Intervista a Juan Manuel de Prada

Solo una cultura povera
può permettersi
il lusso della libertà


di Marta Lago

In tempi di crisi economica si temono tagli finanziari agli eventi culturali. Un timore pieno di paradossi, perché l'autentica cultura non costa nulla e non si sottomette all'imposizione finanziaria del potere. Tuttavia, proprio in tempi di crisi, la cultura è più necessaria che mai. Non ha bisogno di fondi, ma di libertà. Lo scrittore spagnolo Juan Manuel de Prada riflette, in questa intervista rilasciata a "L'Osservatore Romano", sulla deriva attuale che la cultura sta vivendo.

Ci troviamo di fronte a un termine attualmente ambiguo. Cosa dovremmo intendere per cultura?

A mio parere, la vera cultura è quella che nasce da ciò che i romantici tedeschi chiamavano Volkgeist, lo "spirito del popolo"; deve essere un'emanazione naturale della gente, che canta, balla, dipinge o recita poesie perché sente il bisogno di esprimere qualcosa che le appartiene nel profondo, qualcosa che è legato alla sua genealogia spirituale, alla sua identità. Questa cultura subisce però il sequestro da parte del potere; quest'ultimo si rende conto che se riesce a trasformare queste effusione naturale in un "artefatto", ossia in un prodotto artificiosamente creato, può ottenere un'ingegneria sociale. Ciò che oggi chiamiamo cultura è in realtà ingegneria sociale. È un processo diffuso in Occidente, in maggiore o minore misura. Allo stesso tempo si osserva una casta di intellettuali gregari; persone che si sono adeguate a una determinata interpretazione della realtà auspicata dal potere, che le sovvenziona e promuove, affinché impongano una determinata cultura, che non è autentica, perché non nasce da un'espressione naturale del popolo. Inoltre, all'idea di popolo si è andato sostituendo il concetto nuovo di "cittadinanza", una massa amorfa dove l'esperienza artistica non si produce più in modo naturale.

Come si potrebbe suscitare nuovamente l'autentica espressione artistica?

Se questa non fosse una società malata, nascerebbe in modo naturale. Ancora si produce, ma molto poco, sempre più soffocata dall'imposizione di una "cultura" ufficiale. Si consigliano settimanalmente, per esempio sui giornali, i libri o le mostre teoricamente migliori. La gente si trova di fronte a opere assolutamente vuote, espressione esagerata e disperata propria di questa epoca. Ma si accetta questa agenda culturale e si perpetua la menzogna. In Spagna questa forma di "cultura" imposta dall'alto si è sviluppata in modo evidente. È stato soffocato l'impulso originario, la cultura nata dal sentire più profondo del popolo. Un esempio di questo flagello è il cinema, oggi strumento al servizio di un'ideologia trionfante composta di relativismo, di distorsione della storia e d'imposizione di paradigmi culturali che contravvengono a ciò che è stata autentica cultura spagnola naturale, per esempio molto legata all'espressione religiosa, oggi soppressa.

Torniamo all'accezione positiva della cultura, che nasce dal popolo. È chiaro che non si riduce a mero intrattenimento. Perché la cultura è tanto importante?

Perché è espressione della dimensione spirituale dell'uomo, di quel divinum di cui parlava Orazio, di quel soffio del mistero che si realizza attraverso l'arte. È un bisogno di esprimere le cose più trascendenti, le più profonde, in modo bello. Allo stesso tempo, normalmente, le vere espressioni culturali devono essere commoventi, indipendentemente dal fatto che chi ne fruisce sia erudito o analfabeta. Per il pittore spagnolo Ramón Gaya, la vera arte produce un'esperienza simile alla fede religiosa. Si genera una commozione interiore profonda e l'adesione a qualcosa che si comprende con il cuore in modo immediato. Al contrario, nell'"arte" che diffonde la "cultura" ufficiale non esiste tale adesione, bensì accettazione di tendenze imposte.

E al dì là dell'auspicata commozione interiore?

