Il cardinale Tomás Spidlík indica un itinerario spirituale di conversione sulle orme dei Padri

I tesori della tradizione orientale
ricchezza per la Quaresima

di Giampaolo Mattei


Un consiglio pratico per gli esercizi quaresimali da uno dei massimi conoscitori della spiritualità dell'Oriente cristiano? Far passare anche qualche elemento umoristico, "quasi per contrabbando, utile non tanto per restare svegli, ma proprio per vivere una penitenza cristiana sincera". È l'atteggiamento suggerito dal cardinale Tomás Spidlík che rivela:  "Ho usato io stesso questo stile, con alcuni riferimenti umoristici, predicando nel 1995 gli esercizi quaresimali a Giovanni Paolo II e lui lo ha notato compiacendosene". Gesuita moravo, 89 anni, il cardinale Spidlík continua a essere punto di riferimento a est come a ovest. Dal 1991 vive e lavora al Centro Aletti, a un passo da Santa Maria Maggiore, dove si studia la tradizione dell'Oriente cristiano nella sua relazione con il mondo contemporaneo. Nell'intervista presenta l'essenziale della Quaresima, guardando ai tesori della tradizione orientale.

Che differenza c'è in questo campo fra i due polmoni della Chiesa universale?

Una nota di questa diversità si riconosce già nei termini con i quali indichiamo il progresso spirituale. In Occidente si usa la parola conversione. È lo stesso del greco metànoia? Vediamo. Conversione è la traduzione letteraria del termine biblico che indica un cambiamento di strada. Una persona ha scoperto che il suo agire e pensare va verso un fine sbagliato. Deve quindi cambiare, tornare indietro. Traducendo questo linguaggio metaforico in termini morali, ne segue il famoso monito:  ingredere totus, mane solus, ex alius! Si raccontano esempi edificanti di alcuni santi che sono usciti radicalmente cambiati da esercizi fatti con animo generoso. Ma proprio questo concetto suscita dubbi negli ecclesiastici che fanno gli esercizi ogni anno:  quante volte devo cambiare la vita e le mie decisioni interiori? Se si fa sinceramente, basta una volta per sempre. A questi obiettori di coscienza si risponde:  non si fa ogni anno una conversione totale, ma una certa mini-conversione, su qualche punto particolare.

E il termine greco metànoia?

Diversamente si può intendere il termine metànoia. Il secondo elemento del vocabolo significa il modo di pensare e questo cresce meglio non cambiando, ma progredendo nella direzione presa. Possiamo cercare di capire che cosa questo significhi in relazione all'osservazione delle cose intorno a noi. Il primo grado è la visione degli occhi. È la scienza della physikà. Nel secondo grado si guardano le stesse cose con l'intelletto puro; si fa un progresso verso la meta-physikà. Ma gli autori spirituali insistono sulla necessità di fare ancora un terzo passo, cioè vedere le stesse cose e se stessi con gli occhi illuminati dallo Spirito Santo, esercitarsi oltre la meta-physikà. Questo è lo scopo principale degli esercizi quaresimali.

Quale tradizione hanno gli esercizi quaresimali nell'Oriente cristiano?

Mi permetto di proporre un esempio che non è tanto deviante dal tema come invece potrebbe sembrare a prima vista. Sul Monte Athos esisteva una scuola per pittori delle icone che assomigliava a un corso di esercizi. I partecipanti dovevano assistere alla liturgia, approfondire le conoscenze sulla fede, la teologia e anche studiare l'arte iconografica. Alla fine dovevano superare una specie di esame di maturità che consisteva nel dipingere l'immagine della Trasfigurazione sul Monte Tabor.

Perché l'icona della Trasfigurazione?

