In prima esecuzione assoluta alla Scala di Milano "Quartett" di Luca Francesconi

Il futuro (ma anche un po' di presente) è donna



di MARCELLO FILOTEI

In e Out sono i due concetti chiave per avvicinarsi a Quartett, l'ultima opera di Luca Francesconi, andata in scena in prima assoluta martedì al Teatro alla Scala di Milano. Dentro e fuori la chiave della messa in scena di Àlex Ollé de La Fura dels Baus - bravo ma un po' ripetitivo e autoreferenziale come il gruppo che è diventato quasi un marchio - e della partitura del compositore milanese, autore anche del libretto tratto dall'omonima pièce teatrale di Heiner Müller liberamente ispirata a Le relazioni pericolose di de Laclos. L'In è una stanza, sospesa, teatro del feroce scontro tra i protagonisti, la Marquise de Merteuil e il Vicomte de Valmont. Ma il dentro è anche l'orchestra in buca, aggressiva e agile grazie alle sue dimensioni ridotte. Giù le luci e tutti a spiare i protagonisti, da lontano, mentre si lanciano stilettate dialettiche. Il loro scopo è manipolare il mondo, per questo, tanto tempo fa, hanno scelto di abbandonare ogni sentimento. Decisamente non parla di noi.
Il duello continua, ma i due non ce la fanno, finisce che qualche rimasuglio di umanità riemerge, ed è il turno dell'Out. Il fuori è affidato a un'orchestra e a un coro presenti in teatro chissà dove. Sicuramente non stanno dove erano previsti inizialmente: sul fondo del palco visibili in silhouette. La sonorità è ottima, grazie a un sistema di amplificazione e spazializzazione affidato all'Ircam, ma quando si ascolta senza vedere chi produce il suono l'effetto nastro è sempre in agguato: c'è poca differenza tra una cosa registrata e una eseguita in tempo reale.
In e Out, comunque, cominciano a concretizzarsi e la storia svela il suo senso: stiamo guardando due raffinatissimi nichilisti che non trovano altro modo di vivere se non quello d'insidiare quel po' di purezza che gira intorno al loro rifugio claustrofobico. Decisamente non c'entriamo niente. Ma mentre iniziamo a interessarci ai loro discorsi contorti le proiezioni video ci scaraventano in spazi immensi, mari, deserti, cieli sconfinati: cose presenti solo oltre il limitatissimo orizzonte dei protagonisti. Il ritorno in cameretta rende ancora più evidente il ridicolo nel quale sono caduti: concentrati su insignificanti dettagli pensano di dominare il mondo solo perché sanno tenere in ordine il tavolo della cucina.
Noi non c'entriamo niente, è tutto lontano e surreale. Noi che siamo arrivati in sala trafelati, tutti di corsa perché avevamo da fare cose irrimandabili. D'un tratto un fastidioso dubbio si aggira tra le poltrone: sta a vedere che dentro quella scatola ci siamo proprio noi, con le nostre nevrosi e lo sguardo fisso sul nostro ombelico.
Con urticante determinazione Francesconi ci rovescia addosso la nostra inadeguatezza, usando libretto e musica. Il testo è stato scritto infatti sempre dal compositore, in inglese, e tiene assieme una macchina scenica complessa ma agile. Malgrado in scena ci siamo sempre e solo due cantanti, i giochi di travestimenti rendono vivace lo svolgimento dell'azione. La musica da parte sua è piena di cose, la scrittura talmente varia che sollecita l'ascoltatore a mettere in relazione tra loro prospettive differenti.
Francesconi è fatto così, vulcanico e onnivoro. Questa volta lavora sulla drammaturgia degli spazi. Il testo è importante, ma l'elemento principale è la relazione tra orchestra in buca e l'orchestra e il coro nascosti: la chiave di lettura è nella spazializzazione delle fonti sonore. Ogni nota ha un significato non in sé, ma in relazione al punto dal quale è convogliata verso la platea. Solo che da ovunque arrivi tutto è tragedia, tensione verso il nulla, rari sogni e coltelli alla schiena.
Nessuna speranza dunque? Non proprio. Meno male che ci sono le donne. Quando tutto sembra perduto è proprio la marchesa, una splendida Allison Cook, a rompere il patto uccidendo il compagno di sventura, un convincente Robin Adams. Finalmente l'Out prevale, l'orchestrina in buca è invasa dalle sonorità che arrivano da lontano, da un altrove indefinito, il Tutto riprende possesso di un ridicolo esperimento autonomista. Valmont giace riverso al suolo mentre la nobildonna distrugge quello che è rimasto dell'inutile rifugio, tornano luce e aria. Il futuro è donna.
A Milano, intanto, è donna anche il presente. Proprio in questa occasione, infatti, si è rotto un tabù secolare: per la prima volta sul podio del Teatro alla Scala a dirigere un'opera è salita una donna. È Susanna Mälkki, un po' stupita del clamore che la notizia ha suscitato, autorevole e raffinata, ha diretto con fermezza e gusto, attenzione al particolare e senso della forma, restituendo all'opera una notevole scorrevolezza.
E intanto andando Out dal teatro rimane In una sensazione, strana, più che altro il dubbio di essere paragonabili a quei due nel bunker, nel rifugio, in una stanza qualsiasi di una città qualsiasi, che si azzannano sui dettagli. La domanda inevasa rimane: io sono In o sono Out?



(©L'Osservatore Romano 29 aprile 2011)
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