A colloquio con il presidente della Conferenza episcopale monsignor Antonio Arregui Yarza

La Chiesa in Ecuador
a difesa della vita e della famiglia


di Nicola Gori

L'approvazione, il 28 settembre scorso, della nuova costituzione dell'Ecuador ha cambiato gli equilibri del Paese latino-americano. I timori espressi dall'episcopato locale alla vigilia del voto sembrano essere stati ridimensionati dalle rassicurazioni del presidente e del governo. Ne abbiamo parlato in un'intervista per il nostro giornale, con l'arcivescovo Antonio Arregui Yarza, presidente della Conferenza episcopale dell'Ecuador.

La recente approvazione della nuova Costituzione voluta dal presidente Correa comporta cambiamenti sostanziali nella vita del Paese, soprattutto dal punto di vista pastorale?

La presidenza e il governo hanno ribadito che la nuova costituzione non apre la via all'aborto, che non altera neppure la natura della famiglia e che l'insegnamento privato non ha nulla da temere. Hanno detto che le preoccupazioni da noi espresse alla vigilia del voto, erano dovute ad una lettura tendenziosa. Ne prendiamo atto e dunque riteniamo che, sulla base delle affermazioni del governo, i principi enunciati, almeno per la maggior parte, ci appaiono pienamente accettabili. È chiaro però che quanto affermato si deve tradurre poi effettivamente nell'attività pratica del governo.

Perché, secondo le autorità civili ecuadoriane, la lettura della bozza della nuova costituzione, era stata interpretata in maniera "tendenziosa"?

Il riferimento è ad una nostra dichiarazione dello scorso 28 luglio. Come Conferenza episcopale avevamo diffuso un comunicato nel quale venivano esaminati, dal punto di vista della dottrina sociale della Chiesa e della morale cristiana, i testi della costituzione proposta all'elettorato. In quell'occasione avevamo sottolineato il fatto che, sebbene la nuova costituzione contenesse alcuni aspetti positivi - come ad esempio la dichiarazione della centralità della persona e il riconoscimento di determinati settori, diciamo depressi -, vi erano tuttavia stabiliti dei principi che riflettono un pensiero statalista, per cui si ritiene che all'origine dei diritti vi sia lo stato e non la persona e la famiglia. In particolare, ci sembrava che si lasciasse una porta aperta alla legalizzazione dell'aborto. Non compare infatti una chiara formulazione sul diritto alla vita fin dal concepimento; si limita a parlare in modo generico di diritto alla cura, di tutela, che, come si è visto di recente in altri Paesi dell'America Latina, non è una salvaguardia sufficiente a tutelare la vita del nascituro. Indicammo anche l'inopportunità di equiparare alla famiglia l'unione fra omosessuali, poiché dopo un determinato periodo un'unione di fatto fra omosessuali finirebbe per essere equiparata dalla legge, in quanto a diritti e a doveri, a quella che nasce dalla famiglia fondata sul matrimonio. Inoltre indicammo la specificità del diritto della famiglia a educare i figli secondo le proprie convinzioni e quello della libertà d'insegnamento.
Tra gli articoli approvati e dunque già applicabili, ve ne sono alcuni che potrebbero influire negativamente sulla missione della Chiesa. Per esempio è stato ignorato il diritto a essere sovvenzionati per i centri d'istruzione gestiti dalla Chiesa, in gran parte frequentati da giovani di famiglie povere, che pagano rette bassissime.

L'Ecuador è stato spesso teatro di gravi calamità naturali e si è trovato al centro oggetto di una vera e propria gara di solidarietà internazionale. Finita l'emergenza però il Paese ha dovuto affrontare l'opera di ricostruzione. Qual è il ruolo della Chiesa in queste situazioni?

Effettivamente il nostro Paese è spesso colpito da fenomeni naturali che si ripetono con una periodicità drammatica. E causano gravi sofferenze per molti abitanti. Negli ultimi tempi vi sono state diverse eruzioni del vulcano Tungurahua, per esempio, che hanno colpito tutta la zona circostante, e poi, lo scorso inverno, fra febbraio e aprile, lungo la costa vi sono state inondazioni. Certamente, in questi casi l'aiuto internazionale è molto importante e viene solitamente sostenuto con efficacia da tutti gli organismi della Caritas delle nostre diocesi. L'azione però prosegue, poiché la ripresa per le persone colpite è lenta. È qui che la Chiesa mette in campo la sua opera di accompagnamento perseverante per sostenere la gente e riuscire a cancellare, per quanto possibile, i segni materiali e morali lasciati dalle catastrofi.

Il fattore economico quanto influisce sulla proliferazione delle sette?