La vera arte è comunitaria. È come un seme che si getta e suscita il desiderio d'incorporarsi all'esperienza artistica e di comunicarla ad altri, di modo che ognuno, in un certo senso, diviene anche creatore. È una specie di contagio. Crea società più vere, porta a una maggiore pienezza spirituale, ci rende migliori. L'autentica cultura formerebbe società naturalmente molto meno sofisticate nel senso originario del termine:  meno possedute dai sofismi, che uccidono il vero che è in ogni persona. L'autentica cultura - che prima esisteva - ci parla di una società molto più vincolata, di una trasmissione di generazione in generazione.

Quale risposta costruttiva è fattibile? Come  si  può  recuperare  l'autentica cultura?

Occorre realizzare un lavoro di ricomposizione del tessuto sociale dal basso. Bisognerebbe creare una specie di "controcultura" - di fronte a questa "cultura" stabilita dall'alto - volta a risvegliare in noi quel sentimento genuino di adesione profonda alle vere inquietudini e ai bisogni estetici e spirituali della gente. E ciò si dovrebbe promuovere nello stesso popolo. Ma dato che il popolo è sottoposto al bombardamento della cultura artificiale, l'autentica cultura si dovrebbe generare in contesti molto piccoli, quasi nelle "catacombe"; si dovrebbe generare a partire da ambiti impermeabili all'ideologia che ci viene venduta come arte e come cultura. È un lavoro che richiede moltissima pazienza e ricostruzione dal basso, attraverso persone che si ribellino all'imposizione. Non so se oggi esistono tali persone.

Un esempio potrebbe essere la Polonia, con la sua reazione di fronte alla penetrazione del Terzo Reich. Il popolo polacco tendeva a proteggere la sua lingua, la sua cultura. Ricordiamo il gruppo di teatro di Karol Wojtyla e tanti altri.

Effettivamente. Potrebbe essere un esempio. E credo che dovrà tornare a essere così. Dovrà tornare a essere una cultura clandestina. Non dimentichiamo che oggi la tirannia culturale che la corruzione democratica ha imposto è di gran lunga più potente di altre tirannie quali potevano essere il comunismo o il nazismo. Fra le altre ragioni, perché in quelle tirannie il creatore aveva molta più coscienza del fatto di essere soffocato o soggiogato, mentre oggi il creatore è diventato un funzionario celebrato e sovvenzionato dalla tirannia di turno, si sente a proprio agio accettando il codice imposto dal potere. In tal senso il lavoro è molto più difficile. Al tempo della seconda guerra mondiale i polacchi erano consapevoli dell'assoggettamento, mentre oggi questa consapevolezza è enormemente sfumata:  dietro una facciata di maggiore libertà, esiste un controllo molto più forte.

È un luogo comune affermare che la cultura è superflua in tempi di crisi economica?

Sì, lo è. La cultura è ancor più necessaria nei momenti difficili. La vera cultura non costa economicamente. È così necessaria come respirare, così naturale e spontanea come innamorarsi. L'altra "cultura" invece costa molto, perché è una creazione artificiosa che cerca di modellare e di modulare anime. È come un grande macchinario per tritare la carne. Raccogliere le more che si offrono in modo naturale nella campagna invece non costa nulla.

Come si può raggiungere questa necessaria indipendenza? Riscoprendo la propria eredità culturale, tanto ricca in Spagna? Tornando alla creazione artistica genuina?

Eliminerei ogni tipo di sostegno - si tratta di falsi sostegni, senza altro obiettivo se non quello dell'ingegneria sociale - alla cultura. Lascerei che la gente, in modo naturale, decidesse la propria espressione artistica liberamente. Certamente questa naturalezza non potrebbe mai essere incontaminata. Ma le fioriture culturali spontanee continuano a esserci, a iniziare dai giovani che creano la propria piccola compagnia teatrale. Le sovvenzioni "culturali" mediatiche o formative si stanno traducendo in un autentico "addomesticamento" della gente, un processo estremamente dannoso - insisto - d'ingegneria sociale. La cultura vera non costa denaro. Costava ai trovatori andare di villaggio in villaggio recitando i loro poemi? No. Non lasciamoci ingannare.



(©L'Osservatore Romano 7 marzo 2009)
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