A colloquio con fratel Alois priore della comunità monastica ecumenica

A Taizé non inventiamo nulla


di Monica Mondo

Ha un volto adolescente fratel Alois, guida della comunità monastica ecumenica di Taizé. Difficile sovrapporlo a quello segnato di rughe, contornato di capelli bianchissimi, di fratel Roger, assassinato a novant'anni da una squilibrata il 16 agosto 2005. Il mondo si commosse per l'anziano fratello che aveva fatto della riconciliazione il compito della sua vita e della realtà da lui costruita, incontro dopo incontro, nel paesino della Borgogna, vicino a Cluny, che vide e diffuse la rinascita del monachesimo occidentale. Un'avventura, quella di Taizé, che ha attraversato le generazioni, quelle della contestazione, dell'edonismo, del riflusso. Che ha stupito e attirato decine di migliaia di giovani, di diverse confessioni cristiane, con una proposta semplice:  ascolto, preghiera, ricerca di Dio.
Fratel Alois, cattolico, tedesco di origine, ha un volto giovane, e una saggezza e sapienza antiche. Da trent'anni ha messo la sua fede a servizio della comunità e la sua amicizia a disposizione del maestro scomparso. È a Roma, dove ha incontrato Benedetto XVI. Non è stato il primo incontro, e non è il primo con un Papa:  spesso accompagnava fratel Roger da Giovanni Paolo II. Wojtyla aveva conosciuto fratel Roger quando era ancora cardinale, quando aveva voluto conoscere la casa sulla collina di Taizé, dove in momenti particolari dell'anno si montavano tende e si aprivano le case dei villaggi per accogliere i pellegrini della modernità. Fin dai primi incontri si erano comunicati insieme, il futuro Papa e il monaco di Taizé, che l'aveva visitato a sua volta in Polonia. "Erano così simili, uno di fronte all'altro, ormai vecchi, malati. Erano proprio un'icona dell'unità".
Il dialogo continua tra i successori, e fratel Alois ha parlato con Papa Ratzinger della preghiera, ha ricevuto un compito, aiutare i giovani a risvegliare l'amore per la preghiera. Anche povera, tentennante, ma autentica. "Non è mai un obbligo morale o religioso, la preghiera. Tocca scoprirne la bellezza, anche solo seguendo una parola amata delle Scritture, del Vangelo. Su questo amore si può costruire. Se non c'è amore per la preghiera, non si costruisce".

Cosa le piace, la stupisce di questo Papa?

"Che è uomo di poche parole, ma che portano al cuore del Vangelo. Insiste giustamente sulla gioia del credere, sulla bellezza della fede, la necessità di una relazione personale con Dio. Nelle sue encicliche, nel suo libro su Gesù, anche nella sua Lettera alla Diocesi e alla città di Roma".

Si può fare comunione, al di là dei problemi dottrinali, teologici, sul tema così urgente dell'educazione?

"Devono lavorare insieme tutti i cristiani, perché si riproponga il problema di Dio. È la domanda di ogni essere umano, e va risvegliata:  è ciò che cerchiamo di fare a Taizé; attraverso l'invito alla preghiera comunitaria:  le domande sul senso della vita sono di tutti, anche di chi è cresciuto nella fede, cattolici, ortodossi, protestanti".

A Taizé giungono molti ortodossi, dai paesi dell'est, tra l'altro Romania, Serbia, cattolici da Italia, Spagna, Lituania, protestanti dalla Germania, dalla Svezia, soprattutto. Tanti come decenni fa. Tanti anche ora che fratel Roger non c'è più, ma resta la strada da lui indicata. Le radici dell'Europa sono cristiane, l'educazione deve farle rivivere. Come si fa ad appassionare tutti questi giovani a una tradizione, di fronte a un relativismo che proclama che non c'è verità?

"Ma i giovani sono portatori di una grande generosità! Ci vuole pazienza, bisogna accompagnarli, prenderli là dove sono e credere che c'è una piccola fiamma in ciascuno di loro. Chi ha il compito di trasmettere la tradizione deve partire da qualcosa che già c'è. Altrimenti sono regole che vengono dall'esterno. Bisogna ravvivare la brace che cova sotto la cenere, non soffocarla. Certo, bisogna formulare la tradizione in modo che sia accessibile. Faccio un esempio:  ogni venerdì sera noi facciamo la preghiera intorno alla croce e invitiamo tutti i ragazzi che dall'inizio della settimana stanno con noi in comunità a baciare il legno della Croce, ad affidare a Cristo i fardelli della nostra vita, perché li prenda su di sé. E i ragazzi sono così attenti, così seri di fronte a questo gesto semplice, antico. Basta poco per formulare la tradizione in modo accessibile a noi, oggi. Nel fondo delle cose, non inventiamo nulla, a Taizé".

Vicino alla casa della comunità i torrioni dell'abbazia di Cluny. L'Europa nasce sulle pietre delle chiese costruite dai monaci. È anche il vostro compito, oggi?

"Credo di sì. Abbiamo una responsabilità per l'Europa, che diventi una realtà non solo economica. Anche alcuni politici cercano questo sostegno, perché sia una comunità di popoli. La Chiesa vive un'unità al di là delle frontiere. Tocca a noi radunare i giovani per muovere le loro volontà a lavorare per un'Europa più unita".

Come avvertite quest'urgenza educativa di cui parla il Papa? Di chi è la responsabilità? Delle famiglie, della scuola, della cultura del nostro tempo, che dubita della verità e del bene?

