In «Sopravvivere coi lupi» la regista Véra Belmont
affronta con poesia il tema della Shoah, ma il libro al quale è ispirata la storia è un falso

Rifugiarsi nelle fiabe
per ritrovare l'infanzia perduta


di Luca Pellegrini

"La sua vita è stata più terribile di quella della bimba nel film ed è per questo che la Defonseca ha scritto questa storia sessant'anni dopo, mescolando finzione e realtà, più che altro per proteggersi". La regista dal cuore vero difende la scrittrice della storia falsa.
Ne nasce un complesso caso letterario e poi cinematografico. Inizia nel 1997 quando la belga Misha Defonseca - un nome acquisito perché quello autentico è Monique De Wael - riesce a pubblicare, dopo alcune vicissitudini legali, Sopravvivere coi lupi, quella che lei professa essere la sua autobiografia:  una bimba ebrea di sei anni, Misha appunto, nella Bruxelles occupata dai tedeschi è privata dei genitori deportati all'est. Inizia così una dolorosa ricerca attraversando a piedi l'Europa nazista con l'aiuto di una bussola che le indica dove si trova l'Ucraina e un branco di lupi che la protegge e la sfama, lei circondata da uomini che nella degenerazione della guerra poco hanno ormai conservato di umano. Toccante, esemplare, commovente. Successo mondiale e traduzione in diciotto Paesi. Véra Belmont, regista di origine ebrea, papà russo e mamma polacca deportati, vi si riconosce appieno e si rende conto che questo è un romanzo perfetto, anche se coglie da subito alcune inverosimiglianze, così come fanno gli storici che sottopongono al vaglio dei fatti tutta la narrazione. Ma è ciò che cercava da sempre:  poter raccontare in un film, ai giovani e alle famiglie, l'orrore dell'Olocausto percependolo soltanto a distanza, filtrato attraverso gli occhi di quella ragazzina abbandonata e affamata che sopravvive grazie a un'irriducibile speranza, ossia trovare i genitori e vivere l'infanzia che le è stata negata. Compera i diritti del libro, lavora alla sceneggiatura, chiede a un musicista importante come Émilie Simon di scrivere una colonna sonora particolarmente evocativa, gira in condizioni atmosferiche disagiate con l'aiuto, però, di una bambina formidabile che impersona Misha, Mathilde Goffart - mi ha fatto ricordare, dirà la regista, anche nei tratti, l'intensità di Liv Ullmann - piccola attrice alla sua prima esperienza. Il film esce con successo in Francia e in Belgio, ma nel febbraio scorso arriva, inaspettata, la confessione della scrittrice. Tutto è falso:  la sua vera identità, la sua confessione religiosa, i fatti narrati, l'odissea di Misha. Tutto è frutto della fantasia. "Chiedo perdono a tutti coloro che si sentono traditi... Questa storia è sì la mia, però non la vera realtà ma piuttosto la mia realtà, la mia maniera di sopravvivere" confessa la Defonseca.
Véra Belmont si sente tradita, come giustamente molti lettori e comunità che hanno veramente subito simili, enormi sofferenze. L'accanimento mediatico è intenso, soprattutto negli Stati Uniti ove la scrittrice vive dal 1988 e il film quasi rischia successivamente di naufragare, tanto che proprio in quel Paese non ha ancora distribuzione. Ma l'arte rimedia e sana le ferite e l'intensità della storia è tale che la pellicola sta ora acquisendo fortunatamente una vita propria, separandosi cioè da quella del libro e suscitando un reale interesse da parte del pubblico, specialmente dei ragazzi che sono i suoi primi destinatari. Véra Belmont, poi, ha un cuore grande, come si diceva, e tenta una difesa della scrittrice.
"Credo che la sua esperienza da bambina sia stata anche più brutta di quella raccontata nel film:  suo padre, cattolico, fu rapito e torturato dalla Gestapo perché faceva parte della Resistenza belga e successivamente accusato di aver fatto importanti rivelazioni sotto tortura. Aveva quattro anni. Raccontare storie di fantasia distrae dai propri incubi, aiuta a vivere meglio".

Potrebbe essere una difesa d'ufficio per salvare l'avvenire, la sopravvivenza del suo film. Ma ormai, deprecato da molti il fraudolento comportamento della scrittrice, se i fatti narrati siano veri o falsi assume quasi un'importanza, si potrebbe dire, relativa. Il film, infatti, è girato con autentica passione, mosso da motivazioni sincere.

