Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, riafferma la volontà di proseguire senza tentennamenti sulla strada dell'unità

«Tenere lo sguardo fisso su Cristo»
è il metodo del dialogo ecumenico

Giampaolo Mattei


"Tenere lo sguardo fisso su Cristo, senza di Lui non possiamo fare nulla". È questo il metodo da seguire per raggiungere l'unità dei cristiani. Lo afferma Bartolomeo I, nel 1991 eletto 270° Patriarca ecumenico di Costantinopoli, in un'intervista a "L'Osservatore Romano". È la stessa regola di dialogo dettata da Benedetto XVI:  "Nulla anteporre a Cristo". Il cammino è davvero comune.
È un tempo importante per il dialogo tra i cristiani. Il Patriarcato ecumenico - tramite il metropolita Ioannis di Pergamo - ha dato subito un giudizio positivo del "documento di Ravenna" (frutto della X sessione plenaria della commissione mista per il dialogo teologico cattolico-ortodosso svoltasi dall'8 al 15 ottobre), ritenendolo una base comune per il futuro.
Una conferma dei passi in avanti viene, in queste ore, anche dalla presenza al Fanar della delegazione della Santa Sede in occasione della festa patronale di sant'Andrea. Una particolarità:  la sede del Patriarcato a Istanbul è chiamata Rum patrikhanesi, cioè Patriarcato romano. Un fatto che ricorda come l'unità tra i cristiani sia nella radice stessa della loro storia.
Dice il Patriarca Bartolomeo I:  "Porto a tutti il ramoscello d'ulivo, segno di pace e riconciliazione. Noi lavoriamo giorno e notte per l'uomo, per la libertà religiosa e i diritti delle persone, per il rispetto delle minoranze, per il dialogo ecumenico e tra le religioni". E aggiunge:  "Ogni giorno nella santa Chiesa ortodossa si prega per l'unità dei cristiani".

Santità, la sera del 29 novembre di un anno fa, dopo aver accolto Benedetto XVI nella sua cattedrale patriarcale di San Giorgio, lei ci disse commosso:  "Oggi ho abbracciato Pietro, io che sono il successore di Andrea. Quali parole adatte potrei adesso pronunciare per esprimere la mia gioia?". Un anno dopo quali sono le sue parole?

Rispondo come allora:  posso solo rendere grazie a Dio per il dono di quell'incontro con Benedetto XVI. Un dono di Dio per tutti i cristiani. Una giornata straordinaria, un evento di speranza, un segno della storia.

Che ricordo ha della visita del Papa nella sua sede?

Per prima cosa desidero affermare che sono veramente molto grato a Sua Santità Benedetto XVI per la visita che ci ha voluto fare, un anno fa, nel giorno della nostra festa patronale di sant'Andrea. Esprimiamo ancora tanta riconoscenza. Quella visita ha costituito un passo in avanti veramente molto significativo nelle nostre relazioni fraterne. Inoltre è avvenuto nell'ambito di un viaggio che ha dato, nel suo complesso, un contributo molto importante nel dialogo tra le religioni. È stata per noi tutti un'occasione per conoscerci meglio, in una buona amicizia. Per il Patriarcato è stata senza dubbio una giornata storica. E storica è stata la visita del Papa per il confronto tra le culture e le religioni e per tutto il paese che, al crocevia tra Europa e Asia, ha un ruolo particolare di dialogo e confronto. È un luogo direi perfetto per costituire un centro permanente di dialogo tra le diverse fedi e culture.

A che punto è il cammino ecumenico?

Con molta tristezza confessiamo che non possiamo ancora celebrare insieme i santi Misteri e preghiamo che venga il giorno in cui questa unità sacramentale possa compiersi pienamente. Il cammino verso l'unità dei cristiani è una preziosa responsabilità. Una responsabilità che si può assumere pienamente solo se condivisa da tutti fraternamente. La storia dell'ultimo millennio ci ricorda dolorosamente questa realtà. Noi esprimiamo la volontà di proseguire, senza tentennamenti, il nostro cammino comune nello spirito di amore e fedeltà, verso la verità del Vangelo e della comune tradizione dei santi padri, per restaurare la piena comunione delle nostre Chiese. Questa è volontà e comando di Cristo stesso.

Intanto il dialogo teologico è ricominciato, come un anno fa avevate auspicato con il Papa nella Dichiarazione comune.

Il dialogo teologico è ricominciato, sono stati fatti significativi passi avanti. Ognuno deve fare sforzi per conservare le proprie tradizioni e allo stesso tempo cercare un riavvicinamento. Non so che cosa ci riserverà il futuro. Ci deve essere la buona volontà, la sincerità, il coraggio di tutti per andare avanti. Le note difficoltà esistono, ma c'è da tutte le parti il desiderio e la volontà di avanzare nel dialogo, senz'altro. L'amicizia esiste, la fratellanza esiste ed esiste anche l'impegno a proseguire il dialogo anche sui punti più difficili che impediscono ancora la piena comunione, la partecipazione allo stesso calice.

Che cosa significa essere in dialogo?

