Il presidente della Conferenza episcopale di Albania parla dell'impegno della Chiesa per aiutare coloro che lasciano il Paese

Non criminalizzare un popolo
ma restituirgli speranza


di Nicola Gori

In una società che rischia di diventare sempre più "anonima", nella quale il consumismo sta lacerando i valori familiari che ne costituiscono il tessuto fondamentale, il Vangelo ha una parola di verità e di speranza da offrire a tutti i cittadini dell'Albania. È quanto afferma monsignor Rrok Kolë Mirdita, arcivescovo di Tiranë-Durrës e presidente della Conferenza episcopale albanese, nell'intervista rilasciata al nostro giornale alla vigilia della visita "ad limina Apostolorum".

La vera sfida che la Chiesa in Albania deve affrontare è di tipo eminentemente sociale. Il popolo a fatica riesce a riconquistare una sua identità precisa e si deve confrontare con problematiche che spesso lo allontanano dalla dimensione religiosa. Quali risposte si possono dare a questa problematica?

Sono d'accordo:  la sfida più seria che la Chiesa in Albania sta affrontando è di tipo sociale. È una sfida che si può analizzare nei diversi problemi di natura sociale. Il Paese, che meno di venti anni fa era ermeticamente chiuso a ogni contatto con il resto del mondo, tutto a un tratto si è accorto di far parte di un Continente che viveva in una prosperità inimmaginabile per gli albanesi. E non ci meravigliamo se la prima cosa che l'Albania ha appreso dal suo contatto con l'occidente è stato il consumismo, che, nelle parole di Francis Fukuyama, si è mostrato più potente del Manifesto comunista. Ma questo "vangelo del consumismo" ha aperto le strade ad altri problemi imprevedibili. Molti albanesi durante questi ultimi quindici anni si sono arricchiti, ma molti poveri sono diventati più poveri. Altrettanto serie sono le ripercussioni sulla vita familiare:  "evangelizzata" dalla cultura consumista, la famiglia albanese sta perdendo quella unità che le era caratteristica, insieme alla sua peculiarità di focolare di amore, di apertura e di ospitalità verso i più bisognosi. In altre parole, la società albanese sta rischiando di diventare sempre più anonima.
Il cristianesimo ha un messaggio particolarmente importante per questa situazione. L'uomo trova se stesso mentre incontra l'altro. Nessun cristiano ha il diritto di dire, come Caino:  "non mi interessa dell'altro". La famiglia cristiana è ben consapevole che fa parte di una famiglia più grande. Poi anche l'escatologia cristiana ha una grande rilevanza per un Paese come il nostro. Il cristiano sa che è cittadino di quella patria dove "non ci sarà più morte né lutto né pianto né dolore". Ma, allo stesso tempo, è ben consapevole del suo dovere di impegnarsi per una società più giusta, più fraterna, più pacifica. Questi valori, che sono i valori della città secolare, sono, in realtà, profondamente e tipicamente cristiani. Sono i valori che possono creare un'Albania migliore.

La prima conseguenza di questo stato di cose si ripercuote sulle nuove generazioni. I giovani sono costretti a cercare nuove speranze di vita in altri Paesi, ma spesso restano vittime di persone senza scrupoli e cadono nella rete della prostituzione o diventano manovalanza della criminalità organizzata. Come può aiutarli la Chiesa?

Purtroppo, il sogno di tanti giovani albanesi è proprio quello di partire per l'estero. Questo brutto sogno è una conseguenza del consumismo. Difatti, molti giovani vengono a conoscenza del "nuovo mondo", attraverso canali culturali e mediatici come la televisione. Sono abbagliati dai supermercati, dai night club, dall'uomo che produce e consuma, che si diverte. Insomma, un mondo da invidiare, un paradiso terrestre. Quando, poi, si trovano all'estero, si accorgono che non è così semplice, che spesso devono lottare e sono costretti a fare tutto quello che è possibile per sopravvivere.
Come Chiesa, noi li stiamo aiutando in diversi modi. Prima di tutto, insegnando loro ad amare la propria patria, per essere artefici di un'Albania migliore. Questo dovrebbe essere il loro ideale. Il messaggio di Benedetto xvi nella sua enciclica Spe salvi mi sembra di particolare significato per i giovani albanesi. Molti di loro hanno perduto l'autostima, che può dare senso alla loro vita. Siamo impegnati a predicare il Vangelo della speranza. Non è la speranza utopista che crea un ottimismo ingenuo, ma la speranza che è nata sul Calvario.
D'altra parte, come ha detto il Papa nell'enciclica Deus caritas est, la Chiesa non può sostituire il governo, né assumere i doveri del governo!

L'ondata di intolleranza contro gli albanesi suscitata nei Paesi di immigrazione dai comportamenti delinquenziali di alcuni ha provocato un flusso di ritorno in patria. Con quali conseguenze?

