A colloquio con l'arcivescovo Lawrence Aloysius Burke, presidente della Conferenza episcopale delle Antille

Una Chiesa che si identifica
nella carità evangelica


di Nicola Gori

Carenza di vocazioni, minaccia alla vita familiare e necessità di un'adeguata formazione dei candidati al sacerdozio. Sono queste alcune delle sfide che deve affrontare la Chiesa nelle Antille. Monsignor Lawrence Aloysius Burke, arcivescovo di Kingston in Jamaica e presidente della Conferenza episcopale delle Antille, ne parla in questa intervista, anticipando in un certo senso quanto i presuli diranno al Papa in occasione della visita ad limina che stanno compiendo in questi giorni. Monsignor Lawrence Aloysius Burke offre un'incoraggiante immagine della spiritualità che anima i pastori di questa Chiesa. Tra pochi giorni lascerà il suo incarico. Sta vivendo un periodo certamente non facile a causa di una grave malattia, "ma - dice con una serenità impressionante - lo vivo come fosse il dono più prezioso che mai avrei potuto ricevere nella mia vita sacerdotale. Il Signore mi ha concesso di condividere nel corpo l'esperienza di quella sofferenza in virtù della quale egli ha vissuto sino in fondo la sua divina umanità. E come vescovo questa malattia mi rende ancor più consapevole che faccio parte di quell'umanità che il Signore ha voluto affidarmi. Ecco perché la considero un dono". Con la stessa serenità invita a iniziare il nostro colloquio.

Cosa vi aspettate dall'incontro con Benedetto XVI? Quali le attese e le aspettative dei vescovi delle Antille che presenterete durante la visita ad limina?

L'incontro con Benedetto XVI è per noi fonte di ispirazione e consolida la nostra unità con la Chiesa universale. Con lui e con i vari dicasteri vaticani condividiamo la realtà ecclesiale della nostra regione che è molto diversificata. Anche in seno alla nostra Conferenza ci sono molte differenze perché abbiamo territori anglofoni e di lingua olandese e tre dipartimenti francofoni. In molti dei nostri paesi i cattolici sono una minoranza. Ad esempio, in Giamaica costituiscono il 3 per cento della popolazione che per il resto è protestante. Nei paesi colonizzati dagli inglesi i cattolici sono una minoranza. Inoltre, la nostra Conferenza è internazionale. Abbiamo a che fare con diversi governi e perfino l'istruzione è diversa di luogo in luogo. Le nostre scuole cattoliche sono piuttosto diverse così come le questioni che affrontiamo, per non parlare di tutto il settore del sistema della giustizia. I governi anglofoni si basano sul sistema di Westminster che è differente da quello dei territori olandesi e francesi. Al Papa parleremo delle realtà della nostra regione e ci aspettiamo da lui di ricevere ispirazione e senso di unità.

Molti turisti ogni anno giungono nelle vostre isole. Vi è una pastorale specifica per loro?

Per quanto riguarda il turismo, esso è divenuto una parte importantissima dell'economia della nostra regione. In molte delle nostre isole è l'industria più fiorente. Mi riferisco alle Bahamas, alla Giamaica, ai Caraibi, alle Barbados e ad Antigua. Altri paesi come Trinidad e Tobago hanno meno turismo, ma hanno il petrolio e quindi la loro economia è un po' diversa. Il turismo è una parte integrante della nostra economia.

Oltre ad essere fonte di ricchezza e di scambio culturale, il turismo può essere anche veicolo di corruzione morale, di materialismo e di sfruttamento della dignità umana. Cosa fate per contrastare questo rischio?

L'aspetto positivo del turismo è che è molto basso lo sfruttamento sessuale, perché arrivano soprattutto famiglie o coppie. In Giamaica quello dello sfruttamento di esseri umani non è un problema molto sentito, ma dobbiamo fare attenzione. Il governo ha firmato accordi internazionali al fine di ridurre questo fenomeno e la Chiesa, ovviamente, è d'accordo. Per quanto riguarda il materialismo e la corruzione, dobbiamo ammettere che il nostro sistema di valori viene molto più influenzato dalla televisione, soprattutto statunitense ed europea, che dal turismo. Oltre al problema della povertà abbiamo quello della società consumistica. Le persone, sebbene povere, hanno accesso alla radio e alla televisione, tramite le quali apprendono che per essere accettati e per essere persone devono possedere sempre più cose. Sono povere, non hanno disponibilità economiche, non hanno capacità a causa della mancanza di istruzione e ciononostante viene detto loro che devono possedere tutte quelle cose. Questo porta a un aumento del crimine, del coinvolgimento nel narcotraffico, in particolare per ottenere denaro velocemente e acquistare beni di consumo. Spesso i mezzi di comunicazione sociale danno segnali contraddittori. Infatti, da una parte denunciano la corruzione e l'avidità, dall'altra cercano di vendere il proprio prodotto - giornale o trasmissione televisiva - e cadono nella stessa trappola che hanno criticato.