"Dubita della bontà della vita. È bello, liberatorio che il Papa non designi un colpevole. Ci rimproveriamo, come adulti, le nostre mancanze. Ma ci sono dei problemi oggettivi, la fretta, un'evoluzione troppo rapida dei pensieri, dei comportamenti, e la mancanza di riferimenti solidi. Però non dobbiamo solo guardare la negatività della situazione che stiamo vivendo. Ci sono anche molte possibilità, nella cultura moderna, per esempio la mondializzazione".

Come aiutare i giovani a rispondere alle domande della vita? Il nostro tempo le consuma, le soffoca sul nascere. Trasforma le grandi domande in piccole domande, i desideri in piccoli desideri.

"Bisogna credere nella vita. La fiducia è possibile, il vero amore è possibile. Come si vede, i giovani lo cercano dappertutto! Ogni decisione, ogni impegno totale invece è messo in dubbio, mentre una decisione per l'esistenza, responsabile, è possibile. Sia nel matrimonio, sia nel celibato; e solo così si trova la pienezza, non vagando qua e là a provare in tutte le direzioni. Ho scritto una lettera ai giovani intitolata A chi vorrebbe seguire Cristo. Questa sete c'è, ma vedono intorno a loro tante separazioni, divisioni... un impegno per la vita sembra inaccessibile, senza neppure la protezione delle strutture della società. Oggi tocca partire dalla propria persona, molto di più di prima".

Cos'è l'autorità? A Taizé hanno trovato casa quelli che fecero la contestazione. Hanno deciso, grazie a un incontro, di sottomettere la loro libertà all'autorità dei fratelli, della preghiera.

"La parola autorità fa spesso difficoltà ai giovani. Una vera autorità è accettata solo se è vissuta come una relazione di fiducia. Gli ultimi anni di fratel Roger rendevano evidente che i giovani cercavano questo tipo di relazione. Era vecchio, sofferente, eppure stava seduto in fondo della Chiesa, e i ragazzi aspettavano ore, in processione, solo per passargli davanti, ricevere un segno di croce sulla fronte. Cercavano qualcuno che desse loro fiducia. C'è bisogno di ascolto. Spesso i giovani non trovano questo ascolto nella propria famiglia, con gli amici. Manca il tempo dell'ascolto. Ecco, giovedì 13 il Papa presiede la veglia, la celebrazione penitenziale in San Pietro. Anche lui si mette in ascolto. Questi momenti vanno moltiplicati".

Ma c'è anche il momento della correzione degli errori, troppo spesso "condivisi come se fossero le frontiere del progresso".

"Ci sono questioni in campo politico, etico, nella giustizia, su cui la Chiesa deve a volte pronunciarsi. Ma c'è un livello pastorale, e qui l'indicazione di un cammino dev'essere preceduta dalla comprensione, andare di pari passo con il ricordo dell'amore di Dio. Certo, è un amore esigente, non ti lascia sonnecchiare. Le indicazioni sono necessarie in ogni metodo educativo, ma bisogna fortificare nella persona il senso del bene e del male, che viene da Dio stesso".

La Chiesa oggi ha credito nella politica, nei mezzi di comunicazione, se parla genericamente di valori; solidarietà al posto di carità, pacifismo al posto di una pace nella giustizia e nella verità. Ci si dimentica di nominare Cristo. I giovani preferiscono la chiarezza?

"Lo sforzo di Taizé, come di tanti responsabili della Chiesa, è di insistere su una relazione personale con Dio, sorgente di tutto. Senza di lui non possiamo fare nulla. A partire dalla relazione con Dio ogni valore diventa comprensibile, sperimentabile:  la comunione, la condivisione. Nell'esperienza l'insegnamento può attecchire".

Vivete l'ecumenismo come segno distintivo della vostra vocazione, ma ecumenismo non significa porre tutte le opinioni sullo stesso piano:  solo a partire da un'identità chiara, si può dialogare.

"Alla fine dell'incontro europeo dei giovani a Ginevra, alla fine dello scorso dicembre, ho pubblicato un appello per la riconciliazione dei cristiani, attraverso uno scambio reciproco di doni tra le diverse confessioni. Scoprire, apprezzare, imparare - non solo a livello di teologi, ma di tutti i credenti - quali sono i doni degli uni e degli altri. Nella Chiesa d'Oriente c'è questo senso della liturgia che affascina, questa fedeltà alla tradizione, alla bellezza dei riti che a volte l'Occidente sta perdendo. I cristiani della Riforma hanno una grande attenzione alla Parola di Dio e al fatto che Dio offre il suo amore gratuitamente. Certo, bisogna rispondere a questo amore. La Chiesa cattolica ha mantenuto visibile l'universalità della comunione e senza sosta ha cercato un equilibrio fra la Chiesa locale e la Chiesa universale. Un ministero di comunione a tutti i livelli ha aiutato a mantenere unanimità nella fede. Riconoscere questi doni delle diverse confessioni cristiane non significa né incontrarsi su un minimo comune denominatore, né accontentarsi di stare bene insieme".

Lei riparte sabato per Taizé; c'è l'appuntamento della Pasqua, arriveranno tanti giovani ancora sulla collina in Borgogna.

"E ci sarà un fratello che assumerà il suo impegno per tutta la vita in comunità. Andiamo avanti, nel nostro lavoro di accoglienza e di educazione:  cioè trasmettere la fede, viverla con i giovani. Educare noi stessi e chi ci viene a cercare. L'educatore deve donarsi in prima persona. Altrimenti nessun insegnamento metterà mai radici".



(©L'Osservatore Romano 14 marzo 2008)
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