Non c'è esattamente collegato. Le sette proliferano piuttosto grazie alla pressione della loro propaganda, che è molto attiva, molto penetrante, e anche per i vuoti di formazione religiosa e di esperienza religiosa vissuta, poiché le sette propongono un impegno vivo, che certamente è più intenso che profondo, più d'impatto che di perseveranza. In un certo senso, aderire ad una setta può risultare vantaggioso in quanto offre un sostegno economico. In particolare, ad esempio, i mormoni offrono agli indigeni punti di vendita negli Stati Uniti d'America:  l'artigianato indigeno in yucca si vende molto bene. Sono inoltre proclivi a fare un proselitismo basato su benefici economici; non tutti, ma alcuni sì.
Fondamentalmente la situazione di povertà dell'Ecuador può condurre, soprattutto nelle periferie misere delle grandi città, verso l'indifferentismo piuttosto che verso le sette. Di solito si tratta di insediamenti conseguenti ad alluvioni. Offrire servizi pastorali adeguati a queste persone che emigrano nelle grandi città comporta uno sforzo enorme. Noi, a Guayaquil, accogliamo da cento a centocinquantamila nuovi abitanti ogni anno. Ciò ha voluto dire per noi la creazione di dieci nuove parrocchie, con un grande sforzo. Ora ci stiamo impegnando nell'assistenza agli immigranti che, sradicati all'improvviso dal loro luogo di origine, non hanno una grande formazione religiosa e allora sì che corrono il rischio di cedere alle sette, le quali naturalmente non si limitano ad offrire solamente aiuto, ma fanno una vera e propria opera di proselitismo.

Quali iniziative ha preso la Chiesa per favorire la Missione Continentale da poco inaugurata?

Abbiamo già dato avvio alla missione continentale. Noi a Guayaquil possiamo contare sul fatto provvidenziale che la nostra beata Narcisa de Gesù è stata canonizzata il 12 ottobre. Questo ci ha convinti, al termine della riunione di Aparecida, a iniziare una missione sotto l'insegna della beata Narcisa, missione che è consistita nel bussare alle porte di circa trecentomila famiglie di Guayaquil. Ha avuto così inizio un'azione capillare che continuerà, non più esattamente solo sotto il segno di Narcisa di Gesù, ma anche con obiettivi che dobbiamo definire ora, a conclusione del congresso americano missionario, inizio ufficiale della missione di Aparecida. Noi, come Conferenza episcopale ecuadoriana, ci riuniremo a novembre per delineare il modo e l'obiettivo della nostra missione, collegata a quella continentale.

Il continuo esodo delle popolazioni povere dalle campagne verso Quito e Guayaquil sta mettendo a dura prova le strutture statali. E per la Chiesa cosa comporta?

Innanzitutto la necessità di poter contare su più persone impegnate. Vi è sempre bisogno di più collaboratori. In questo momento, in Ecuador vi sono più seminaristi e più sacerdoti che in qualsiasi altro momento della sua storia, vale a dire che negli ultimi trent'anni la figura del seminarista e del sacerdote è cresciuta sempre più. Abbiamo circa dodici seminari. Assistiamo a un fiorire di vocazioni nella vita sacerdotale. E questo è un ottimo segnale. Ogni anno poi, si uniscono a noi con grande entusiasmo molti catechisti. A Guayaquil, ad esempio, negli ultimi anni abbiamo aperto per le diverse zone sei centri di formazione per catechisti, che collaborano con noi in modo deciso e costante, per cui il problema di giungere a tutti i cristiani, bussando alla porta di casa e a quella del cuore di ogni battezzato, è un compito che può contare su sempre più braccia. Dobbiamo aggiornarlo costantemente.

Aiutate la gente anche a trovare un'abitazione decorosa?

A volte giungono in gran numero, famiglie intere. Si stabiliscono nelle case di famiglie conosciute, che già si trovano sul posto, ma vivono in condizioni precarie. Alcuni invadono le proprietà private, altri, quando riescono a raccogliere un po' di denaro, comprano un terreno di pochi metri quadrati.
Un ente molto attivo, chiamato Hogar de Cristo, costruisce per loro case fatte di canne, e le cede per un centinaio di dollari, quanto cioè più o meno riescono a guadagnare inizialmente con il loro lavoro, e il pagamento si può effettuare in due rate. Il guaio è che spesso non hanno lavoro o non possono contare su un lavoro stabile. Generalmente, vendono acqua per le strade o dolciumi all'aeroporto. La disoccupazione a Guayaquil è del 7 o dell'8 per cento, la sottoccupazione è del 40 o del 45 per cento e solo un gruppo ridotto ha un lavoro stabile. Questa è la vera emergenza dell'Ecuador.



(©L'Osservatore Romano 16 ottobre 2008)
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