La cultura non si presta a banali semplificazioni

Perché non si può chiudere La Scala

di Marcello Filotei

Se le opere d'arte e gli spettacoli si giudicassero per la gente che le va a vedere rimarrebbe ben poco da ammirare. Oltre a chiudere La Scala, come si è auspicato sulle colonne della "Stampa" da Guido Ceronetti, sarebbe il caso perlomeno di abbattere il Colosseo, infestato da giapponesi distratti ed energumeni travestiti da gladiatori, nonché di sospendere sine die l'ingresso agli stadi di calcio, meta preferita di galantuomini variopinti.
La cultura è una cosa complicata, la stessa opera viene fruita a diversi livelli da persone diverse. All'Arena di Verona, forse, prevarrà l'aspetto turistico, ma perché andare lì sarebbe peggio di visitare gli scavi di Pompei, che secondo alcuni pareri andrebbero restaurati degnamente togliendo denari proprio a La Scala?
Quello che manca in questo genere di analisi è il passo decisivo:  superare la facciata delle cose. Basterebbe poco per intuire che Pompei e La Scala rispondono sostanzialmente alla stessa esigenza culturale, che è quella di preservare la memoria. Una cattiva esecuzione è (quasi) come un crollo, perché mortifica la storia. Bisognerebbe prevenire entrambe le cose.
Gli argomenti sollevati sono talmente deboli che viene il dubbio si tratti di una provo
cazione fine a se stessa. Accanirsi sulla "imbecillità dei libretti" d'opera, per esempio, è decisamente incongruo:  chiedere realismo alla lirica è come pretendere precisione storica a un autore di fantascienza, come sostenere che il teatro dei pupi non rappresenta un  patrimonio  culturale  perché si vedono i fili che pendono dall'alto.
Certo che se dell'opera del Novecento non si cita che Menotti si fa presto a dire che è morta. Se poi si arriva a pensare che "Bayreuth non avrebbe dovuto sopravvivere a Goebbels" allora è chiaro che non si riesce neanche a centrare il problema.
L'argomento delle opere - per rimanere al testo, che è uno degli elementi meno rilevanti della lirica - quasi mai è quello di cui parla il libretto. Che siano stati musicati testi orribili è una realtà, così come sono stati girati film su soggetti improponibili o messi in scena testi puerili. Non per questo bisogna abolire il cinema o il teatro. Quando un'opera è riuscita, però, il sottotesto è più importante dei versi. È vero, le storie sono ripetitive:  di solito il tenore vuole sposare il soprano, ma il baritono si oppone e il basso trama nell'ombra. Ma quasi mai si parla di questo. L'amore, l'odio, il potere, la sopraffazione non sono reali, ma evocati. L'elemento essenziale è l'allusione, si fa riferimento ad altro, spesso alla vita di chi ascolta. Questo però è un concetto che non si può esplicitare, perché "a chi non capisce l'allusione è inutile fornire la spiegazione"  (dai  Pensieri  del  tè di Guido Ceronetti).



(©L'Osservatore Romano 22 dicembre 2010)
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