Per dimostrare di essere capaci di osservare il mondo non con gli occhi profani, neanche attraverso le speculazioni razionali, ma proprio di vedere l'universo così come lo videro gli apostoli sul Tabor. La specialità di questa visione taborica è descritta nelle omelie dei padri e di autori bizantini. Il termine greco per trasfigurazione è metamórphosis, letteralmente "cambiamento delle forme". Conosciamo le Metamorfosi di Ovidio. La trasfigurazione di Gesù non poteva avvenire in tal modo. Se avesse cambiato forma, gli apostoli non l'avrebbero riconosciuto. Gli apostoli videro il Salvatore in una nuova luce, una luce spirituale, acquistarono la metánoia, la perfezione della fede. Infatti sulle icone è generalmente rappresentato solo San Pietro che riesce ad afferrarla pienamente dato che, prima di salire sul Tabor, ha confessato:  "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". I cristiani sono invitati ad acquisire la luce taborica nelle preghiere. Perciò l'elemento principale negli esercizi è un'intensa preghiera personale.

Qual è il significato della preghiera?

Sarà meglio rendersi conto prima che cosa è ciò che si chiama preghiera. Per noi cristiani è di capitale importanza il fatto che nel tempo dei padri venne aggiunta alle definizioni della preghiera la classica affermazione platonica:  la preghiera è "l'elevazione della mente a Dio". Eppure Evagrio, che nel IV secolo introdusse questa definizione nei trattati monastici, vi fece un'aggiunta di grande valore:  "... e colloquio con Dio". Ciò vuol dire che Dio, al quale eleviamo la mente, non è un'idea nobile, un'astratta idea universale, ma una Persona viva con la quale si entra in dialogo personale. Insisto su questo aspetto, oggi tanto attuale. Siccome mi conoscono come uno che studia "la spiritualità orientale", ogni tanto qualcuno vuol parlare con me di meditazioni orientali, yoga, zen. Di solito queste persone sono fermamente convinte che tali pratiche siano convenienti alla mentalità dell'uomo di oggi, ma hanno dubbi su come conciliarli con le preghiere cristiane.


Un esempio, tra yoga e preghiera cristiana?


Faccio riferimento a un colloquio con una buddista giapponese. Era di ritorno dalla Svizzera dove aveva partecipato a un corso di scienza comparata fra le religioni e voleva discutere con me sulla mistica cristiana. Ho dipinto per lei sulla carta lo schema della salita sul Monte, Sinai o Carmelo, le diverse tappe. Ha ascoltato meravigliata e ha tracciato uno schema assai simile deducendolo da qualche documento buddista. Poi mi ha chiesto:  "Avete anche qualche altro schema di salita mistica?" - "Certamente" ho risposto, spiegandole la teoria evagriana sulla liberazione dai concetti particolari per raggiungere Dio "senza forme". La buddista, entusiasta, ha esclamato:  "Questo è tipicamente nostro. Ma allora se si possono trovare tante analogie, esiste o non esiste la differenza fra la preghiera cristiana e buddista?". Ho cercato di tirarmi fuori dalla confusione con una contro-domanda:  "Quando voi pregate, che cosa volete raggiungere?" - "È chiaro, l'unione con l'Essere supremo" è stata la sua risposta - "Bello, lo sottoscrivo anch'io. Ma chiedo ancora una cosa:  in questa nostra vita qualcuno ha già raggiunto la perfetta unione con Dio?" ho insistito. La donna mi ha dato una risposta davvero bella:  "Questo è il desiderio di tutti gli uomini, ma in questa vita presente nessuno l'ha mai raggiunto". Allora le ho detto:  "Noi cristiani crediamo che nella persona di Gesù Cristo l'uomo e Dio si sono perfettamente uniti. Perciò la nostra preghiera si fa sempre per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, unione personale, dialogale con lui e poi con il Padre, che vive e regna nei secoli dei secoli". La buddista è rimasta in silenzio poi mi ha detto:  "Ci penserò". E con inchini profondi e sorrisi gentili ci siamo separati.

Bisogna riconoscere la radice vitale.

Ritengo tanto importante questo fatto perché la nostra società diventa sempre più un regno di morte. Trattiamo gli esseri vivi come cose puramente materiali e lo stesso Dio vivo come un'idea astratta, morta. Perciò anche le nostre distinzioni fra il bene e il male hanno effetti mortiferi. L'originale pensatore russo Sestov spiega in questo senso il primo peccato di Adamo. Il frutto paradisiaco che dava la distinzione del bene e del male era, per ordine di Dio, inseparabile dall'albero della vita. Reciso da lì, ha portato la morte. Tornando al nostro contesto iniziale possiamo dire:  lo scopo degli esercizi spirituali è far tornare le nostre nozioni di fede alla radice vitale mediante la preghiera viva con Dio Padre vivo, mediante il Dio-Uomo vivo Cristo e il suo Spirito vivificante.

