A colloquio con padre Franco Cellana superiore generale dei missionari della Consolata

Giovani kenyani coinvolti negli scontri
pregano insieme per l'unità


di Francesco Ricupero

Una giornata di preghiera, di riconciliazione e di speranza è stata programmata per il prossimo 29 marzo nel parco di Uhuru, a Nairobi, capitale del Kenya. L'obiettivo degli organizzatori è quello di mobilitare i giovani, specialmente quelli coinvolti negli episodi di violenza dei mesi scorsi. Un appuntamento che sarà caratterizzato dal dialogo, dalla convivialità e dalla solidarietà. "Stiamo organizzando questa giornata con grande impegno ed uno sforzo notevole - racconta padre Franco Cellana, superiore generale dei missionari della Consolata, in Kenya, in un'intervista rilasciata a "L'Osservatore Romano" - vogliamo portare i giovani in strada per fraternizzare, perché sono loro il futuro del Kenya e dipenderanno da loro le sorti del Paese. Fede, coraggio e preghiera sono i tre ingredienti di una miscela che hanno consentito al Kenya di risollevarsi".
È appena iniziata, infatti, una settimana importante per il futuro del Kenya. Dopo mesi di disordini e scontri tra la popolazione, scoppiati nel dicembre scorso a seguito delle contestazioni dei risultati delle elezioni presidenziali che hanno visto prevalere Mwai Kibaki su Raila Odinga, il Paese africano tenta di uscire dal tunnel cancellando le profonde divisioni. Tutto ciò grazie al patto sottoscritto giovedì scorso dal partito dell'unità nazionale (Pnu) del presidente Kibaki e dalla formazione d'opposizione, il movimento democratico arancione (Odm) guidata da Odinga. L'accordo prevede la creazione della figura del primo ministro con due vice, ruolo fino ad oggi inesistente in una nazione con presidenza forte.

Come ha reagito il Paese alla notizia dell'accordo sottoscritto tra il presidente Kibaki e il leader dell'opposizione Odinga?

"È stata la fine di un incubo, grazie a Dio le nostre preghiere sono state esaudite. Speravano in una soluzione più rapida perché la gente ha sofferto tanto. Non nascondo che eravamo molto preoccupati:  se non si fosse arrivato all'accordo, il Kenya sarebbe sprofondato in una tragedia. L'intero Paese è stato messo in ginocchio dalla violenza. Ma appena si è sparsa la notizia dell'accordo, la gente è uscita per le strade e ha iniziato a ripulirle di tutti gli ingombri causati dagli incendi delle abitazioni. Si è subito creato un clima di rinascita e di rinnovamento. C'è stata tanta collaborazione tra la gente per far sì che il loro quartiere ritornasse ordinato come lo era qualche mese prima dei disordini. Donne e bambini hanno iniziato a danzare per la gioia. In Kenya non si parla d'altro. Tutti sono concordi nell'affermare che grazie alla pace il Paese si risolleverà al più presto. Occorrono però tanti sacrifici.

Pensa che la Chiesa abbia dato un contributo al raggiungimento della pace?

Sicuramente. Per oltre due mesi abbiamo lanciato appelli e inviato messaggi di riconciliazione ai sostenitori delle due fazioni. Ogni giorno ci siamo riuniti in preghiera nelle parrocchie e abbiamo sensibilizzato la popolazione a riflettere sull'importanza della pace. Abbiamo spiegato loro che l'odio avrebbe provocato delle profonde lacerazioni nel Paese. In tutte le diocesi c'è stata una grande mobilitazione. Le sessantatré congregazioni missionarie religiose presenti in Kenya hanno lavorato moltissimo sull'umore e sulla fede della gente. Adesso, il Kenya ha cambiato pelle, il Paese per fortuna non è legato a nessun partito. Alla popolazione interessa un governo, a prescindere dal colore politico, che sia in grado di farli crescere economicamente e culturalmente.

In che modo le parrocchie hanno aiutato le migliaia di sfollati e i familiari delle vittime?

Centinaia di volontari si sono prodigati nell'aiutare gli sfollati, i bambini, le donne e gli anziani. In particolare, abbiamo inviato generi alimentari, indumenti e prodotti per la pulizia, anche perché il rischio di epidemie era davvero alto. La Chiesa si è preoccupata, quindi, di aiutare e consolare le famiglie, le grandi organizzazioni internazionali (Caritas, Croce Rossa Internazionale) hanno invece portato il loro "know-how" nella realizzazione dei campi per gli sfollati e nella gestione delle emergenze. Nei prossimi giorni invieremo una "supervisione" a Nakura e Kisumu per distribuire altri beni di prima necessità.

Il Governo sta provvedendo a ripristinare la legalità nel Paese?

Sì, i primi segnali ci sono già. Non si vede più gente armata per le strade. Si sta lavorando per consentire agli sfollati di far ritorno a casa. A quelli che invece non hanno più un tetto o che hanno subito danni maggiori, il presidente Kibaki ha promesso di dare un aiuto particolare. Questo è molto importante, perché dà fiducia alla gente. Si tratta di una promessa, un impegno che va onorato.

Quanto ha inciso la mediazione di Kofi Annan nel raggiungimento della pace?

Il lavoro svolto dall'ex segretario generale dell'Onu è stato davvero encomiabile. La firma di questa intesa la si deve alla tenacia e alla pazienza di Kofi Annan:  uomo eccezionale che non si è lasciato condizionare dalle critiche e ha saputo cogliere il momento per mettere Kibaki e Odinga di fronte alle loro responsabilità, quando ha sospeso i negoziati tra le delegazioni ed ha costretto i due leader a discutere tra di loro. Adesso, speriamo che l'accordo venga rispettato e applicato in modo corretto, senza interferenze. Il nuovo governo di coalizione dovrà affrontare le cause profonde della crisi, in primo luogo la questione della proprietà agraria che è il vero nodo da risolvere per riportare la pace tra le etnie. Non si può dividere la popolazione tra ricchi e poveri, e per quest'ultimi non c'è mai stata la possibilità di riprendersi. Il nuovo governo deve lavorare per consentire ai deboli di salire il gradino nella società e restituire a queste persone la dignità.

Prevedete grande affluenza per la giornata di preghiera e di riconciliazione?

È ovvio, la pace è di tutti e per tutti. La gente era stanca delle continue violenze, il Kenya è uscito dal tunnel e deve continuare a vedere la luce. Per questo siamo sicuri che il 29 marzo ci sarà una grande affluenza. Tutti insieme, a prescindere dai colori politici e della fede religiosa, trascorreranno una giornata di preghiere, danze e convivialità. A questa giornata di riconciliazione, dovrà seguire un serio programma di riunificazione da parte del nuovo governo".
I principali punti dell'intesa firmata il 28 febbraio scorso prevedono, oltre alla figura del primo ministro affiancato da due vice, i posti ministeriali verranno divisi in modo da riflettere la forza parlamentare dei rispettivi partiti, con gli incarichi più importanti divisi in modo bilanciato tra i partner della coalizione. Kibaki rimane capo dello Stato mentre Odinga diventa primo ministro con la responsabilità di condurre gli affari correnti di governo. Se il presidente intende licenziare un ministro lo potrà fare solo con il consenso scritto dal premier. La coalizione verrà sciolta al termine della legislatura, nel 2012, oppure se vi è il consenso scritto dalle parti o, infine, se uno dei partner si ritira della coalizione.



(©L'Osservatore Romano 5 marzo 2008)
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