Tra le centinaia di migliaia di albanesi che sono andati all'estero ci sono molti che disperatamente cercavano a ogni costo di arricchirsi nel più breve tempo possibile. Questo ha dato loro l'occasione per farsi strada con ogni mezzo possibile, lecito o illecito, anche, per esempio, vendendo il proprio corpo, come nel caso delle prostitute. Però siamo molto rammaricati e dispiaciuti, ogni volta che si generalizza, giudicando ogni albanese come delinquente o prostituta. Niente può ferirci di più.
Per mezzo della Caritas Albania, la Chiesa aiuta molti albanesi che ritornano nella loro patria a reinserirsi in modo dignitoso nel loro ambiente. In modo particolare, aiuta le ragazze costrette a prostituirsi all'estero:  queste trovano grandissime difficoltà al rimpatrio, perché molto spesso neanche le loro famiglie di origine sono disposte ad accoglierle. Questo impegno svolto da alcune suore e dal personale della Caritas è molto delicato e talvolta anche molto rischioso.

Come può la Chiesa contribuire alla creazione di una società in grado di provvedere allo sviluppo del suo popolo?

La nostra religione è una festa:  è la festa dell'uomo. Proclamando Gesù, noi proclamiamo la dignità insostituibile dell'uomo, di ogni uomo. Il mistero del Verbo incarnato ci assicura che in ogni uomo c'è l'immagine di Colui che è diventato come noi. E Gesù continua a ricordarci che è presente nell'affamato e nell'assetato, nel nudo e nel malato. Benedetto xvi ci ha ricordato, nella Deus caritas est, che l'opera caritativa della Chiesa non è una semplice appendice al suo ministero, ma appartiene essenzialmente alla sua natura come Chiesa che serve. Questa opera caritativa non si limita a dare il pane a chi è affamato, ma vuole anche insegnare all'individuo come adoperare bene i talenti datigli dal Signore.

Quali sono i settori che impegnano di più la vostra attività pastorale?

Naturalmente quello dell'evangelizzazione. Bisogna ricordare che abbiamo cominciato da zero. Il comunismo in Albania aveva messo Dio e la religione in una tomba. Solo dalla fine del 1990 è diventato possibile parlare di nuovo liberamente di Dio. Grazie agli sforzi di tanti missionari e del clero locale, oggi abbiamo la consolazione di aver formato tanti laici e laiche come catechisti. Ma l'evangelizzazione rimane l'impegno principale della Chiesa, specialmente per il fatto che molte sette hanno messo piede nel Paese, approfittando dell'ignoranza religiosa del nostro popolo dopo quasi mezzo secolo di comunismo ateo.

Come procede il dialogo con i musulmani?

L'Albania può andare fiera del fatto che i rapporti interreligiosi sono ottimi al suo interno. Come sottolineò Giovanni Paolo ii, l'Albania offre un esempio a tantissimi Paesi per i buoni rapporti tra le diverse religioni. I musulmani vengono da noi per gli auguri del santo Natale e della Pasqua. Da parte nostra, andiamo da loro, per ricambiare gli auguri in occasione delle loro principali feste. Pochi mesi fa è stato costituito il Consiglio albanese interreligioso, che ha come scopo non la semplice tolleranza - che non è stata mai un problema in Albania - ma anche quello di trovare nuovi campi per una collaborazione.

La beata Madre Teresa è un vanto della vostra terra. Che traccia hanno lasciato sul vostro popolo la sua figura e la sua opera?

Non c'è albanese che non si senta orgoglioso di Madre Teresa! La sua beatificazione è stata occasione per molte celebrazioni in Albania, non solo da parte della Chiesa, ma anche da parte dello Stato e di tante organizzazioni non religiose. Il suo contributo principale alla società albanese, secondo il mio parere, è triplice:  la scoperta della dignità insostituibile di ogni uomo, indipendentemente dalla suo nazionalità, religione, colore della pelle, o classe sociale; la sacralità della vita, fin dal primo momento del concepimento:  un messaggio importante per una società che giustifica l'aborto anzi talvolta lo incoraggia; infine, la dignità della donna.

Quale contributo offrono alla Chiesa locale i religiosi e le religiose all'evangelizzazione e alla promozione umana?

I principali artefici dell'opera di evangelizzazione in Albania sono appunto i religiosi e le religiose, che fanno largo uso di nuovi testi come pure di mezzi audiovisivi. Per quanto riguarda la promozione umana, contribuiscono in vari modi. Prima di tutto nel campo educativo. L'educazione per l'Albania è la priorità delle priorità. Molte scuole, di ottimo livello, sono gestite dai religiosi e dalle religiose. Abbiamo anche un'università gestita dai Concezionisti. Poi, nel campo sanitario, molte suore sono impegnate con ambulatori e cliniche. È da menzionare anche l'emancipazione della donna. La presenza e la missione delle suore ha contribuito molto in questo campo. E la Caritas nazionale e le Caritas diocesani lavorano in diversi modi per la promozione umana in Albania.



(©L'Osservatore Romano 22 maggio 2008)
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