Un documento inedito su Leonardo da Vinci

E le fontane diventano "feste di piazza"


di Carlo Pedretti

L'eccezionale documento che qui si pubblica, e che Marino Viganò ebbe la bontà di trasmettermi appena da lui scoperto, viene a inserirsi nell'ampio e complesso quadro degli studi di Leonardo sulle fontane considerate da ogni possibile punto di vista, e quindi non solo tipologico ma contestuale secondo la loro destinazione, come poteva essere un complesso urbano di fruizione pubblica o privata in piazze e cortili.
L'esame dei suoi manoscritti ha permesso di accertare la presenza di studi di fontane in fogli giovanili, prima quindi del trasferimento di Leonardo da Firenze a Milano nel 1482 all'età di trent'anni, via via negli anni successivi a Milano e in altre parti d'Italia, fino all'estremo periodo della sua attività di architetto e ingegnere a Roma e in Francia, dal 1513 in poi.
Al 1517-1518, poco prima della sua morte ad Amboise, appartengono particolareggiati studi su un singolare automatismo per una fontana. Essi sono sparsi nel Codice Atlantico a Milano e nel Codice Arundel a Londra, e sono probabilmente in rapporto con una committenza da parte del re di Francia che l'ospitava nel suggestivo maniero di Clos Lucé accanto al maestoso complesso del castello reale. E infatti nel mezzo di un foglio di quegli studi si legge di sua mano:  "Ambosa (Amboise) ha una fonte reale sanza acqua". E del resto su uno dei fogli con studi per una nuova residenza reale progettata per Romorantin nel centro della Francia, a settanta chilometri da Amboise - un complesso urbano che avrebbe anticipato di un secolo gli spettacolari interventi territoriali di Versailles - si leggono le molteplici disposizioni di ordine pratico fra le quali, a chiosa di uno schema di città ideale che sembra ispirata agli accampamenti militari descritti nel De bello gallico di Giulio Cesare, si trova l'inciso programmatico:  "Facciasi fonti in ciascuna piazza".
Con questo in mente, e rileggendo il documento nuovamente scoperto, ci si rende sempre più consapevoli dell'importanza che Leonardo attribuiva alla fontana come fondamentale presenza in una situazione urbana. Nel mio Leonardo architetto del 1973, da integrarsi col saggio su Leonardo e la lettura del territorio del 1981, avevo dedicato al tema delle fontane un nutrito capitolo col quale ribadire l'assunto con l'eloquenza di una carrellata di immagini disposte in ordine cronologico. Ma fu esattamente nel 1977 che mi fu dato di aggiungere un entusiasmante risvolto emblematico al tema della fontana negli studi e negli apprezzamenti di Leonardo, e questo nientemeno che con l'interpretazione di una delle sue cosiddette "profetie", un vero e proprio indovinello rimasto fino allora senza spiegazione.
Si tratta di quella che lo studioso Luigi Firpo aveva definito "la profezia dell'impiego industriale del velivolo", la macchina volante con la quale Leonardo avrebbe profetizzato l'uso di recare carichi di neve prese sulle alte cime delle montagne per lasciarla cadere sulle piazze in occasione delle feste estive. Ecco il testo che si legge a margine di una pagina nel codicetto sul volo degli uccelli a Torino:  "Porterassi neve d'estate ne' lochi caldi, tolta dall'alte cime de' monti, e si lascerà cadere nelle feste delle piazze nel tempo dell'estate".
Il tono volutamente ispirato, da vaticinio, non lascia dubbi trattarsi di una "profetia", cioè di un indovinello. Anche in questo caso Leonardo appartiene al suo tempo e la soluzione dell'indovinello è in fondo abbastanza ovvia:  la neve tolta dalle alte cime dei monti e portata d'estate nei luoghi caldi di città per lasciarla cadere nelle feste delle piazze - come dire durante le feste di piazza, ma alludendo ad altro - altro non è che l'acqua delle fontane, cioè delle fontane come "feste delle piazze".
L'acqua è infatti generata dallo sciogliersi delle nevi nelle alte cime dei monti, da dove è poi condotta alle città per mezzo di condutture idrauliche. Tale interpretazione da me proposta e che lo stesso Firpo ebbe poi ad accettare, è corroborata da numerosi indizi in altri indovinelli, come quando nel Codice Arundel, in un foglio del 1505 circa, Leonardo scrive:  "L'acqua caduta da' nugoli muterà in modo sua natura, che sopra le spiagge de' monti si fermerà per lungo spazio di tempo senza fare alcun moto. E questo accaderà in molte e diverse province". Al che Leonardo fa seguire la spiegazione:  "La neve che fiocca, che è acqua".
