A colloquio con monsignor Pasquale Iacobone, «sacerdos&187; della Pontificia Accademia «cultorum martyrum»

Le «stationes» quaresimali
nella tradizione della Chiesa

di Nicola Gori


Vigilare, come le "sentinelle a guardia dell'accampamento", ma armati della preghiera, forgiati dalla penitenza e fortificati nello spirito dal digiuno. Monsignor Pasquale Iacobone, sacerdos della Pontificia Accademia cultorum martyrum, nell'intervista rilasciata a "L'Osservatore Romano", spiega così il significato delle stationes che, secondo un'antica tradizione risalente ufficialmente al V secolo, vengono celebrate nel corso della quaresima. Ne ha ripercorso la storia e si è soffermato su alcune particolarità.

Quali sono le origini della statio e cos'è?

Abbiamo documentazione antichissima. Già con alcuni Padri della Chiesa, già nel Pastore di Erma e poi in Cipriano, Tertulliano e in altri Padri, abbiamo indicazioni in merito. Che cos'è dunque la statio? Innanzitutto, una veglia, accompagnata dal digiuno, con la quale ci si prepara a vivere un avvenimento importante. Si riprende la terminologia militare, come sottolinea sant'Ambrogio, per cui la statio ci rimanda all'immagine della sentinella che vigila nell'accampamento. Questo atteggiamento si collega ad uno dei motivi essenziali della quaresima:  vigilate, state attenti e compite in particolare opere di penitenza, di carità e di digiuno. Queste opere vengono collegate tra loro e proposte per creare un atteggiamento di conversione profonda attraverso, appunto, la vigilanza, le pratiche e gli esercizi di pietà. Concretamente, la statio diventa poi l'incontro della comunità cristiana che si raduna nei cosiddetti tituli, cioè le antiche parrocchie o i santuari dove erano deposti i martiri. A tal proposito ricordiamo che un antico documento, la Depositio martyrum, del 336, ci riferisce il luogo dove riposa il martire e dove si tiene la statio, cioè il luogo dove la comunità si riunisce per pregare quel martire nel ricordo del suo dies natalis. L'incontro della comunità cristiana con il vescovo si apre con la "colletta". Ci si riunisce in una chiesa da cui si parte per una processione lungo la quale si cantano le litanie, per questo si parla di letania. Nel Liber Pontificalis si parla sempre di fare una letania, cioè una processione della comunità con il proprio vescovo dalla chiesa vicina alla chiesa stazionaria  o  a  una  delle  grandi  basiliche, dove si conserva la memoria del martire.

A che epoca risale la tradizione della "statio"?


La prima notizia storica ufficiale l'abbiamo con Papa Ilaro (461-468). Nel Liber pontificalis, si dice che il Papa dona alla Chiesa di Roma una serie di vasi sacri da utilizzare nelle chiese in cui avvenivano le stationes. C'erano le stazioni quaresimali dei diversi tempi liturgici, avvento, quaresima e Pasqua, sia le stazioni stabilite per le celebrazioni solenni di alcuni santi e martiri. Pietro e Paolo, innanzitutto, poi Lorenzo, Agnese, Cecilia. Questo uso era diffuso a Roma, ma si diffonde poi in tutta Europa, come nell'Africa del nord, a Milano, Ravenna, in Germania e in Gallia. Esistono dei testi liturgici di queste Chiese, che riportano la successione delle stazioni con il nome della chiesa romana, che i libri liturgici romani non riportano, perché era scontata. Nei calendari liturgici non romani venivano invece esplicitamente ricordate le chiese stazionali di Roma, per sentirsi in piena comunione con la comunità di Roma e il suo vescovo, il Papa. Una prima riorganizzazione e sistemazione delle stationes avviene, secondo la tradizione, con Gregorio Magno.


Alle stationes il Papa ha sempre partecipato?

