A colloquio con il vescovo Luigi Padovese, presidente della Conferenza episcopale di Turchia

Testimoni di pace
nel nome dell'Apostolo Paolo


di Nicola Gori

Una Chiesa le cui radici affondano nella predicazione di san Paolo. Una terra che vanta di aver dato i natali allo stesso Apostolo. Una comunità che, sebbene minoranza in un Paese a grande maggioranza musulmana, è capace di mantenere viva la luce del Vangelo e di guardare al futuro, senza rimpiangere il passato. Una realtà ecclesiale che ha generato testimoni autentici di Cristo, come don Andrea Santoro, ucciso il 5 febbraio 2006 a Trabzon. In un'intervista al nostro giornale il vescovo Luigi Padovese, vicario apostolico di Anatolia e presidente della Conferenza episcopale, parla del ruolo e della missione della Chiesa, anche sulla scia della visita ad limina compiuta nei giorni scorsi insieme con gli altri vescovi della Turchia.

Alla luce di un passato glorioso, come vivono oggi i cristiani la loro condizione di minoranza nella società turca?

Il passato è stato veramente glorioso, perché almeno fino al 1927 i cristiani costituivano il 20 per cento della popolazione. Glorioso soprattutto per le memorie. Ripeto spesso che la fede cristiana è nata con Gesù in Palestina, ma il tronco si è poi radicato proprio in Turchia e da lì i rami si sono diffusi in tutto il mondo. Si deve riconoscere che c'è stato un passaggio, una mediazione importante da parte della Turchia nel rendere il cristianesimo una realtà universale o, come direbbe sant'Ignazio di Antiochia, una realtà cattolica. Attualmente, il numero ridotto di cristiani è già un dato eloquente. Numericamente siamo una piccolissima minoranza. Però è una minoranza erede di questo glorioso passato, che si esprime ancora in diversi riti, in diverse scuole teologiche, che sono poi caratteristiche della nostra realtà. Si tratta di una realtà che comunque deve continuare a vivere, non soltanto con lo sguardo rivolto all'indietro, ma soprattutto guardando avanti.

L'Anno paolino rinvia il pensiero ai luoghi legati alla memoria dell'Apostolo. Come si può attualizzare il suo messaggio, soprattutto nel campo del dialogo ecumenico?

Paolo è sempre stato soprattutto uno stimolo, non un fondatore. È stato un richiamo all'identità cristiana, sia quando era in vita sia dopo la sua morte, anche attraverso le sue lettere. Il messaggio che noi vescovi abbiamo diffuso in occasione dell'Anno paolino è un invito per i nostri cristiani - ma si può allargare a tutti - a riscoprire il senso della propria identità, a porsi la domanda:  chi è il cristiano e quali sono i tratti caratteristici che lo definiscono? È una domanda la cui risposta forse diamo per scontata. In realtà, è una domanda che richiede un'autoriflessione seria, accurata, e che necessita anche di una distinzione, di un discernimento nell'ambito delle verità cristiane.

La testimonianza di molti cristiani, tra i quali don Andrea Santoro, è una ricchezza per la Chiesa turca. Cosa rimane del loro sacrificio?

Il loro sacrificio è stato un seme gettato nella terra. Ed è un seme che sta producendo frutti. In noi che viviamo e operiamo in Turchia ha generato la consapevolezza che essere cristiani non è esente da rischi e quindi la fede è una scelta che impegna nella vita e può impegnare anche sino alla morte. D'altra parte, il sacrificio di don Andrea e di altre vittime della violenza in questi ultimi due o tre anni, hanno puntato l'attenzione dell'opinione pubblica sulla nostra realtà di cristiani di Turchia. Questo ci ha dato forza e ci ha aiutato anche ad andare avanti.

Il dialogo interreligioso con i musulmani è una priorità per la vostra comunità. Quali le sfide principali?

Il dialogo è iniziato da diversi anni e si è espresso soprattutto in incontri che attualmente si tengono a Istanbul. Proprio in memoria di don Andrea ne abbiamo promossi alcuni anche a Iskenderun, nel sud del Paese. Riteniamo importante cercare i punti di contatto che esistono tra noi cristiani di Turchia e i musulmani. Fondamentale è anzitutto stabilire relazioni di amicizia e di conoscenza reciproca, che sono la base sulla quale si comincia a sciogliere il ghiaccio della diffidenza.

Il Papa ha auspicato l'attivazione di una commissione bilaterale per il riconoscimento giuridico della Chiesa e dei suoi beni. È possibile realizzarla?

Siamo contenti che il Papa abbia richiamato questa urgenza - noi la riteniamo tale - e auspichiamo che si arrivi a una sua effettiva realizzazione. Rimane pur sempre il fatto che noi in Turchia come minoranza praticamente non esistiamo. La riuscita di questa commissione, che potrebbe appianare alcune difficoltà, è legata anche alla buona volontà del governo turco. Si tratta di porre sul tappeto alcuni problemi, che peraltro sono difficili da affrontare se manca il riconoscimento giuridico della nostra minoranza. Molti ostacoli all'iniziativa vengono dalla situazione interna del Paese, che non ha ancora raggiunto una certa stabilità.

Benedetto XVI ha auspicato una distinzione chiara tra sfera civile e sfera religiosa. Qual è la situazione attuale riguardo alla libertà religiosa in Turchia?

In via di principio la libertà religiosa è garantita dalla Costituzione turca:  libertà di culto e libertà di religione, sulla base di una laicità che probabilmente rappresenta il passo più avanzato compiuto dal Paese con Mustafa Kemal Atatürk. Direi che da questo punto di vista Atatürk è stato un antesignano nel portare la Turchia verso la modernità.

I religiosi sono indispensabili per le attività pastorali nelle vostre comunità. Quali sono le maggiori sfide?

Nel mio saluto al Papa, durante l'incontro di lunedì 2 febbraio, ho voluto ringraziare pubblicamente i religiosi che operano tra noi in Turchia, perché se la Chiesa latina locale è andata avanti nonostante le difficoltà che ci sono state nel passato, è stato proprio grazie alla presenza di religiosi e di religiose, sostenute dai rispettivi ordini e congregazioni. Il che ha garantito anche un ricambio generazionale. La questione fondamentale da risolvere nel campo delle vocazioni è dove farle crescere, dove farle maturare.



(©L'Osservatore Romano 8 febbraio 2009)
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