Le catacombe come paradigma della complessità degli ultimi secoli del mondo antico

Quando i romani dipingevano al buio


di CARLO CARLETTI

Il 23 marzo, nella sala delle conferenze di Palazzo Massimo a Roma, viene presentato il volume di Fabrizio Bisconti Le pitture delle catacombe romane. Restauri e interpretazioni (Tau Editrice, Todi, 2011, pp. XI + 361, euro 90). Anticipiamo ampi stralci di due degli interventi previsti. All'incontro interverranno anche il direttore del Dipartimento di studi storici e artistici, archeologici e della conservazione dell'Università di Roma Tre, Liliana Barroero, e il direttore del nostro giornale.

Le pitture delle catacombe romane sono senza alcun dubbio parte costitutiva e dinamica della produzione artistica di età tardoantica, anche se questo ruolo non sempre è stato riconosciuto da quella parte del mondo degli studi e della divulgazione (ad esempio nelle mostre), ancora ingabbiato in un malcelato pregiudizio "classicistico" e condizionato da un inconscio atteggiamento "laicista", pateticamente percepito come politically correct.
Ma il dato concreto è quello di una documentazione di enorme consistenza, in cui convivono - talvolta nel medesimo contesto insediativo - manifestazioni di notevole eccellenza qualitativa e prodotti per lo più di livello medio-basso, sia dal punto di vista formale che da quello tecnico-esecutivo: performances di routine di "immediato consumo", condizionate e dalla urgenza dell'irruzione della morte e dalle disagevoli condizioni ambientali e strutturali che caratterizzano i siti catacombali.
La funzionalità di questo repertorio di immagini nel mondo dei morti, rimane (anche nella percezione dei committenti e degli utenti cristiani) quella tradizionale della decorazione dell'ultima dimora e della autorappresentazione di un singolo o di un gruppo familiare. Sono poi le scelte di determinati temi e soggetti che, attraverso emblematiche schematizzazioni, interazioni e formulazioni, svelano e definiscono la prospettiva entro la quale questi messaggi figurali si inseriscono e prendono significato.
Si rimarrebbe nel vago e nell'indefinito se una volta tanto non si entrasse nella reale consistenza di questo patrimonio, se non si percorresse anche con attenzione "computistica" questo microcosmo figurativo capillarmente "invasivo", che tuttora si lascia leggere, apprezzare, studiare negli oltre centocinquanta chilometri di estensione lineare degli ambienti sotterranei catacombali. In questa prospettiva una preliminare analisi quantitativa riveste un ruolo determinante e costituisce un fondamentale plafond di riferimento per qualsiasi successiva indagine non condizionata da pregiudiziali divisive.
Il volume complessivo di questo straordinario dossier figurativo, tradotto in numeri, svela ordini di grandezza senza dubbio inaspettati, forse anche per gli addetti ai lavori. Negli oltre settanta insediamenti catacombali di Roma si conservano 420 unità monumentali (cubicoli, arcosoli, tratti di gallerie, loculi, cripte, basiliche ipogee), con circa 2.300 contesti decorativi, esiti ultimi della consapevole scelta di temi e soggetti che, per un verso ripropongono la tradizione di un immaginario figurativo connesso alla morte e all'aldilà nelle sue diversificate percezioni e, per l'altro, presentano un nuovo repertorio tematico, che per la prima volta, con la discrezione che contrassegna la nascita di processi innovativi, entra nell'universo figurativo della tarda antichità.
Pertanto, accanto al tessuto connettivo costituito dagli innumerevoli dispositivi figurativi che caratterizzano il mondo ultraterreno, emergono le traduzioni figurative di uno specifico "identitario". Qui sono ancora i numeri che forniscono l'entità e lo spessore di una molteplicità di temi e soggetti di diretta estrazione biblica: complessivamente 620 esemplari (420 dall'Antico Testamento, 198 dal Nuovo) che propongono 47 temi, 31 veterotestamentari e 16 neotestamentari. Se ci si spinge più in profondità all'interno di queste indicazioni numeriche, si possono apprezzare, come elemento forse significativo della Biblisierung ("diffusione della Scrittura nelle comunità"), le ricorrenze dei diversi luoghi scritturistici.
Al vertice delle preferenze si pongono due eventi veterotestamentari, Mosè che batte la rupe (12 per cento di esemplari) e i diversi momenti del ciclo di Giona (10 per cento), cui seguono un tema neotestamentario - il miracolo della resurrezione di Lazzaro, rappresentato in sessantacinque esemplari (10 per cento) - e ancora altri due temi dell'antico Testamento, Daniele nella fossa dei leoni e Noè nell'arca (rispettivamente 8 per cento e 7,50 per cento). Tra i temi di ascendenza neotestamentaria, sono nettamente più diffusi i miracoli di Gesù e, tra questi, particolare predilezione è riservata alla risurrezione di Lazzaro, alla moltiplicazione dei pani e alla guarigione del paralitico.
