Intervista ai vescovi della Conferenza episcopale
della Malaysia, Singapore e Brunei in visita "ad limina Apostolorum"

Dimensione interreligiosa
di una Chiesa in missione

di Nicola Gori

Minoranze cattoliche che divengono laboratori di dialogo e di convivenza con l'Islam e con culture diverse. Sono le Chiese presenti in Malaysia, in Singapore e nel Brunei, che nonostante le difficoltà e le sfide cercano di annunciare e testimoniare il Vangelo in una società multiculturale, dove l'immigrazione è un fenomeno non indifferente. Abbiamo chiesto all'arcivescovo Murphy Nicholas Xavier Pakiam, arcivescovo di Kuala Lumpur e presidente della Conferenza episcopale della Malaysia, Singapore e Brunei, a monsignor Nicholas Chia Yeck Joo, arcivescovo di Singapore, e al vescovo Cornelius Sim, vicario apostolico del Brunei, di tracciare un quadro della situazione.

Nella parte orientale della Malaysia la Chiesa sta crescendo rapidamente. Quali le speranze per il futuro?

Fra i nativi della Malaysia si usa un saluto che significa "sei figlio del suolo". I nativi, quindi, sono "figli del suolo" e anche io lo sono. Come i cinesi siamo un popolo di emigranti. Nel paese i nativi, i "figli del suolo", godono di privilegi. Nella parte orientale del Paese essi sono per lo più di religione cristiana e molti sono cattolici. Al momento, abbiamo soltanto due vescovi nativi, quindi "figli del suolo". Devo ammettere che la percentuale di popolazione che si converte al cattolicesimo è molto alto. Esistono settemila famiglie cristiane e quindi la nostra è una Chiesa in crescita e una comunità attivamente impegnata.

La parte occidentale della Malaysia è a grande maggioranza musulmana. Quali progetti avete per evangelizzare questa regione?

Dopo le ultime elezioni nutriamo molte speranze. Cinque Stati su tredici sono andati ai partiti di opposizione e la maggioranza che finora controllava il Parlamento è stata ridotta. Si è compreso che non sono stati rispettati i diritti legittimi degli altri e questi risultati elettorali fanno nutrire speranze di cambiamento.

Il problema dei matrimoni misti in un Paese islamico pone dei problemi. Come affronta la Chiesa questa sfida?

Si celebrano da noi molti matrimoni misti (il 70%) soprattutto fra indù e indiani cattolici, ma anche fra cinesi cattolici e cinesi buddisti. Spesso, dopo anni di matrimonio, molti divengono cattolici. Nella nostra arcidiocesi di Kuala Lumpur celebriamo seicento battesimi all'anno e di questi cinquecento nascono dalla presenza in famiglia di un genitore cattolico.

L'immigrazione filippina e indonesiana in Malaysia sollecita un'adeguata pastorale. Quali iniziative promuovete a questo proposito?

Incoraggiamo ogni parrocchia a dare ospitalità ai lavoratori immigrati. I nuovi arrivati cattolici vengono considerati membri a tutti gli effetti della Chiesa e della comunità parrocchiale. Questo lo consideriamo il modo migliore per annunciare il Vangelo. I cattolici sono molto praticanti. L'80% di loro si reca in chiesa ogni domenica almeno per una visita. È alta la percentuale di quelli che partecipano poi alla messa. Nonostante la Chiesa cattolica sia una minoranza, essa si sta diffondendo nel Paese grazie alle sue istituzioni scolastiche e alle opere a favore dei più poveri e dei più bisognosi. Ogni anno scelgono il battesimo tremila adulti.

La Chiesa in Singapore è una minoranza, ma molto attiva. Quali iniziative pastorali state promuovendo per favorire l'evangelizzazione?

Singapore è un piccolo stato circondato da paesi a maggioranza musulmana. Il governo di Singapore è molto attento all'amicizia fra le varie religioni. Vengono promossi degli incontri fra rappresentanti di varie religioni, compreso l'Islam. Per eventuali problemi abbiamo un organismo interreligioso, il consiglio presidenziale per l'armonia religiosa. Singapore è uno stato ricco. Per questo vi sono molti immigrati provenienti da tutta l'Asia, soprattutto dalle Filippine.

In Singapore convivono in pace due grandi culture:  l'indiana e la cinese. Questa convivenza è un modello esportabile anche in altri paesi asiatici?

In generale c'è molto rispetto reciproco e conduciamo una vita pacifica. Gli indiani hanno la loro cultura anche se, a volte, sono influenzati dalla cultura occidentale.

Nel Brunei i cattolici sono un piccola minoranza in un Paese a larghissima maggioranza musulmana. Quali sono i rapporti con l'Islam?

In Brunei i cattolici sono una minoranza, ma abbiamo un buon rapporto con le autorità. Quando, nel 2006, l'allora arcivescovo Giovanni Lajolo, Segretario per i Rapporti con gli Stati, venne in visita privata, fu ricevuto dal ministro degli esteri con tutti gli onori diplomatici. Fu un gesto cordiale da parte del Governo verso la Chiesa. Il Paese è pacifico. I rapporti con i musulmani sono normali perché conviviamo da molte generazioni. Dopo l'11 settembre i musulmani hanno tutto l'interesse ad accrescere tale armonia e il nostro Paese è molto attivo nel dialogo interreligioso. La Chiesa cattolica promuove questo dialogo. Pensiamo che ciò contribuisca a incrementare l'armonia. A livello quotidiano, cristiani, musulmani, buddisti e indù vivono amichevolmente.

In Brunei vi sono circa 15.000 lavoratori immigrati cattolici. Avete una pastorale a loro dedicata?

La stragrande maggioranza degli immigrati è filippina. Altri vengono dall'Indonesia, dall'Europa e dall'America. L'ex ambasciatore americano era cattolico. Offriamo molte opportunità agli immigrati di impegnarsi nella Chiesa. Molti di loro sono attivi nella liturgia, molti nei ministeri di preghiera. Organizzano gruppi di preghiera nella propria lingua e possono utilizzare le strutture parrocchiali. Inoltre li aiutiamo economicamente in caso di debiti, temporanea disoccupazione e spese per le esequie dei loro cari. Naturalmente offriamo anche un supporto spirituale. La fede degli immigrati può vacillare per la loro situazione difficile. Noi cerchiamo di sostenerla.



(©L'Osservatore Romano 6 giugno 2008)
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