I salesiani e la pastorale per gli emigrati a San Francisco tra il 1897 e il 1930

E oltreoceano i paesani
si scoprirono italiani


di Matteo Sanfilippo
Università della Tuscia

Gran parte dei libri di Francesco Motto, che da diciotto anni dirige l'Istituto Storico Salesiano, parlano di ricerche sulla storia della sua congregazione. Ora tuttavia è apparsa una pubblicazione che supera quei confini o meglio obbliga a leggere in forma contestuale le vicende della storia e della Chiesa negli Stati Uniti d'America entro la più grande storia sociale dell'emigrazione in quel grande Paese. Grazie a un lungo viaggio di studio negli Stati Uniti, don Motto ha iniziato anche a occuparsi dell'attività della sua congregazione oltre oceano. Ha così firmato studi sui missionari salesiani in California, sui primi soccorsi spirituali agli emigrati italiani nelle città statunitensi e sulla consonanza fra le iniziative di don Bosco e quelle di monsignor Scalabrini per gli italiani espatriati. Questi saggi erano il preludio di un intervento di gran lunga più ampio e soprattutto molto più ricco di spunti, che oggi ha finalmente visto la luce.
Vita e azione della parrocchia nazionale salesiana dei Santi Pietro e Paolo a San Francisco (1897-1930). Da colonia di paesani a comunità di Italiani (Roma, Las, 2010, pagine 501, euro 30) è un libro che riempie un vuoto della storiografia italiana e statunitense sull'emigrazione. Gli studi che lo hanno preceduto si sono occupati delle parrocchie per gli emigranti soltanto da prospettive parziali, mentre lo studioso salesiano ha deciso di utilizzare un grimaldello microanalitico, la storia della parrocchia salesiana a San Francisco negli anni dal 1897 al 1930, per poter poi allargare la visuale a tutto il fenomeno migratorio italiano negli Stati Uniti e alle sue relazioni con la Chiesa cattolica.
Il libro qui recensito a prima vista è la semplice storia della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo dal suo affidamento ai salesiani alla massima espansione della comunità italiana in quella città. In realtà l'autore mira a verificare contemporaneamente quattro vicende:  l'arrivo e l'inserimento degli italiani negli Stati Uniti; l'assistenza offerta loro dalla Chiesa cattolica locale; l'azione della Chiesa italiana tra i fedeli emigrati; il confluire delle precedenti tre storie nella costruzione di una coscienza italiana all'estera.
La complessa architettura del saggio vuole rispondere a una letteratura specialistica che secondo l'autore è di fatto deludente. Gli studiosi statunitensi ancora oggi non si interessano all'arrivo dei gruppi immigrati e ancora meno alla storia della Chiesa cattolica nel loro paese, nonostante questa sia divenuta con il tempo la prima denominazione religiosa locale. Storia degli immigrati e storia dei cattolici sono così demandate a specialisti provenienti dai paesi di emigrazione o discendenti dagli stessi immigrati. La percezione che questi ultimi hanno della vicenda raccontata è spesso agiografica, "filiopietistica" come dicono alcuni:  hanno infatti sempre cercato di evidenziare le difficoltà nell'inserimento nella nuova patria per far risaltare il successo finale, cioè la cosiddetta "americanizzazione". Sono così state cancellate le tappe intermedie, soprattutto quella, importantissima, dell'adattamento alla nuova terra attraverso la presenza e le attività di una parrocchia "immigrata".
La formazione di parrocchie "nazionali" e non più esclusivamente territoriali ha invece permesso alle stesse prime generazioni immigrate di costituirsi in una comunità solida, che nel caso italiano ha superato le contrapposizioni geografiche e culturali originarie. Si tenga infatti conto che a San Francisco, dove l'immigrazione italiana è frutto di correnti pre-unitarie, la diversità di origine voleva dire provenire da più stati regionali. La chiesa "nazionale" (o "etnica" come è stata poi chiamata negli Stati Uniti) ha garantito un luogo d'incontro e una sociabilità religiosa basata sulla condivisione di una medesima lingua, differente da quella del posto, che hanno fortemente contribuito al superamento della contrapposizione dialettale e trasformato i fedeli in un corpo culturalmente omogeneo e compatto.