Al di fuori dello specifico religioso, vi sono una moltitudine di rappresentazioni che propongono un amplissimo repertorio di una vera e propria "iconografia del reale", che illustra attività, mestieri, professioni, attitudini dei defunti, proponendo a volte anche momenti salienti connessi al rituale funerario. Il tessuto connettivo concettuale e materiale in cui si dispone questa esplosione di immagini bibliche rimane quello dell'iconografia dell'"irreale", la rappresentazione cioè di un immaginario dell'aldilà che sintetizza in molteplici esiti e soluzioni un patrimonio di idealità secolari.
Dietro e dentro questa elencazione di dati, si celano una infinità di questioni che afferiscono agli ambiti storico-culturale, storico-artistico, iconografico e iconologico ma anche naturalmente alle metodologie, agli approcci, alla verifica delle correnti storiografiche e della proposizione dei modelli interpretativi. Problematiche che, come ovvio, suscitano interrogativi, impongono riletture, esigono chiarimenti.
È questo il perimetro, ampio e articolato, pieno anche di classiche e insidiose questioni lungamente dibattute, in cui si muove il nuovissimo libro di Fabrizio Bisconti, Le pitture delle catacombe romane. Restauri e interpretazioni. Il titolo, come gli studiosi percepiranno immediatamente, richiama un'opera grandiosa, ma ormai ineluttabilmente segnata dal tempo. La raccolta, appunto, delle pitture delle catacombe romane pubblicata a Roma nel 1903 da Giuseppe Wilpert: un libro monumentale che fece epoca e che ha costituito per molti decenni il punto di partenza obbligato per qualsiasi ricerca nel campo della pittura cimiteriale tardoromana, anche se le datazioni di Wilpert (oggi del tutto superate) si muovevano verso confini incompatibili con la realtà del tardo antico, cui concettualmente e cronologicamente appartiene tutta la pittura catacombale.
A oltre un secolo di distanza da un precedente così illustre, il libro di Bisconti si muove naturalmente in tutt'altra prospettiva e lungo percorsi impensabili (almeno a Roma) tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. La materia, complessa e articolata nelle problematiche e negli strumenti ermeneutici, è presentata attraverso una oculata e meditata riproposizione di quattordici saggi pubblicati nell'ultimo ventennio, disposti in successione secondo la cronologia dei monumenti pittorici esaminati. È un'idea felice perché consente al lettore di seguire fin dalla sua fase genetica la nascita e lo sviluppo di una iconografia paleocristiana e nel contempo la "resistenza" di un immaginario figurativo di tradizione, che non sempre e non necessariamente - anche nei cimiteri cristiani - risponde e si spiega alla luce della categoria religiosa.
La raccolta dei saggi è preceduta da una densissima introduzione che ha il taglio di una rimeditazione storiografica e metodologica e che, in trasparenza, fa emergere il percorso di maturazione critica dell'autore. Ma in questa selezione c'è un valore aggiunto: come indicato nel sottotitolo, tutti i saggi muovono dalle risultanze acquisite in seguito a interventi particolarmente rilevanti (conservazione, consolidamento, restauro) eseguiti dalla Pontificia Commissione di archeologia sacra in alcuni importanti e, in più di un caso, fondamentali complessi pittorici. In particolare, quelli del sepolcreto della Piazzola in catacumbas, degli ipogei degli Aureli e di Trebio Giusto, nelle catacombe di Priscilla, di Pretestato, dei Santi Marcellino e Pietro, di via Dino Compagni, di San Callisto, della ex vigna Chiaraviglio, dell'insediamento anonimo della via Ardeatina. La lucida consapevolezza dell'inestricabile legame che interconnette (ma non sempre e dovunque è così) la ricerca della conoscenza storica con la vigile preoccupazione della tutela e della conservazione, è la sfraghìs connotativa del libro di Bisconti e del suo modo di interagire - attraverso gli appropriati strumenti critici - con la produzione figurativa dell'antichità cristiana, come è chiarito nell'incipit della nota introduttiva al volume. "Vent'anni di restauri hanno mutato il volto della "Roma sotterranea cristiana", di quel mondo delle catacombe che mai aveva goduto di una vera e propria attenzione conservativa per quanto attiene gli apparati decorativi e, specialmente, per quanto riguarda un grande patrimonio pittorico. (...) Una disattenzione che ha pesato sulla conoscenza della pittura dell'ultima antichità, tanto che, ancora ai nostri giorni, si parla con disinvoltura dell'arte tardoantica, tacendo di questi "affreschi nel buio"".
Eppure questi affreschi nel buio svelano storie complesse spesso insospettabili e concorrono a chiarire aspetti di una storia complessa e non sempre leggibile nei dettagli, che riguarda anche problemi nodali, come ad esempio quello del rapporto delle prime comunità con i luoghi della sepoltura. In questa direzione un contributo importante è venuto dall'intervento di pulizia e restauro di un affresco sovrastante il mausoleo di Clodius Hermes nel complesso della Piazzola in catacumbas: qui la rappresentazione figurativa era stata letta (sebbene con qualche dubbio) in chiave cristiana con il riconoscimento della parabola del Buon Pastore, della moltiplicazione dei pani, della guarigione dell'ossesso di Gerasa.