E il digiuno e l'elemosina?

A prima vista sembra che con questi termini torniamo indietro. Mentre finora abbiamo parlato di ciò che risveglia la vita, con questi termini entriamo nella sfera indicata come mortificazione. La vita si sostiene con il nutrimento. Allora perché uno dovrebbe digiunare? Alcuni monaci del deserto praticavano l'astinenza in modo così eroico che ci sembra inverosimile. Nelle omelie dei padri si cercava di stabilire sia la misura che i motivi spirituali del digiuno. Dai digiuni prescritti nell'Antico Testamento i cristiani si sentivano liberati, ma trovarono nuovi motivi.
Quali sono i motivi per digiunare?
Il primo è caritativo:  ciò che uno risparmia della propria abbondanza, la carità lo distribuisce agli indigenti. Si fa l'elemosina. È un termine oggi considerato antipatico, ma originariamente esprime la sincera compassione con gli altri e il passare a loro tutto ciò di cui hanno bisogno. Quanto al corpo, san Basilio ci assicura che i suoi veri bisogni sono assai pochi. Aggiunge, quindi, nelle sue omelie sul digiuno anche motivi presi da medici e asceti pagani. E persino un motivo che dovrebbe attirare il sesso femminile:  le donne che digiunano sono più belle. Naturale che tutta quella eloquenza fiorisse soprattutto nei discorsi quaresimali.

Che cosa ha da dire la Quaresima al mondo di oggi che sembra annullare la presenza di Dio e il senso del peccato?

Riconosco che tutto suona male alle orecchie del mondo fino al momento in cui non lo aiuteremo a comprendere il monito decisivo del vangelo:  "Fate penitenza, perché il regno di Dio è vicino". Sentiamo la sua definizione patristica:  "La penitenza rinnova il battesimo; la penitenza è un patto con Dio per cominciare una vita nuova". Per san Gregorio di Nazianzo la penitenza è un "battesimo di lacrime". E sant'Efrem scrive:  "L'anima è morta per il peccato. Le lacrime che cadono su un corpo non riescono a risuscitare un cadavere; ma se cadono su di un'anima la risuscitano, la fanno rivivere". L'esperienza ci fa scoprire tanti mali nel mondo. Ne siamo rattristati? Grandemente. Eppure la tristezza è indicata dagli asceti fra i vizi fondamentali. Come liberarsene? Con la promessa che ogni male proviene dal peccato e che ogni peccato è riparabile per mezzo della penitenza. Un documento etiopico, Il mistero del cielo e della terra, assicura:  "Quand'anche i peccati del credente fossero grandi come montagne e assai numerosi, se la penitenza è simile a una favilla, prevarrà anche se piccola, e cancellerà tutti i suoi peccati". Per questo motivo i monaci volevano fare penitenza continua, quasi una Quaresima prolungata. Piangevano ricordando i loro peccati.

Un pianto proponibile all'uomo di oggi?

Ma attenzione a ciò che i monaci dicono del loro pianto. Non sono lacrime di tristezza, ma di una commovente emozione, di consolazione:  com'è buono il Salvatore, sempre pronto a riparare ogni male! Dice sant'Efrem:  "Un volto lavato da tali lacrime è di una bellezza imperitura". E gli uomini di oggi? Non vogliono ammettere il loro peccato, quindi ritengono di non aver bisogno di Dio per perdonarlo. Allora rimane loro solo la triste esperienza del male. Restano poveri spiritualmente. Si trovano però anime generose che fanno penitenza per loro, soprattutto in Quaresima, nella consapevolezza che noi uomini siamo un unico organismo:  siamo legati da una solidarietà che ci fa condividere i peccati così pure come la santità e gli sforzi di bene.



(©L'Osservatore Romano 16 febbraio 2008)
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