Il libro di don Motto è stato anticipato dai lavori di Gianfausto Rosoli e dei fratelli Lidio e Silvano Tomasi. Questi studiosi scalabriniani si sono, però, interessati soprattutto agli italiani sulla costa atlantica o nel Mid-West, perché l'azione della loro congregazione si è rivolta principalmente a quelle regioni statunitensi. Don Motto preferisce invece rivolgersi alla costa del Pacifico, ben più lontana e quindi difficile e costosa da raggiungersi, perché a suo parere costituisce un caso migratorio specifico. Il maggior investimento richiesto dal viaggio prelude, secondo l'autore, ad una possibile migliore riuscita economica della scelta migratoria e a una più accurata selezione dei partenti.
Gli italiani arrivano a San Francisco già nella prima metà dell'Ottocento per estensione delle reti migratorie e commerciali costruite dai genovesi in America latina e per effetto della corsa all'oro del 1848-1855. Quest'ultima pubblicizza enormemente le possibilità di questa meta, appena conquistata dagli statunitensi e il frenetico arrivo di emigranti, via terra e via mare, trasforma la California in un'area pulsante, ben diversa dal sonnolento retroterra messicano che era stata. I genovesi, come d'altronde i francesi di Marsiglia, si rendono conto di come sfruttare il nuovo bisogno di commerci al dettaglio, in particolare di negozi di alimentari, nonché di alberghi e ristoranti. I liguri si portano dietro i piemontesi e gli abitanti della Costa Azzurra, oggi francese, e questi nuovi gruppi cercano di sviluppare nuove imprese. Attorno a San Francisco, il grande porto della regione, viene così impiantata una fiorente vitivinicoltura. Infine, subito dopo il biennio rivoluzionario del 1848-1849, molti italiani, come molti francesi e molti tedeschi, decidono di trasferirsi laggiù, all'altro capo del mondo, perché nel Vecchio Mondo la reazione sembra aver nuovamente e forse definitivamente trionfato.
Le prime ondate migratorie italiane sono in grandissima parte settentrionali, di frequente provengono quasi esclusivamente dallo stato sabaudo, e sono sostenute da una forte tensione patriottica e sociale:  non è casuale che alla fine degli anni cinquanta del secolo xix la comunità italiana di San Francisco sia una dei maggiori sottoscrittori americani della raccolta per acquistare "il milione di fucili" da donare a Garibaldi. Concretizzatasi l'unità d'Italia questa comunità, nel frattempo ben inseritasi nel commercio e nella vitivinicoltura locale, riversa le proprie idee politiche nell'adesione alle logge massoniche, nonché in vaghe simpatie d'impronta progressista, se non socialista.
Nel frattempo hanno iniziato ad arrivare emigrati dal centro-sud della Penisola italiana, con un diverso retaggio politico-culturale e soprattutto con una posizione sociale decisamente inferiore in patria e nelle mete di destinazione. A San Francisco gli italiani si disperdono in più nuclei abitativi, legati alle varie fasi di emigrazione, e questo rende difficile seguirli dal punto di vista religioso, eppure la Chiesa cattolica non rinuncia ad appoggiare questi suoi figli in terra protestante.
A partire dal passaggio del nunzio in Brasile Gaetano Bedini negli Stati Uniti e nel Canada la Santa Sede ha compreso che il futuro si giocava in Nord America e che questa poteva essere "evangelizzata" grazie proprio agli emigranti, purché questi non si convertissero al protestantesimo o all'indifferenza religiosa. Già prima della caduta di Roma, viene quindi chiesto alle diocesi di oltre Atlantico di seguire e proteggere i nuovi arrivati, ma, come mostra don Motto, i vescovi locali devono far fronte a fedeli di diversissima nazionalità e lingua.
