A colloquio con il presidente dei vescovi del Giappone

Vivacità della Chiesa nel Paese del sol levante

Nicola Gori

Una piccola comunità di credenti che cerca di essere lievito nella società. Un'istituzione stimata e apprezzata per l'impegno nella promozione umana. È il ritratto della Chiesa che è in Giappone, così come lo disegna monsignor Peter Takeo Okada, arcivescovo di Tokyo e presidente della Conferenza episcopale giapponese -, in questi giorni in visita "ad limina" - in un'intervista rilasciata al nostro giornale.


La Chiesa in Giappone è rappresentata da una piccola comunità. Come vivono i fedeli questa esperienza e quale può essere il futuro?


La Chiesa in Giappone è in effetti una realtà molto piccola. È una comunità che rappresenta meno dello 0,3% dell'intera popolazione. Però è molto fiera e mostra confortanti segni di una lenta ma progressiva crescita.
Le origini risalgono al tempo di san Francesco Saverio giunto in Giappone nel 1549. Nel corso dei secoli, la Chiesa ha subito diverse persecuzioni, dovute in gran parte alla natura stessa della cultura giapponese. Potrebbe sembrare un controsenso poiché la cultura giapponese è aperta al pluralismo religioso, tuttavia essendo fondamentalmente imbevuta di pluralismo non accettava una fede monoteista. Le cose oggi sono fortunatamente cambiate e si respira un clima di serena convivenza.
Certo, se si pensa che su 127 milioni di abitanti i cattolici in Giappone sono circa un milione, dei quali autoctoni sono soltanto 452.000 - per il resto infatti si tratta di immigrati provenienti dalla Corea e dalle Filippine -, si capisce quale sia la situazione e quanto ci sia da lavorare. E tuttavia, come ripeto, ci sono segni di crescita che ci fanno ben sperare. E si tratta di una crescita segnalata da tutte le 16 diocesi in cui è suddiviso il territorio ecclesiale. Anche a Tokyo, la mia diocesi, il numero dei cattolici sta aumentando pian piano, ma siamo ancora un gruppo piccolissimo.
Riserviamo una grande gratitudine ai numerosi missionari che sono venuti fin dai secoli passati nel nostro Paese per portare il Vangelo. Siamo fiduciosi e speriamo che i nostri Ordinari possano far crescere questa nostra Chiesa.

Di quale considerazione gode la Chiesa cattolica in Giappone?

La religione cattolica non è certamente una religione tradizionale. Tuttavia oggi tutti rispettano la Chiesa cattolica e il Papa. Dal punto di vista del nostro impegno nel sociale possiamo dire di godere di una buonissima reputazione. Gestiamo molte scuole, diversi asili e alcuni ospedali. Quanto all'influenza nel contesto sociale direi che siamo a buoni livelli anche se la maggioranza della popolazione è legata al buddismo, allo shintoismo e al confucianesimo. Ci stiamo impegnando soprattutto nella promozione nella società della Dottrina sociale della Chiesa, nella quale molti intravedono una possibilità di crescita per l'uomo nell'ottica della giustizia sociale della solidarietà e della pace.

Qual  è  il  rapporto  con  le altre religioni?

Manteniamo buoni rapporti con le altre religioni. Il cardinale Peter Seiichi Shirayanagi, arcivescovo emerito di Tokyo, per molti anni ha lavorato a favore del dialogo con le altre religioni e noi continuiamo a raccogliere i frutti.

E nella vita interna della Chiesa, per esempio sul piano delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa, si sta muovendo qualcosa?

Sul piano generale direi certamente che qualcosa si sta muovendo. Purtroppo la realtà della mia diocesi non è molto buona poiché si registra un calo delle vocazioni. Ci sono 90 sacerdoti e più di 200 religiosi, tra i quali un centinaio di gesuiti. Per lo più vengono dall'estero, in particolare dalla Germania. Io credo però che questo fenomeno in negativo sia dovuto in parte al minor incremento demografico e in parte alla grande attrattiva esercitata dal crescente benessere del Paese, che orienta i giovani al materialismo e alla ricerca del successo a tutti i costi.

E in questo quadro qual è il ruolo dei laici e quali prospettive possono rappresentare per il futuro dell'evangelizzazione del Paese?

I laici sono molto attivi, ma credo che dovrebbero svolgere un ruolo più importante nella Chiesa e nell'opera missionaria. Ma forse dipende un po' da noi vescovi e sacerdoti. Dovremmo affidare loro incarichi di maggiore responsabilità.

Quali sono al momento le più pressanti urgenze pastorali?

Direi soprattutto la famiglia. Sebbene nella cultura giapponese essa abbia conservato un ruolo e una fisionomia particolari, tuttavia si colgono i sintomi di un indebolimento generazionale. Senza contare poi le conseguenze di certe scelte per il controllo demografico. Per questo l'istituto familiare è al centro delle preoccupazioni e della sollecitudine pastorale di noi vescovi.



(©L'Osservatore Romano 13 dicembre 2007)
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