Ma l'intervento di pulizia e consolidamento dell'intera superficie affrescata ha consentito di riconoscervi alcuni episodi del ciclo omerico (le greggi di Laerte, la gozzoviglia dei Proci, i compagni di Ulisse trasformati in porci) peraltro presenti in altra formulazione anche nell'ipogeo degli Aureli. L'aspetto importante di questa rilettura è la conferma che quello della Piazzola è un insediamento pagano che, nel corso della prima età antoniniana, accolse anche le sepolture di alcuni cristiani della famiglia degli Ancotii.
Spostandosi verso la fine del IV secolo, si osserva come momenti nodali della storia della Chiesa di Roma abbiano trovato eco nelle pitture delle catacombe. Nell'arcosolio di Celerina della catacomba di Pretestato, sottoposto a un'accuratissima operazione di consolidamento e restauro guidato da Barbara Mazzei, è stato possibile rileggere e meglio percepire quanto veicolato dalle immagini. Qui - siamo all'inizio del V secolo - si coglie evidente l'eco della questione ariana al tempo di Papa Liberio (352-366) resa allegoricamente dall'immagine biblica di Susanna in forma di agnello insidiata dai seniores (i vecchioni) tradotti come lupi, che rappresentano rispettivamente la Chiesa e l'eresia (in questo caso quella ariana), sulla scorta appunto della figura dei due lupi che la tradizione patristica aveva elaborato per significare i persecutori e gli eretici sulla scorta del passo di Matteo, 10, 6: sicut oves in medio luporum. Ancora un altro punto nodale - emerso durante il pontificato di Damaso (366-384) - è quello rappresentato da un affresco della catacomba dell'ex vigna Chiaraviglio, in cui senza alcun dubbio si coglie il riflesso delle deliberazioni del concilio romano del 382, nel quale il primato petrino (e dunque del vescovo romano) viene riproposta come societas beatissimi Pauli, un prestigioso "valore aggiunto" alla apostolicità della sede romana.
Questa pregnante definizione è figurativamente tradotta con la scena monumentale dell'abbraccio di Pietro e Paolo, cioè con la concordia Apostolorum, che all'inizio degli anni Sessanta del IV secolo era stata corrosivamente messa in discussione dall'imperatore Giuliano l'Apostata, ispirato dalla polemica anticristiana del filosofo Porfirio di Tiro.
Una parte consistente e significativa dei numerosi e complessi problemi affrontati nel libro di Bisconti non si sarebbe nemmeno posta se non ci fosse stata l'azione coordinata della Pontificia Commissione di archeologia sacra nella direzione della conservazione e della tutela delle catacombe, soprattutto nelle sue evidenze più fragili, che sono proprio le pitture ad affresco. A queste problematiche connesse alle attività di conservazione è stata dato lo spazio che meritavano, anche con l'esposizione dettagliata (supportata dal contributo degli interventi specialistici di Barbara Mazzei) delle procedure di intervento che hanno attinto alle più sofisticate e aggiornate tecniche.
Merita di essere segnalata la ripresa fotografica all'infrarosso con il sistema della riflettografia che, nelle sovrapposizioni di successive stesure pittoriche, consente di leggere lucidamente ciò che l'occhio umano o il tradizionale obiettivo fotografico non consentirebbero: è il caso della concordia Apostolorum dell'ex vigna Chiaraviglio che ha svelato una prima rappresentazione degli apostoli acclamanti alla croce o, ancora, dell'arcosolio di Celerina, in cui sotto la figura di san Paolo è emersa una presenza maschile, appartenente a un precedente e diverso contesto decorativo.
Gli esiti degli interventi di consolidamento, restauro, come anche del ricollocamento di disiecta membra nei contesti figurativi di appartenenza, hanno consentito di vedere "l'erba dalla parte delle radici", come scrive Bisconti, e dunque di seguire e definire nelle loro caratteristiche i procedimenti tecnico-esecutivi e la presenza di tutto quanto attiene alla fase preparatoria del lay-out (impaginazione) della superficie destinata ad accogliere l'affresco.
L'individuazione endoscopica - perciò indolore oltre che non invasiva - di questi elementi fornisce preziosi indicatori per una più dettagliata e documentata definizione cronologica: un aspetto nevralgico tuttora in corso di ridefinizione anche perché condizionato dalla contrapposizione critica (non di rado duramente polemica) alle cronologie pregiudizialmente "alte", spesso insostenibili, ereditate dalla prima scuola romana (de Rossi - Wilpert).
In sintesi, sul piano della multiforme e multiculturale vicenda storico-artistica che attraversa i secoli della tarda antichità, il valore e l'utilità di questo nuovo libro si possono agevolmente riconoscere nella ricca molteplicità di elementi e di argomenti che quasi naturalmente conducono - anche attraverso l'ottica della produzione figurativa - a riconoscere anche nell'universo-catacomba una cassa di risonanza non troppo flebile delle complessità, che caratterizzano i secoli ultimi del mondo antico, in cui si rincorrono e si integrano, con differenti livelli di incidenza, non sempre lucidamente percepibili, tradizione, creatività, trasformazione.



(©L'Osservatore Romano 23 marzo 2011)
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