto dell'Archivio Segreto Vaticano, Sergio Pagano, dedicati a Le carte del "sacro tavolo". Aspetti del pontificato di Pio X dai documenti del suo archivio privato (Collectanea Archivi Vaticani, 60), una straordinaria carrellata sulla base dei documenti dell'archivio piano attraverso gli eventi salienti del pontificato.
Consegnate all'Archivio Vaticano nel febbraio 2002, dopo essere passate dalla Congregazione dei Riti al cardinale Nicola Canali (1874-1961), che della beatificazione di Pio X fu il grande promotore, e, dopo la morte del porporato, all'archivio della prima Sezione della Segreteria di Stato, le carte Pio X raccolgono il frutto della vasta perquisitio scriptorum che dalla prima iniziativa del vescovo di Treviso Andrea Giacinto Longhin, nel 1923, si concluse più di dieci anni dopo, nel 1935. Il volume che le descrive e in parte le pubblica è di singolare importanza perché, dopo gli altri due, ci permette di entrare nella concretezza di un "corpus eccezionale per la consistenza e la peculiarità degli scritti tra cui, ad esempio, una buona parte delle prediche originali adoperate dal Sarto nel corso del suo lungo ministero" (p. vii), dal seminario di Padova a Tombolo, da Salzano a Treviso, da Mantova sino a Venezia.
Ma "anche l'analisi delle lettere qui parzialmente raccolte può svelare aspetti della vita quotidiana e del carattere di Giuseppe Sarto rimasti finora piuttosto in ombra:  le sue amicizie, le titubanze davanti alla carriera ecclesiastica che in modo imprevedibile gli si andava schiudendo, il suo carattere concreto e fattivo, austero nei principi ma aperto nel rapporto interpersonale" (p. xxxiii). La speranza è che anche questo volume possa concorrere alla riscoperta storica di un pastore troppo spesso deformato da cliché di parte e di cui in primo luogo colpisce e incanta sempre l'umanità.



(©L'Osservatore Romano 19 novembre 2010)
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