Intervista al nunzio apostolico Mario Zenari

La fedele missione
della Chiesa in Sri Lanka accanto alla popolazione


di Alessandro Trentin

Nonostante l'invito del Governo rivolto ai parroci, ai religiosi e alle religiose ad abbandonare le diocesi a causa della guerra, la Chiesa cattolica in Sri Lanka resterà accanto alla popolazione, con fedeltà al suo impegno. A sottolinearlo in una intervista a "L'Osservatore Romano" è il nunzio apostolico nel Paese asiatico, Mario Zenari. Il nunzio, il quale ha terminato la sua missione, ha deciso di prolungare di qualche mese l'attività per restare anch'egli in "prima linea" accanto ai fedeli. Monsignor Zenari osserva peraltro che neppure si conosce ufficialmente il numero dei morti nel conflitto (anche se le stime parlano di decine di migliaia), che dal 1983 sta insanguinando una terra dove vivono oltre 19 milioni di persone. Quella combattuta dal Governo dello Sri Lanka contro le Tigri per la liberazione dell'Eelam tamil (Ltte), in questi ultimi giorni, è una lotta armata per ottenere oramai la conquista dell'ultimo lembo di territorio ancora in mano ai ribelli:  un'area perimetrale di circa venti chilometri per trenta dove, tuttavia, vivono ancora numerosi civili che versano in una situazione di estremo pericolo.
Nel colloquio il nunzio apostolico parla di un momento molto delicato per il Paese, al quale, ieri, Benedetto XVI ha rivolto un pensiero al termine dell'udienza generale. Secondo i rapporti dell'Onu e della Croce Rossa Internazionale, i rifugiati a causa della guerra che l'Ltte conduce per rivendicare l'indipendenza di una Stato federato nelle regioni settentrionali e orientali, sarebbero circa 250.000. I colpi di mortaio e di artiglieria sparati dalle opposte parti continuano a provocare la morte di innocenti; mentre neppure strutture primarie di soccorso come, ad esempio, il centro della Caritas a Vanni e l'ospedale a Pudukkudiyiruppu, sono stati risparmiati dalla cieca furia dei bombardamenti. Il governo, per precauzione, ha invitato i religiosi a lasciare le località interessate dal conflitto e ha assicurato che garantirà loro protezione, assieme a quella dei civili che vivono all'interno della cosiddetta "zona di sicurezza".

Ci può descrivere la situazione che vive attualmente la nazione?

Siamo giunti a un momento molto delicato perché oramai si sta stringendo il cerchio attorno ai ribelli separatisti tamil a opera delle forze governative che parlano di una vittoria certa. La lunga guerra che si trascina da oltre venticinque anni appare, dunque, alle strette finali. In questo contesto, tuttavia, siamo molto preoccupati per la popolazione civile che si trova in teatro di guerra:  gli sfollati sono migliaia e soltanto la presenza della Chiesa e della Croce Rossa rafforza la loro volontà di sopravvivere a questo interminabile conflitto. Non c'è neppure un conteggio ufficiale dei morti. Molti sopravvissuti vivono in una zona cosiddetta "di sicurezza", autorizzata dal Governo proprio per garantire la loro incolumità. Ma altri ancora sono ancora nel territorio dominato dai tamil e rischiano di diventare degli scudi umani.

Dai suoi rapporti diplomatici con il Governo cosa è emerso?

Ho avuto modo di incontrare recentemente il presidente dello Sri Lanka, Mahinda Rajapaksa. Ha assicurato che garantirà il rispetto della zona "di sicurezza" per salvare il più possibile le vite dei civili. I sacerdoti, i religiosi e le religiose, inoltre, ancora presenti nell'area teatro degli scontri tra i ribelli tamil e le forze governative, sono stati invitati a partire. Si tratta in particolare di coloro che operano in distretti dove sono presenti comunità che non vogliono lasciare i propri villaggi. Il governo appare dunque disponibile a limitare il più possibile le tragiche conseguenze della guerra, ma restiamo estremamente preoccupati.

Quanti sono i sacerdoti, religiosi e religiose che vivono a stretto contatto con la popolazione in zona di guerra?

Si tratta di venticinque tra sacerdoti e religiosi, mentre le religiose sono trentacinque. Seppure il governo abbia chiesto di informarli del pericolo e della necessità di abbandonare le zone di guerra, sono i vescovi che devono dare l'autorizzazione. E, per ora, per quanto io sappia, sacerdoti, missionari e suore non intendono abbandonare la popolazione, in questo momento di grandi sofferenze. Per gli sfollati la presenza rassicurante della Chiesa è un forte stimolo per la sopravvivenza. Osservo, comunque, che c'è anche un buon numero di laici che si impegnano al massimo per offrire assistenza:  ne forniscono un valido esempio i medici e gli operatori della Croce Rossa, l'unica autorizzata a intervenire nelle zone di guerra.

Lei personalmente ha in programma ulteriori iniziative?

Mi recherò personalmente nella diocesi di Jaffna per portare la solidarietà alle migliaia di rifugiati che vivono nell'area. Compirò una visita di un paio di giorni e incontrerò vescovi e fedeli ai quali ricorderò la vicinanza alla popolazione sofferente del Papa e dell'intera Chiesa. Benedetto XVI ha voluto lanciare un appello per la pace in Sri Lanka, mostrando così il Suo paterno conforto per le tribolazioni degli srilankesi. La Chiesa tutta, dunque, partecipa attivamente per la pacificazione del Paese. Io stesso ho deciso di restare in Sri Lanka ancora per qualche mese, nonostante il termine della mia missione, proprio perché voglio testimoniare la mia premura nei confronti di questa terra e della sua gente, da cui non voglio allontanarmi in un momento così delicato.

Qual è il suo giudizio sull'evolversi della guerra a questo punto?

Siamo in un momento molto delicato. Il conflitto sembrerebbe arrivato alla fase terminale. I ribelli tamil sono arroccati a difendere un piccolo territorio nelle loro mani, ma da quello che apprendiamo il governo sembrerebbe sicuro della vittoria. C'è un grave pericolo però per molti abitanti:  cioè che essi vengano usati come scudi umani dagli stessi appartenenti all'Ltte per proteggersi dai bombardamenti. Si tratta quindi di una situazione assai critica che richiede molto accortezza nella gestione. Per ora, le notizie non sembrano incoraggianti, ma speriamo che nei prossimi giorni arrivino quelle buone, affinché la nazione possa tornare a vivere in un clima di riconciliazione.



(©L'Osservatore Romano 6 febbraio 2009)
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