Intervista con la presidente dell'associazione Law

Tutelare
i diritti dell'uomo

Pierluigi Natalia


Benedetto XVI nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace 2008 afferma che l'umanità non è "senza legge", ricordando che "...valori radicati nella legge naturale sono presenti, anche se in forma frammentata e non sempre coerente, negli accordi internazionali, nelle forme di autorità universalmente riconosciute, nei principî del diritto umanitario recepito nelle legislazioni dei singoli Stati o negli statuti degli organismi internazionali". Il Papa sottolinea altresì che "la crescita della cultura giuridica nel mondo dipende, tra l'altro, dall'impegno di sostanziare le norme internazionali di contenuto profondamente umano, così da evitare il loro ridursi a procedure facilmente aggirabili per motivi egoistici o ideologici". Parte da queste considerazioni del Papa la nostra conversazione con l'avvocato Laura Guercio, presidente della Legal Aid Worldwide (Law), un'associazione per la tutela giurisdizionale dei diritti dell'uomo.

Avvocato Guercio, a giudizio suo e di Law, l'affermazione dei diritti umani fa progressi nell'attuale situazione internazionale?

Sostanzialmente sì. Anche il Papa ricorda e sottolinea il sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, citandola come un fattore del progresso dell'umanità. Il che non vuol dire, certo, che la situazione sia buona in assoluto. Nessuno ignora che sono diffuse in ogni parte del mondo - in alcuni casi in modo spaventoso e generalizzato - le violazioni di tutti quei diritti, a partire dal primo di essi, quello alla vita. Ma certo sta crescendo nella comunità internazionale la consapevolezza che occorre sostituire la forza del diritto al diritto della forza, sia essa militare, economica  o  anche scientifica e culturale.

Perché un'associazione per la tutela giurisdizionale dei diritti dell'uomo?

Perché promuovere e contribuire a rendere effettiva la tutela giurisdizionale dei diritti dell'uomo consacrati nella Dichiarazione del 1948 e nelle convenzioni internazionali sul rispetto delle libertà fondamentali è un compito che interpella non solo la politica e la sociologia, ma anche la giurisprudenza. Law esercita un'attività di supporto tecnico legale nell'ambito di realtà processuali dove si configurino violazioni dei diritti del singolo, offrendo a questa causa un impegno attivo, disinteressato e tecnicamente competente. La nostra è un'associazione formata essenzialmente di giovani giuristi, con la sede principale a Roma e una sezione collegata nella Repubblica Democratica del Congo, a dimostrazione del convincimento dell'universalità di questa causa e del fatto che, pur in condizioni diverse e con diverse giurisdizioni, il compito è qualitativamente, se non quantitativamente comune.

Sembra strano sentir parlare di un'azione comune di giuristi di Paesi tanto diversi. Tra l'altro, nel dibattito internazionale non manca chi invita ad affidare al diritto tradizionale africano le vicende africane che rientrano nelle competenze dei tribunali internazionali. Qual la posizione di Law?

L'ultimo impegno portato a termine da Law è stato la presentazione di un rapporto sulla situazione delle carceri congolesi, nell'ambito della campagna associativa "Diritti violati dietro le sbarre", che ci vede impegnati anche in Italia e in Ecuador. Dal lavoro comune tra i soci italiani e congolesi è emersa la convinzione che le più gravi violazioni dei diritti dell'uomo devono essere competenza di istituzioni - penso alla Corte penale permanente - affrancate non solo da interessi, ma anche da visioni solo locali. Ciò detto, va comunque sottolineato che proprio nelle realtà locali - e nelle leggi locali - occorre garantire tutela giurisdizionale ai diritti dell'uomo internazionalmente riconosciuti. Il rapporto non si limita a denunciare un'allarmante situazione di degrado, ma propone all'attenzione dell'amministrazione penitenziaria congolese strumenti concreti e vie praticabili per porre fine a questa drammatica situazione. Significativi, a mio giudizio, sono stati la disponibilità dimostrata a recepirne le raccomandazioni e l'impegno a collaborare con noi espressi a nome del Governo congolese dall'ambasciata a Roma, che ha partecipato alla presentazione del rapporto in Campidoglio. Così come significativo, per accrescere la tutela legale delle parti più deboli della popolazione, mi sembra il confronto che si sta avviando tra i giuristi di un'associazione aconfessionale come Law e la commissione diocesana Giustizia e Pace di Bukavu, nel Nord Kivu, il cui responsabile, don Justin Nkunzi, ha partecipato alla presentazione del rapporto.

Secondo Law, dunque, occorre una maggiore collaborazione tra società civile e istituzioni?