Nelle parrocchie territoriali, dove il clero è per lo più di origine irlandese, è difficile badare anche agli italiani e questi, come d'altronde pure altri gruppi immigrati, iniziano a chiedere assistenza nella propria lingua. Inizialmente si ricorre a sacerdoti emigrati per motivi vari (e talvolta non particolarmente belli) o ai membri italiani di ordini quali i francescani e gesuiti, già negli Stati Uniti per gestire collegi o per occuparsi delle missioni fra i nativi. Poi si decide di affidare tale compito alle nuove congregazioni religiose tardo ottocentesche. In particolare i salesiani sono investiti dell'assistenza ai connazionali in alcune località statunitensi.
Inizia qui la vicenda del piccolo gruppo che, tra grandissime fatiche, cerca di finanziare e far funzionare la parrocchia di San Francisco, la quale per giunta è distrutta dall'incendio del 1906 e deve essere integralmente ricostruita. Al di là degli sforzi economici, i salesiani devono penetrare in una comunità divisa fra meridionali e settentrionali, fra donne e bambini che frequentano la chiesa e uomini che si tengono a distanza. Devono dimostrare alle autorità diocesane e alla maggioranza irlandese del clero di essere buoni preti, in grado di adattarsi ai costumi gestionali della nuova nazione. Devono evitare che il proprio gregge si disperda, in parte perché abbandona la fede e in parte perché le parrocchie territoriali erodono progressivamente il seguito di quelle nazionali.
Alla lunga, sembra dire l'autore, proprio  queste  vinceranno  e  la stessa parrocchia   dei   Santi  Pietro e Paolo  diverrà  una  di  esse:    attualmente, basti consultarne il sito web www.stspeterpaul.san-francisco.ca.us/, serve una popolazione locale alquanto mista, prevalentemente composta non soltanto da italiani, ma anche da ispanici, cinesi, giapponesi e indiani.
Questo breve riassunto non rende conto dell'abilità con la quale l'autore accosta una massa di dati impressionante tratti da fonte diverse e compara e sintetizza le narrazioni di varie testimonianze. Nelle sue pagine scorrono quindi le vicende della comunità immigrata e della città tutta, della parrocchia e della diocesi, dei salesiani e del clero cattolico di San Francisco. L'enorme quantità di informazioni è, però, racchiusa e commentata da una rigida struttura architettonica in tre parti:  il contesto; la storia della parrocchia nazionale; una valutazione finale. La struttura del libro è dunque molto solida e molto argomentata:  ogni parte ha la sua introduzione e la sua conclusione, come il libro completo ha una sua premessa teorica e proprie conclusioni.
Appare praticamente impossibile rivolgere qualche appunto a questa notevole impresa, se non forse notare come scivoli sotto silenzio il contrasto fra gli operatori salesiani e il loro integrarsi e integrare la comunità immigrata, da un lato, e la strategia non tanto dei vescovi locali, quanto delle autorità vaticane. Sin dall'inizio queste ultime temono gli effetti delle parrocchie nazionali, che possono dividere il tessuto dei fedeli, e che al contempo possono rafforzare istanze, quali quelle del nazionalismo italiano, contrarie all'esistenza stessa del Papato.
Le carte della Delegazione Apostolica a Washington ricordano, per esempio, i dubbi dei rappresentanti vaticani a proposito di tante occasioni d'incontro degli italiani. Non mancano tra l'altro le accuse a sacerdoti salesiani e scalabriniani imputati di partecipare ai festeggiamenti per il 20 settembre o per gli anniversari della dinastia sabauda. L'azione dei missionari italiani fra i connazionali subisce quindi continui controlli e reprimende e tanto più sorprendente riesce quindi l'abilità di quei sacerdoti nel far coesistere piani assai differenziati, quali quello vaticano, quello statunitense; quello dell'italiano e quello dell'immigrato.



(©L'Osservatore Romano 19 dicembre 2010)
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