In quali modi la Chiesa locale è impegnata nella solidarietà verso i più poveri e i bisognosi?

Le Chiese locali sono molto impegnate nella solidarietà verso i poveri. Di fatto direi che in Giamaica la Chiesa cattolica è più conosciuta per il suo apostolato sociale che per essere una realtà di preghiera e spiritualità. Per quest'ultimo aspetto le persone si rivolgono principalmente alle comunità evangeliche. Sanno però che la Chiesa cattolica ospita poveri e malati che vengono allontananti dagli ospedali perché le loro famiglie li hanno abbandonati e non li riconoscono.
Ci stiamo anche occupando moltissimo dei bambini sieropositivi, malati di aids e orfani. Molti sono d'accordo sul fatto che se la Chiesa cattolica abbandonasse i suoi programmi sociali per i poveri, la comunità non potrebbe occuparsene. Siamo molto orgogliosi della nostra tradizione di sollecitudine verso i poveri.

Che ruolo svolge la vita consacrata all'interno delle comunità antillesi?

La vita consacrata nella nostra regione sta diminuendo. I consacrati gestiscono molte scuole, ma ora il loro numero è in calo e molti ordini religiosi hanno difficoltà a garantire questo impegno. Quindi, ora i Vescovi devono elaborare piani specifici per assicurare una buona presenza cattolica nelle scuole che prima venivano gestite da religiosi. D'altra parte, le donne che operano nell'apostolato parrocchiale svolgono un lavoro eccellente, facendo visita alle persone nelle case. Sono molto efficienti nel rendere presente la Chiesa in aree in cui in genere quest'ultima non sarebbe accettata.
Un altro problema è costituito dall'origine del nostro popolo. Esso discende da schiavi africani. Le vittime della tratta degli schiavi venivano seviziate:  le donne abusate e gli uomini privati completamente della loro identità maschile. Questa pesante eredità ha naturalmente lasciato tracce profonde nel costume della società oltrechè nell'anima del popolo. Ne derivano anche difficoltà nella situazione matrimoniale. Da una vita familiare del genere è insolito che nascano vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa. Si tratta di una delle sfide più ardue per la Chiesa locale perché la base della vocazione, ossia la famiglia, è molto, molto debole. Abbiamo anche molti istituti di istruzione perché riteniamo che istruire sia il modo principale per sollevare i poveri dalla loro condizione e dare loro l'opportunità di operare delle scelte di vita. Nella maggior parte della nostra regione la situazione dell'istruzione è insoddisfacente e fatichiamo molto per risolvere la situazione. Senza istruzione i poveri possono venire sottomessi e possono essere manipolati dai politici o da chiunque altro. L'istruzione dà loro un senso di libertà e offre l'opportunità di operare scelte. Molte scuole nella regione sono gestite dalla Chiesa cattolica. Abbiamo una grande tradizione in questo senso.

Quali iniziative ha preso la Chiesa locale per fare di queste isole delle comunità di discepoli missionari? Che ruolo hanno i laici?

Stiamo cercando di trasmettere ai laici un senso di missione e di evangelizzazione. Molti cattolici si impegnano sempre più nelle parrocchie, ma non riescono a fare proprio il ruolo dell'evangelizzatore che trasforma la società nei settori della politica, della giustizia, della legalità, della finanza. Devono ancora comprendere che il loro compito è di trasformare la società e di migliorare la qualità della vita del nostro popolo. Anche questa è una grande sfida che dobbiamo affrontare.
Ora stiamo conducendo un esperimento con giovani missionari nei Paesi della nostra Conferenza. Sta avendo successo, ma dobbiamo farlo su una scala più vasta. È molto interessante che in numerosi ambiti di apostolato, ad esempio in Giamaica, molti volontari provengono dagli Stati Uniti e dal Canada. Tuttavia, non riusciamo a convincere i giamaicani a lavorare nelle stesse strutture. Ecco un'altra sfida.

Come vi state preparando alla missione continentale indetta dalla V Conferenza generale di Aparecida?

Stiamo avviando un programma per la formazione e la catechesi degli adulti sempre per far considerare loro l'evangelizzazione come principale apostolato e per impegnarli come missionari. Parteciperemo ai vari incontri e ci incontreremo con la Conferenza sul tema della preparazione degli adulti all'attività missionaria. Le maggiori sfide che dobbiamo affrontare sono l'influsso degli evangelici, delle varie piccole Chiese e la mancanza di vocazioni. Inoltre dobbiamo rafforzare il nostro seminario regionale che è un luogo di riflessione teologica anche per i nostri laici. Tuttavia per carenza di sacerdoti non riusciamo a trovare persone adeguatemente formate per insegnare nel seminario.



(©L'Osservatore Romano 4 aprile 2008)
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