L'urbanistica come ecologia umana. A colloquio con Paolo Soleri

Il mio maestro di architettura? Johann Sebastian Bach

di Monica Mondo


Ha ottantanove anni questo torinese d'altri tempi che ha scelto l'America, per vivere e lavorare, che da sessanta anni non parla l'italiano, e ha mantenuto la cadenza della sua terra, custodita dalle sabbie dell'Arizona. Paolo Soleri è architetto, scrittore, scultore, urbanista. È stato a Roma per partecipare al convegno "Costruire bene per vivere meglio". Tutta la sua attività di progettista si basa sul concetto di "arcologia", cioè un'architettura che si faccia bastare risorse ed energia frugali, per un ambiente più umano e armonico. Nessuna via di fuga utopica verso un isolamento impossibile in una natura incontaminata. Non lo è neppure il piccolo sogno realizzato, il prototipo di città che ha chiamato Arcosanti, sede della sua fondazione, dove ha fatto crescere figlie e nipoti, e oggi ospita decine di studenti da ogni parte del mondo. La parola utopia, anzi, lo fa arrabbiare. "È un insulto, io cercavo, cerco di generare condizioni dove le persone possano essere produttive e operare una variazione sulla cultura che ci assorbe, un'alternativa al consumismo. Non è una città, è un laboratorio urbano, modesto, perché non abbiamo i mezzi necessari per svilupparlo in fretta".

Una specie di kibbutz occidentale?

Un modello indispensabile in Palestina, ma non da noi, che manchiamo della stessa formazione interiore.

Un rifugio dalla metropoli?

L'opposto. La vita è solo negli organismi urbani, che offrono il tanto nel poco, e quella mescolanza buona, perché vitale. Il modello urbano è il più antico e se la nostalgia per la vita semplice è giustificata, è ammirevole, non sviluppa l'evoluzione della scienza e della conoscenza; la tecnologia comincia con il big bang. Si può scappare, ma ci si mette in un angolo. Possono scappare i singoli (ma si chiama parassitismo), non possono esserci sei miliardi di "scappanti". Il movimento green che ha tanto successo in America ha sviluppato spesso da noi un ecologismo improponibile. Come tutti gli ismi ha una tendenza alla malinconia. Il cervello invece di inventare la grandezza si rifugia in ciò che è già provato e non lo riprova, non lo ricrea. Certo, ogni creazione genera qualche gocciola di sangue.

La sua proposta, realizzata col laboratorio di Arcosanti, può essere la risposta alla domanda di urbanizzazione che è diventata esplosiva in Africa, in Asia?

Non pretendo di fare il socioingegnere o il propugnatore di una bontà ed efficienza che nascano dalla sobrietà. Sto cercando di costruire un contenitore nuovo per le attività dell'uomo. Perché i contenitori che costruiamo adesso portano all'abbandono delle città, diventate una vera maledizione. Sono contenitori disaggreganti, inquinati, che distruggono la famiglia e la società. Siamo creature della cooperazione, della partecipazione, non possiamo separarci e raggiungere così la felicità, che è legata alla costruzione di relazioni.

Lei si è autofinanziato con attività artigianali, è l'obiettivo della sua scuola, perfino per costruire Arcosanti ha chiesto braccia e menti di volontari, dei suoi studenti. È bella questa rivalutazione dell'artigianato, così trascurato.

È ai margini dell'arte? Siamo venuti dall'artigianato, era il modo quotidiano di esprimere l'abilità dell'homo faber. Ci manca il rapporto tra homo faber e homo sapiens, tra creatività e sapienza, per la costruzione di un nuovo umanesimo. Siamo parte della realtà anche come co-creatori, particelle di idrogeno che diventano autocoscienza. Ma l'homo faber ha il suo contrappeso nell'homo rapacis e la deriva è inarrestabile. Come in uno tsunami l'oceano, per lo spostamento delle placche tettoniche, si alza piano piano, poi tracima, è la catastrofe.

E poi?

E poi qualcuno ricostruirà. L'importante è che ogni esperienza ci insegni, benché noi siamo creature dell'abitudine, interessate piuttosto a ripetere, più che a ricreare.

L'uomo può liberarsi dai lacci del materialismo e riconsiderare il miracolo della vita? La materia può essere spiritualizzata?


Attraverso la vita può essere trasformata, lentamente. Attraverso un quadro di Piero della Francesca o una fuga di Bach. Materia e spirito non sono due elementi separati. Quando la vita appare, nel susseguirsi delle leggi fisiche, è qualcosa di straordinario. Che stupore ogni passaggio dal meccanismo all'organismo, attraverso gli stessi elementi, ma con una diversa organizzazione.

Quali sono gli elementi fondamentali?

La volontà, l'intenzionalità e la re-ligiosità, cioè la capacità di tenere insieme il tutto.

Lei, cinquanta anni fa, ha proposto il primo esperimento al mondo di "città del sole", oggi cercano di attuarlo negli Emirati Arabi, con un investimento di quindici miliardi di dollari. Una città alimentata solo dal fotovoltaico, dall'eolico, dall'idrogeno.

Quando ho cominciato pensavo che il richiamo di Arcosanti fosse sufficiente ad attirare finanziamenti cospicui, ma non è mai accaduto. Il mio progetto del resto non era risolutivo, io non ho un background scientifico, tecnologico. Ho fatto dei tentativi, da pioniere, e i pionieri più che altro falliscono.

I pionieri aprono la via. Bisognerà studiare la sua riproposta della struttura absidale come spazio che abbraccia, raduna, le persone e la luce, il calore del sole. Anche i pionieri però hanno dei maestri. Quali per lei?

Bach? Il piacere che mi dona ascoltarlo non  ha limite. È un'altra forma d'arte, e l'architettura non è altro che produzione di forme.

È stato amico e allievo di Frank Lloyd Wright, esponente del Movimento "moderno" in architettura, pensavo nominasse lui.

Piuttosto sceglierei Brunelleschi, o comunque l'architettura mediterranea:  erede di quella  greca,  ma  capace  di distaccarsene, di ri-creare la forma. È anche il nostro compito.



(©L'Osservatore Romano 19 aprile 2008)
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