L'enigma è tutto in quella frase, "feste delle piazze", come attributo di fontana, frase che di proposito inganna chi ascolta (e infatti il Richter nel 1883, a conclusione del primo volume della sua antologia, aveva pensato bene di emendarla in "feste alle piazze"), ma che per Leonardo è il modo più efficace per caratterizzare la funzione di una fontana. E questo proprio come a Rimini, dove l'antica fontana, che lo stesso Fellini considerava "festa della piazza", porta oggi il nome di Leonardo nella lapide che riporta un suo ricordo datato:  "Fassi un'armonia colle diverse cadute d'acqua, come vedesti alla fonte di Rimini, come vedesti addì 8 d'agosto 1502". E cioè le numerose cascatelle della Fontana della Pigna, che egli dice non di avere ascoltato ma guardato ("come vedesti"), gli ispirano l'ingegnosa complessità di un programmabile organo idraulico che poi spiega col ricorso a Vitruvio in uno dei ritrovati manoscritti di Madrid.
La fontana illustrata da Leonardo in fogli che nel 1628 il cardinale Federico Borromeo aveva visto in mano di un privato a Milano, non era certo da meno dei meccanismi idraulici che sarebbero venuti di moda con gli automatismi nei grandi parchi delle meraviglie in Italia e all'estero verso la fine del Cinquecento, quello di complesse fontane che rendevano località come Tivoli e Pratolino meta del turismo internazionale. E non credo che possa trattarsi dei numerosi e frammentari disegni e appunti nel Codice Atlantico relativi a un sistema di pompe per mandare l'acqua al primo piano di un edificio porticato, tutti databili intorno al 1487-1490, e tutti focalizzati sul dispositivo di scarico. La descrizione del cardinale sembra evocare le audaci e solenni visioni urbane che Galeazzo Alessi, nel tardo Cinquecento, aveva avuto non solo per Genova ma anche proprio per Milano, quelle che tanto avrebbero affascinato Rubens. Tutto sommato, l'immagine che nel Codice Atlantico più si attaglia alla descrizione del cardinale è quella quasi a conclusione del codice, il folio 395 v-a (il 1099 r dopo il restauro), che però potrebbe non essere di Leonardo, stile e carattere del tutto simili a quelli del codice ambrosiano sulle Rovine di Roma, forse del Bramantino.
Non sorprende poi che la lunga e quasi ridondante descrizione, che sembra attestare il carattere rifinito e quindi definitivo di immagini e testi in una presentazione riunita in un codicetto come quello sul volo, sia l'occasione per formulare un giudizio piuttosto negativo su un "Leonardo perdigiorno" che del resto non è poi così diverso da quello espresso da altri al loro primo contatto con i suoi manoscritti. Basta ricordare il giudizio dell'insigne matematico e fisico Gregorio Fontana (1735-1803) che, richiesto di esaminare i manoscritti di Leonardo all'Ambrosiana nel 1778 come consulente nell'ipotesi di una loro pubblicazione, ebbe a esprimere analogo disappunto per concludere che "il voler pubblicare un tal manoscritto (cioè il Codice Atlantico) sarebbe lo stesso che far totalmente perdere al Vinci quella riputazione di buon matematico che egli gode presso di moltissimi, i quali tengono come sinonimi Architetto e Matematico".
Meglio allora il candore col quale uno dei primi fortunati possessori di quei manoscritti, l'erudito Ambrogio Mazenta, li ricorda verso la fine della sua vita intono al 1630 con bonaria e commossa ammirazione:  "Nelle botteghe dell'Arti molte machine s'usano ritrovate da Leonardo per tagliar, lustrare christalli, ferri, pietre; ed è ridicula l'usata molto nelle cantine di Milano per sminuzar molta carne per far il cervellato senza pericolo né di mosche né di puzzo, mediante una ruota girata da un fanciullo". Col buon Mazenta e l'austero cardinal Federico ecco finalmente un "vero" Leonardo che sarebbe piaciuto a Manzoni.



(©L'Osservatore Romano 24 dicembre 2010)
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