Penso che proprio questo sia l'atteggiamento intelligente da mantenere. Il fatto è che questa storia, appena l'ho letta, ha suscitato in me un fascino potente e particolare, anche se non ne so esattamente i motivi. Credo che sia perché la sofferenza e la paura di Misha hanno molto a che fare con la mia infanzia. Mano a mano che procedevo nella lettura, con questa bambina e gli animali che insieme cercano di sopravvivere in un mondo crudele, mi convincevo che questa era la storia che avrei voluto raccontare ai ragazzi di oggi, un episodio nell'orrore dell'Olocausto adatto a un pubblico giovane. Schindler's list non era adatto a loro. Mi sono, però, ricordata della Vita è bella di Roberto Benigni, anche quello un film simile a una fiaba. Per questo non ho mai creduto che la storia di questa scrittrice fosse vera al cento per cento:  quando scrivi un romanzo entra la tua immaginazione, quando giri un film ancora di più. Purtroppo all'uscita di Vivere coi lupi tutti si sono interessati a tutto, tranne che al film e ai suoi contenuti. Devo dire che molti giornalisti sono un po' superficiali.

Con questo suo film, che cosa possono capire i bambini della terribile realtà dell'Olocausto?

Si possono porre prima di tutto delle domande. Io comincio a dare delle risposte. La prima domanda è:  perché gli ebrei sono stati perseguitati? Non è facile spiegarlo. Ci vuole del tempo. Comprendono dei pezzettini di questa storia, non la sua interezza. Ma poi, domandano ai loro insegnanti:  che cosa è davvero successo? E pian piano si spalanca loro davanti la tragica verità.

Questa è una fiaba e un racconto morale:  ci insegna che talvolta gli uomini possono diventare dei lupi e i lupi, invece, comportarsi con un istinto che assomiglia a quello dell'uomo. Accade alla piccola Misha:  il lupo bianco le fa compagnia, condivide il cibo, la scalda, la fa giocare con i suoi cuccioli, la protegge.

Nell'epoca del nazismo e del fascismo e in Francia durante il regime di Pétain, penso che gli uomini siano diventati peggio dei lupi, peggio degli animali. Attraverso la fiaba ho cercato di raccontare come, in quell'orribile periodo, i lupi - ed è l'elemento poetico del film - si siano comportati con i piccoli in modo assai meno aggressivo e più gentile degli uomini. Uccidono sì anche loro, ma soltanto per procurarsi il cibo. L'uomo, invece, perché uccide i suoi simili? Per quali ragioni? Che cosa avevano fatto gli ebrei per essere massacrati in quel modo? Con il mio film ho voluto sollevare queste domande ai bambini per farli riflettere. E per assicurarli anche del fatto che gli uomini possono diventare migliori di quello che sono quando si allontanano e rifiutano la violenza e l'orrore. Ne sono convinta.

La nostra società è continuamente sottoposta a tensioni imprevedibili che talvolta sfociano in intollerabili soprusi, soprattutto perpetrati nei confronti dei più piccoli, dei più poveri e più deboli. Che cosa teme di più per il nostro futuro?

Se non facciamo attenzione ad aiutare subito i poveri del mondo - e il mio non vuole essere assolutamente un discorso rivoluzionario - cercando di sanare le ingiustizie e colmare il baratro tra chi detiene fortune colossali è chi non ha assolutamente nulla, se non impariamo a condividere sul serio i beni della terra, i beni essenziali, ne risentiremo tutti mortalmente, perché non sono più tollerabili queste differenze. Sa che cosa mi disgusta più di tutto? L'egoismo. Non lo capisco, non lo tollero.

François Truffaut:  nominandolo, ancora si emoziona. Perché?

Ho cominciato a fare cinema con lui. François amava molto i bambini e mi disse:  vedrai, un giorno farai un film con i bambini e per i bambini. Ecco, è successo proprio così. Amava le cose semplici e vere. La sua natura era quotidiana, piena di poesia. Spero di avere imparato tutto questo da lui.

Ha detto:  un film o è noioso o è interessante. Quando è l'uno e quando l'altro?

Un grande produttore francese mi disse:  se un giorno ti occuperai di cinema dovrai avere tre massime. La prima:  che cosa racconti in un film. La seconda:  come lo racconti. E la terza:  a chi lo racconti. Se ci sono tutte e tre queste cose, un film non è mai noioso. Quanti film sono noiosi! Quante volte ti domandi:  perché sprecare delle energie e del tempo per raccontare tali stupidità?

Ha detto ancora:  mi piacciono le cose fantastiche. Quali sono i mondi nei quali si rifugia?

Come tutti i bambini che non hanno avuto una vera infanzia, mi rifugio nelle fiabe, nei mondi fantastici dove le persone sono davvero gentili, simpatiche, hanno rapporti fraterni tra loro. Mi rifugio nei buoni sentimenti. È la mia poesia. Sono così rari, i buoni sentimenti, in un'epoca cinica come la nostra.

Il prossimo film, ancora una fiaba moderna?

Sì, le avventure di una Cenerentola ecologica. Canta, danza e deve proteggere la foresta. Gli alberi le parlano, hanno paura perché li tagliano, li decapitano e le chiedono per questo di intervenire, di salvarli. Un mondo completamente fantastico, certo, ma per ricordarci che la natura ci sta davvero chiedendo aiuto.



(©L'Osservatore Romano 30 aprile 2008)
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