Non solo. Occorre "fare rete" anche tra le diverse realtà della società civile. Nell'impegno nella Repubblica Democratica del Congo, ad esempio, riteniamo importante ed essenziale non solo la collaborazione con chi sul posto vive, ma anche con quelle associazioni e Ong che certamente hanno maggiori anni di esperienza e di conoscenza. Per la Law è rilevante il confronto avviato con associazioni impegnate da tempo nella realtà africana, come Terres des Hommes, o Chiama l'Africa, o Rete per la pace in Congo, o Advocats sans frontières, o la Comunità di Sant'Egidio. Tra i limiti che constatiamo nella cooperazione internazionale, anche nel campo giuridico che più propriamente ci compete, c'è proprio una certa qual tendenza delle diverse e pur valide esperienze a non fare squadra. L'autoreferenzialità di molte associazioni, anche tra le maggiori e più attive, è un fenomeno che deve a maggior ragione essere evitato da una piccola realtà come Law e che, tra l'altro, personalmente deploro.

Vuole spiegarsi meglio?

La mia prima esperienza associativa è stata in Amnesty International. Ad altre associazioni aderiscono o hanno aderito gran parte dei soci di Law. Tuttavia, su alcuni aspetti, tutti noi abbiamo avuto difficoltà proprio nel conciliare la serietà di un impegno nel campo del diritto con un'azione di mera o anche preponderante denuncia, pur necessaria. Un'azione che può portare, in alcuni casi, da un lato ad assolutizzare le proprie convinzioni, dall'altro a relativizzare principî assoluti, persino quello del diritto alla vita. Ci sembra che ciò valga per molte associazioni, comprese alcune che operano nel settore penitenziario nel quale Law è particolarmente impegnata.

Vuole dire qualcosa di questo impegno?

La Law compie un'attività di monitoraggio su singoli casi nei quali è ravvisabile il pericolo di violazioni di diritti sostanziali e processuali della persona. Attualmente siamo impegnati anche nella campagna "La donna e il negato accesso alla giustizia", oltre che nella campagna già citata "Diritti violati dietro le sbarre", nel cui ambito, ad esempio, organizziamo corsi di formazione sui diritti umani per gli operatori nelle strutture amministrative e giudiziarie dei singoli Paesi. In Italia, in particolare, la Law ha sottoscritto a questo scopo un protocollo d'intesa con la Casa circondariale di Rebibbia a Roma. A proposito di Rebibbia, devo aggiungere quella che riteniamo una delle nostre principali iniziative. La Law sta promuovendo una "Carta dei diritti del detenuto" stilata durante una giornata di studi che organizzò nel giugno 2006 proprio nel carcere romano, con la partecipazione di rappresentanti delle istituzioni penitenziarie italiane, della società civile italiana ed internazionale e dei detenuti stessi. La Carta, che la Law propone all'adozione della legislazione italiana e in prospettiva come base di una convenzione internazionale, definisce in dieci articoli alcuni diritti fondamentali che non possono essere negati o vanificati nella condizione di detenzione o a causa di essa.

In sintesi, questa Carta cosa afferma?

La Carta recepisce punti quali l'effettiva separazione tra i detenuti ancora in attesa di giudizio e quelli già condannati; che la pena debba essere inflitta e scontata solo nel pieno rispetto delle differenze di età, di genere, di credo religiosi, volendo tutelare soprattutto le categorie più vulnerabili e più deboli, quali minori, donne, anziani, portatori di handicap e persone soggette a dipendenza; che sia garantito il diritto del detenuto alla tutela delle relazioni con la propria famiglia. Altri punti riguardano la necessità di corsi di aggiornamento del personale penitenziario sulla tutela dei diritti dell'uomo, nonché l'istituzione di un soggetto terzo rispetto all'amministrazione penitenziaria, un garante con adeguati poteri che in Italia, ad esempio, non esiste a livello nazionale, ma solo in alcuni Comuni e Regioni.
Più in generale, si afferma che la persona umana conserva pienamente anche nella condizione di detenzione il suo diritto inalienabile alla manifestazione della propria personalità, nell'affettività come nell'espressione del pensiero, nella pratica religiosa come nell'attività lavorativa, e si sottolinea - per non lasciare tali diritti confinati al loro mero riconoscimento teorico - che è compito dell'amministrazione garantire standard accettabili per il loro effettivo esercizio. Inoltre la Carta sostiene che la retribuzione del crimine e la rieducazione stiano tra loro in un rapporto dialettico finalizzato al reinserimento sociale. Ciò implica che la detenzione non possa essere a vita.



(©L'Osservatore Romano 16 dicembre 2007)
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