All'inizio le stazioni erano sempre presiedute dal vescovo. A Roma dal Papa, nelle altre diocesi dai rispettivi vescovi, per esempio sant'Ambrogio a Milano. La statio non si teneva tutti i giorni. Inizialmente si svolgeva solo in alcuni giorni più significativi, per esempio il martedì, il mercoledì e il venerdì. In seguito, Gregorio II aggiunse il giovedì, per cui alla fine tutta la settimana era occupata dalle stazioni e così tutti i 40 giorni della quaresima divennero giorni stazionari. Il Papa si recava nella chiesa vicina a quella stazionaria. Lì si recitava la "colletta", cioè la preghiera di riunione, e quindi si formava la processione che, al canto delle litanie dei santi, giungeva alla chiesa stazionaria dove si partecipava a una veglia di preghiera, successivamente sostituita dalla celebrazione eucaristica. Questo fino all'esilio avignonese, a causa del quale si verifica una decadenza delle pratiche liturgiche. Anche la liturgia stazionale decade notevolmente. Viene ripresa in alcuni momenti, ad esempio con san Carlo Borromeo e col Papa san Pio V, ma vive alti e bassi, anche perché non sempre il Papa vi partecipa. Arriviamo al 1870 quando definitivamente le stationes non ebbero più luogo, perché venne proibita la processione per le vie della città in seguito ai moti che portarono all'unità d'Italia e alla presa di Roma.


Quando e come è ripresa la pia pratica?


Dobbiamo arrivare al primo '900 per vedere rifiorire le stationes romane, con il nostro Magister monsignor Respighi, che dal '31 al '47 sostenne e incoraggiò questa tradizione, la rilanciò a Roma. Da allora anche il Papa partecipa alla prima statio, quella che ora si svolge a Santa Sabina.

Santa Sabina è sempre stata la prima "statio"?


No, non sempre, perché fino a una certa epoca la quaresima cominciava la domenica e alla domenica si cominciava sempre dalle grandi basiliche. Nel momento in cui la quaresima è stata anticipata al mercoledì delle ceneri per essere effettivamente di 40 giorni, si è anticipata anche la prima stazione, e la si è collocata a Santa Sabina all'Aventino.

In che secolo è avvenuto questo cambiamento?

Si deve risalire a Gregorio Magno nel VI secolo, perché fu lui a stabilire questa tradizione. Poi, è chiaro, ci sono stati dei cambiamenti. Non sempre le stazioni sono state collocate nelle stesse chiese, perché ad un certo punto alcune di esse sono decadute, oppure il titolo è stato spostato in una chiesa dove era più facile favorire la partecipazione dei fedeli, perché la chiesa era decadente o scomparsa.

E oggi?

Devo dire che molte chiese stazionali consentono di vivere l'evento in un contesto dignitoso e confacente; altre, soprattutto le chiese storiche, dove non c'è una comunità parrocchiale, dove non c'è una comunità viva, presentano qualche difficoltà. Noi come Collegium cerchiamo di partecipare a tutte le stazioni. C'è anche un'alternanza dei soci, affinché in ogni stazione ci sia sempre un'adeguata presenza, per tutti i 40 giorni della quaresima. Ultimamente, abbiamo anche cercato di venire incontro alle esigenze di un sempre maggior numero di fedeli. È il caso dello spostamento di una statio collocata in una chiesa stazionale tradizionale ma situata in luoghi magari poco accessibili, soprattutto per gli anziani. La celebriamo in una parrocchia. Per esempio, in questi ultimi anni abbiamo celebrato la stazione nella nuova parrocchia dei Protomartiri romani. È nuova, ma ci riporta alla memoria dei Protomartiri, e dunque è evidente il motivo per il quale abbiamo proposto di celebrare in quella parrocchia una stazione quaresimale. Credo, tra l'altro, che sia un segno importante in questo momento, perché è anche un modo per cercare di dare una risposta concreta a quanti paventano il rischio della dispersione e della disgregazione della comunità. La "colletta" e quindi la statio ripropongono l'immagine della comunità che si raduna attorno al vescovo, o al celebrante. Dunque rappresentano un segno di comunione e di unità attorno al vescovo. È un modo anche di far capire come sia sempre attuale la necessità di vigilanza, di attenzione per una conversione interiore profonda. Questi piccoli gesti simbolici, accompagnati dal canto delle litanie, creano anche un clima di comunione con i santi, con chi ci ha preceduto. E forse è anche l'occasione per riscoprire il senso di appartenenza all'unica comunità dei credenti nel Cristo, presente sull'altare.



(©L'Osservatore Romano 8 febbraio 2008)
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