Intervista al presidente Demetris Christofias

Non c'è alternativa
alla riunificazione di Cipro


di Pierluigi Natalia

La determinazione a proseguire il dialogo con i turco-ciprioti fino alla riunificazione di Cipro e la convinzione che tale obiettivo possa essere raggiunto, nonostante le persistenti e sostanziali differenze di posizioni, emergono dal colloquio con il presidente cipriota Demetris Christofias in occasione della sua visita in Vaticano. Nell'intervista, Christofias sostiene che la sola possibilità per mettere fine all'annosa questione cipriota è costituire uno Stato federale sul tipo del Belgio, cioè con un'ampia autonomia dei popoli fondanti, ma con un'unica rappresentanza in Europa e nel mondo. Il presidente respinge cioè l'ipotesi di una Federazione tra due entità diverse, cioè appunto Cipro e la Repubblica Turca di Cipro del Nord, costituita nel 1977, tre anni dopo l'invasione turca della parte settentrionale dell'isola, un'entità che oggi ha come unico riconoscimento internazionale quello del Governo di Ankara. Nonostante i persistenti contrasti, Christofias riconosce all'attuale dirigenza turco-cipriota, guidata da Mehmet  Ali Talat, un uguale desiderio di arrivare a sanare la ferita aperta da 35 anni. In quest'ottica, un ruolo centrale assume, a giudizio del presidente cipriota, il recupero e la conservazione degli oltre cinquecento luoghi di culto cristiani ortodossi distrutti o profanati.

Signor presidente, Lei è stato eletto alla sua carica sulla base di un programma politico che metteva al primo posto la riunificazione dell'isola e la ripresa dei negoziati con i turco-ciprioti. A che punto è il progetto?

Per prima cosa, parlando in questo luogo, nel Vaticano che è un monumento non solo alla religione, ma all'arte in tutte le sue espressioni, e parlando con "L'Osservatore Romano", voglio esprimere la gratitudine e la gioia per essere qui e per avere la possibilità di incontrare Benedetto XVI. L'incontro con il Papa è un'occasione per rispondere a questa domanda. È tempo di porre fine all'occupazione militare turca che viola la legalità internazionale e i diritti dell'uomo, sia dei greco-ciprioti sia dei turco-ciprioti, e che è contraria ai principi dell'Unione europea.
C'è da tempo - se ne parlava già prima dell'invasione del 1974 - un'intesa con i nostri compatrioti turco-ciprioti per far evolvere l'attuale situazione, passando da uno Stato unitario a uno Stato federale. Sarà una Federazione tra due regioni con un Governo centrale. Questo è lo scheletro intorno al quale bisogna lavorare per rivestirlo con la carne della riunificazione.

Sono ancora buoni i rapporti tra il suo partito e quello del leader turco-cipriota Mehmet Ali Talat?

Per anni e anni sono stati rapporti fraterni. Non solo quelli tra i nostri partiti, ma anche i miei personali con Mehmet Ali Talat. Comunque, da quando lui è diventato leader della comunità turco-cipriota, il ruolo lo ha spinto a spostarsi dalle posizioni comuni di un tempo. In questo ha un peso la necessità di farsi accettare da Ankara, da molti esponenti radicali e dallo stesso establishment turco. Ciò nonostante, Talat rimane il nostro miglior interlocutore, con il quale possiamo discutere anche sulla base di un passato di buoni rapporti.
Per questo, trovando spesso la comprensione e il consenso di Talat, sto insistendo con molta pazienza nel cercare di costruire basi comuni per il nuovo Stato, che avrà un'unica sovranità, un'unica cittadinanza e un'unica personalità internazionale. Resta d'ostacolo l'atteggiamento di Ankara, che insiste per creare una confederazione tra due Stati. Anche per questo, il percorso che abbiamo intrapreso resta difficile. Ma alla riunificazione non c'è alternativa.

Tra i problemi aperti c'è quello del recupero e della tutela del patrimonio artistico e religioso. Lei stesso è originario di una città, Kyrenia, nella quale è rimasta una sola chiesa delle tre che vi sorgevano un tempo.

Non solo come cipriota, ma come cittadino del mondo, mi è estremamente doloroso rispondere a questa domanda. Ogni invasione, ogni occupazione è in generale un delitto, una violazione del diritto internazionale e dei diritti dell'uomo. La distruzione del patrimonio religioso e culturale è un ulteriore e grave crimine all'interno di un tale contesto delittuoso. Il nostro patrimonio culturale è antichissimo. Ci sono cose che abbiamo in comune con i cittadini turco-ciprioti e che appartengono sicuramente a tutti i ciprioti. Ci sono interi complessi religiosi, conventi e monasteri, che stanno cadendo a pezzi perché non è permesso intervenire per restaurarli. Anche questo è un argomento del quale ho già parlato con il Papa, quando ero presidente del Parlamento. Voglio aggiungere che la Turchia stessa provvede al restauro del patrimonio culturale cristiano nel suo territorio, come a Efeso. Mi chiedo, dunque, perché a Cipro si protragga questa distruzione.



(©L'Osservatore Romano 28 marzo 2009)
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