Crediamo che il dialogo sia necessario per la nostra epoca. Possiamo così capire ogni uomo, i suoi pensieri. La diversità nella teologia e nella religione non può essere un impedimento nella comunicazione con il nostro prossimo. Il senso più profondo del dialogo sta nel fatto che l'altro non è uno straniero ma creatura di Dio. Dunque non è per me una minaccia ma una gioia perché in lui vediamo l'immagine di Dio. Naturalmente il dialogo può essere condotto dentro i necessari limiti e spazi per non trascurare la verità e la fede tramandata. L'amore deve essere espresso insieme al rispetto della libertà dell'altro, come anche la libertà deve essere espressa come amore. In definitiva, sentiamo l'urgenza dell'unità e la ricerchiamo percorrendo i sentieri del dialogo, della preghiera, della vita ecclesiale quotidiana.

Che tipo di dialogo occorre?

È necessario un dialogo onesto e sereno, avendo coscienza del fatto che ad esempio le civiltà non dialogano direttamente, ma tramite persone che portano tradizioni e valori culturali. Per questa ragione è meglio parlare non di dialogo delle civiltà, ma di cultura del dialogo. E ciò che può fermare la violenza e facilitare la comprensione è unicamente la convivenza pacifica dei singoli e dei popoli. E se tutto questo vale per le civiltà a maggior ragione vale per le religioni. L'uso della religione come strumento politico non ha nulla a che fare con la fede autentica.

Alla violenza, però, a volte viene dato un connotato religioso.

La guerra in nome della religione è in realtà una guerra contro la religione. È importante compiere ogni sforzo per eliminare la violenza, da chiunque provenga, e fare in modo che a dominare il mondo sia la tanto desiderata pace. Oggi si parla molto di conflitto di civiltà e a questo viene addebitata, almeno in parte, la violenza esercitata sotto tante forme e a diversi livelli. Non si deve mai ricorrere per nessuna ragione alla violenza che, in quanto disvalore, non può difendere né promuovere i valori.

La preghiera, lei ha detto, è centrale nel cammino verso l'unità.

Nella nostra cattedrale patriarcale di San Giorgio abbiamo pregato per l'unità con tre Papi. In primo luogo, dopo secoli di inimicizia tra oriente e occidente cristiano, Paolo VI volle venire da noi nel luglio 1967, dopo aver incontrato tre anni prima, a Gerusalemme, Atenagora I. Nel 1979 è venuto anche Giovanni Paolo II, accolto da Dimitrios I, e lo scorso anno è venuto Benedetto XVI che, come il suo predecessore, ha voluto compiere questo gesto simbolico all'inizio del suo pontificato. Personalmente diverse volte sono venuto a Roma (non dimentico il dono delle reliquie di san Gregorio Nazianzeno e di san Giovanni Crisostomo) come pure ad Assisi dove ho incontrato Giovanni Paolo II. E a Napoli dove ho potuto abbracciare Benedetto XVI. Sempre abbiamo pregato assieme per l'unità.

Che cosa hanno significato questi incontri?

Tutte queste storiche visite sono state occasioni per coltivare in profondità le nostre relazioni e avvicinarci di più al calice comune. E questo desiderio si potrà trasformare in realtà tramite i nostri sforzi, le nostre preghiere, la nostra insistenza. Non può non realizzarsi, perché è la volontà del nostro Signore comune che ha pregato il Padre celeste prima della sua passione e della sua crocifissione:  vedere che quanti credono nel suo nome sono una cosa sola. Ma fino a quel luminoso giorno noi dobbiamo rimanere nell'amore del Signore e pregare per la santità e l'unità delle nostre Chiese, per la pace nel mondo.

Ai giovani ortodossi lei ha detto di recente che "purtroppo il mondo oggi conosce più la M di McDonald's che la croce di Cristo" e ha chiesto loro di "vivere come i pesci nell'acqua salata senza diventare salati".

Viviamo in un mondo globalizzato che ha azzerato le distanze. Questo produce vantaggi ma anche problemi. I giovani non devono identificarsi con la secolarizzazione, ma vivere e lavorare ad majorem Dei gloriam, come dicono i cristiani dell'occidente. Essere cristiani nel mondo di oggi significa obbedire a tutto ciò che non è contrario alla volontà di Dio. La Chiesa non è una associazione, ma il corpo del Signore di cui tutti siamo membra. Solo benefici si possono avere dall'unità e dalla carità in Cristo. È nostro Signore il filo conduttore di tutti i nostri pensieri. E questo cerchiamo di testimoniarlo in ogni modo. Perché si faccia conoscere, anche a chi lo ignora, il vero volto del Signore.

Lei è particolarmente sensibile alle tematiche ecologiche.

La violenza si esprime in tanti modi e anche verso la creazione non solo verso gli uomini e le società. Questa forma di violenza merita una particolare attenzione perché oggi, più che in ogni altro tempo, si violenta la natura e sicuramente la violazione ha conseguenze per l'uomo stesso, perché alla fine la natura violentata si ritorce contro l'uomo violatore. Siamo preoccupati per la creazione che è di continuo, e senza vergogna, oggetto di sfruttamento. Siamo preoccupati per la questione del cambiamento climatico. Siamo preoccupati, letteralmente, per l'aria e per l'ossigeno che respira l'uomo di oggi e che le generazioni future, crediamo, cercheranno invano. In una parola, siamo preoccupati per la semplice sopravvivenza dell'umanità.



(©L'Osservatore Romano 30 novembre 2007)
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