Intervista a monsignor Juan García Rodríguez, arcivescovo di Camagüey, presidente dei vescovi di Cuba

Una Chiesa che vuole essere
comunità accogliente per tutti


di Nicola Gori

Una presenza più incisiva nei mezzi di comunicazione sociale, un'azione di sostegno spirituale rivolta soprattutto ai detenuti, una mobilitazione di energie e di risorse per la costruzione di nuove chiese:  sono alcune delle priorità pastorali che attendono i vescovi di Cuba in questi prossimi mesi. Ne parla in questa intervista a "L'Osservatore Romano" monsignor Juan García Rodríguez, arcivescovo di Camagüey e presidente della Conferenza episcopale cubana, in questi giorni in visita ad limina Apostolorum. Ricordando la recente visita compiuta dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, dal 21 al 26 febbraio, il presule ribadisce che la Chiesa a Cuba vuole essere "madre" accogliente per tutti, in particolare per i poveri, i malati, i bisognosi.

Quali sono attualmente le priorità della Chiesa cubana?

Le priorità della Chiesa cubana sono quelle inserite nel suo piano globale di pastorale per gli anni dal 2006 al 2012. Tra queste vorrei segnalare:  promuovere una spiritualità basata nell'incontro con Gesù Cristo, che illumini la vita in tutte le sue dimensioni e generi uno stile di condotta impegnato, portatore di speranza e coerente con la nostra identità cristiana; formare - in modo particolare tra i giovani e nelle famiglie - un laicato cosciente della propria vocazione e della missione nella vita della Chiesa e nel mondo, che partecipi all'edificazione della realtà ecclesiale e sociale; e, infine, irrobustire lo spirito missionario nelle persone e nelle comunità per annunciare Gesù Cristo e impegnarsi nella costruzione del suo regno con rinnovato ardore, creatività e audacia.

Cosa direte a Benedetto XVI nel corso della visita ad limina?

Discuteremo di come, nonostante tanti anni di silenzio su Dio, a Cuba vi sia una sete religiosa crescente e una sempre maggiore devozione, in particolare alla Vergine della carità, patrona del Paese. Parleremo dei nostri bambini, che ora evangelizzano i loro genitori e i loro nonni facendoli partecipare a momenti di preghiera, di catechesi e di incontro religioso, nei quali i piccoli sono protagonisti. Riferiremo al Papa anche del piccolo gruppo di giovani e di adolescenti che vivono i comandamenti e le beatitudini nonostante gli scherni e l'emarginazione. Manifesteremo il nostro sano orgoglio per le persone rimaste fedeli a Cristo e alla sua Chiesa durante tanti anni di critica verso di loro. E gli ricorderemo come questi fedeli, con la loro testimonianza di vita e di parola, hanno fatto da ponte per molti altri che si erano allontanati negando Cristo e che oggi invece si avvicinano a Lui. Entrambi i gruppi accolgono con gioia coloro che, non avendo mai fatto esperienza di Cristo, desiderano avere una maggiore conoscenza della fede. Comunicheremo al Papa le gioie e le pene dei pastori e del gregge.

Qual è l'eredità che la visita del cardinale segretario di Stato ha lasciato alla Chiesa cubana?

Il cardinale Bertone ci ha lasciato, tra l'altro, una serie di impegni. Vorrei ricordare, in particolare, la sollecitudine per la costruzione di nuove chiese laddove non ci sono; la ricerca di un accesso regolare e adeguato ai mezzi di comunicazione sociale; lo sforzo di ottenere maggiori facilità per seguire spiritualmente i detenuti secondo quanto stabilito nella legislazione nazionale e internazionale.

Una delle priorità rilevate durante la visita del cardinale è stata proprio la carente assistenza spirituale ai detenuti. Avete un piano di sostegno in questo ambito?

La Chiesa, da quando è stata permessa la visita alle carceri alla fine degli anni Ottanta, ha creato una pastorale penitenziaria. Vi sono vescovi, sacerdoti, diaconi, religiose e laici disposti a visitare i detenuti appena verranno consentite in maniera frequente e sistematica le visite alle carceri. La Chiesa spera - già lo ha chiesto tempo fa - di celebrare comunitariamente nelle prigioni il Natale, la Settimana Santa, la novena della Vergine della carità e altri riti religiosi propri del luogo. Sta funzionando anche molto bene l'attività di carità, sostegno e appoggio alle famiglie dei carcerati.

Su quali elementi potete confermare che la Chiesa cubana è una comunità viva, dinamica e aperta a tutti?

La Chiesa cubana è un piccolo e fragile gregge. Allo stesso tempo, è fedele, disponibile, servizievole, gioioso, felice di vivere la sua fede e di proclamarla. Come un piccolo gregge si annuncia la Parola, si celebra l'Eucaristia, si catechizza, si servono i poveri, i malati, gli afflitti, i bisognosi. Nelle nostre chiese si trovano cattolici e potenziali cattolici, persone di religiosità popolare e di credenza sincretista, come anche di diverso pensiero politico. La Chiesa li accoglie come una madre e li guida nel cammino verso Gesù Cristo, principe della pace e maestro della verità.

In che misura la vostra Chiesa ha bisogno del sostegno di sacerdoti e religiosi provenienti da altri paesi?

Per undici milioni di abitanti vi sono a Cuba circa trecentoquaranta sacerdoti, seicento religiose e sessantaquattro diaconi. Il numero di persone per sacerdote supera le trentaduemila unità. È evidente che la messe è molta e gli operai sono pochi. D'altra parte, la sete di Dio cresce ogni volta di più. Non ricordiamo mai abbastanza la necessità di missionari che abbiamo. Chiediamo agli operatori di pastorale che ascoltino la chiamata di Dio, il quale vuole salvare il popolo cubano, e la richiesta della immensa moltitudine che grida:  "Venite e aiutateci".

Nella realtà cubana, cosa rappresenta la parrocchia?

La parrocchia è un territorio dove c'è una comunità di credenti cattolici che annunciano quello che vivono, celebrano quello che credono, vivono la carità tra di loro e tra quelli che li circondano, sono luce e sale, coraggio e consolazione per quanti soffrono. La parrocchia si è convertita in comunità di comunità. Intorno alla grande comunità sono andate formandosi delle piccole comunità che si riuniscono in casa per essere Chiesa. Queste case sono numerose in alcune parrocchie. In occasione di diverse feste, tutte queste comunità si uniscono per le grandi celebrazioni nella parrocchia, che è la comunità madre. Rendiamo grazie a Dio per le famiglie che hanno aperto con tanta generosità le porte delle loro case, affinché la comunità cristiana si riunisca e celebri la sua fede.



(©L'Osservatore Romano 1 maggio 2008)
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