Intervista con don Domenico Dal Molin direttore del Centro nazionale vocazioni della Conferenza episcopale italiana

La fedeltà a Cristo è la priorità del sacerdote


di Danilo Quinto

"Porto nel mio cuore la profonda amicizia che ci ha legato in tanti anni vissuti insieme. Pur avendo quasi la sua stessa età, mi sono sempre sentito un discepolo nei suoi confronti. Ho imparato da lui tante cose. Ammiravo tanto, e soprattutto, la sua passione per la realtà vocazionale, la sua straordinaria capacità creativa. Riusciva a infondere un cuore nuovo in tante realtà che avevano bisogno di essere rinnovate".
Don Domenico Dal Molin, direttore del Centro nazionale vocazioni (Cnv) della Conferenza episcopale italiana, ricorda così don Antonio Ladisa, sacerdote dell'arcidiocesi di Bari-Bitonto, rettore del Pontificio Seminario Regionale Pugliese Pio xi di Molfetta e vicedirettore del Cnv, deceduto in un incidente stradale il 30 marzo scorso.
Un ricordo in qualche modo obbligato per don Dal Molin, soprattutto in queste ore che accompagnano la celebrazione della 46ª Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. All'opera pastorale per le vocazioni, infatti, don Antonio Ladisa aveva dedicato gran parte della sua vita. E don Dal Molin rammenta come nel 2007, in occasione dell'annuale Giornata per le vocazioni, don Ladisa avesse valorizzato le parole pronunciate da Benedetto XVI il 18 novembre 2006 al termine del concerto del Philharmonia Quartett Berlin offerto dal presidente della Repubblica Federale di Germania. In quella occasione il Papa, prendendo a prestito l'immagine dell'orchestra, sottolineava come l'impegno dei cristiani - singolarmente e insieme - fosse quello d'"essere "strumenti" per comunicare agli uomini il pensiero del grande "Compositore", la cui opera è l'armonia dell'universo". Don Ladisa - ricorda don Dal Molin - commentò così quelle parole:  "Avere tra le mani uno spartito musicale, come quello composto dal grande Musicista divino, non assicura di per sé l'ascolto di una buona musica. È indispensabile che l'orchestra, nella varietà dei suoi strumenti, dia vita allo spartito e permetta di gustare la bellezza della composizione musicale. L'ascolto dunque di una buona sinfonia dipende non solo dallo spartito musicale, ma anche dall'accordo degli strumenti e dalla bravura dell'orchestra. Il grande Compositore consegna lo spartito del suo progetto d'amore alla Chiesa, perché nell'accordo e nell'armonia dei diversi doni essa faccia continuamente risuonare nel mondo la sinfonia del sì. Ogni battezzato è chiamato a diventare un provetto musicista, arricchendo con la sua presenza e il timbro del suo "strumento" l'intera orchestra".

Una sola sinfonia. È lo stesso richiamo che fa don Domenico Dal Molin, quando gli chiediamo che cosa pensa del fatto che Benedetto XVI abbia scelto san Giovanni Maria Vianney come patrono della vocazione sacerdotale e di tutto il ministero ordinato.

"È una scelta che condivido profondamente, perché penso che nella nostra epoca, in cui le persone vivono di visibilità, legare il ministero sacerdotale a un santo che ha permeato la sua vita del nascondimento e dell'umiltà, sia una scelta profondamente evangelica. Giovanni Maria Vianney, poi, era un grande confessore, aveva una grande passione per le anime, per le vite. È, questa che ci ha concesso il Santo Padre, una grande opportunità per rilanciare il sacramento della Riconciliazione e coltivare, quindi, la dimensione spirituale. Come sacerdoti, abbiamo estremo bisogno di ritrovare il senso di un ministero umile, semplice e quotidiano, che ci riporti alla dimensione dei "servi inutili" del Vangelo".

Come ha accolto la decisione di Benedetto XVI d'indire uno speciale Anno sacerdotale (19 giugno 2009-19 giugno 2010) sul tema "Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote"?

"La considero una grande opportunità. Aiuta a lavorare nella linea della vocazione del ministero ordinato, che è una fucina per le altre vocazioni. Oltre alla cura delle vocazioni e del percorso in seminario, mi pare significativo che il Papa punti alla formazione permanente dei presbiteri, finora forse un po' trascurata. Altrettanto interesse credo susciti il Direttorio per i Confessori e i Direttori Spirituali, che rimetterà al centro dell'azione del prete il "ministero della consolazione", di cui oggi c'è molto bisogno".

Si parla di crisi delle vocazioni. È questa la situazione reale?

"È difficile dare una risposta globale. C'è una reale difficoltà sul numero delle vocazioni alla vita consacrata e al ministero ordinato. Constatiamo che esiste una sofferenza in questo momento; non parlerei di crisi, anche perché è un termine che non mi piace. Devo anche dire che è necessario un lavoro molto profondo che tocchi di più le vocazioni nella vita delle nostre comunità. Se non rinnoviamo le nostre comunità, non ci saranno vocazioni e l'anno sacerdotale indetto dal Papa è una grossa opportunità per rinnovare le comunità, dove è in crisi il "grembo" della vocazione, che è costituito dalla famiglia. Di conseguenza, si avverte una sofferenza reale, quantitativa e qualitativa delle vocazioni".

È una situazione che considera generalizzata?

"Le valutazioni vanno fatte Continente per Continente, Paese per Paese e all'interno di ciascun Paese. Prendiamo il caso dell'Italia:  in alcune zone del sud il problema è meno avvertito, diversamente da quel che avviene nel nord, ma, nello stesso tempo, sono da sottolineare gli straordinari cammini del mondo laicale. Più in generale, occorre sottolineare che l'Europa occidentale è un mondo in crisi da tutti i punti di vista. L'Europa orientale ha qualche risorsa in più da spendere e c'è una grande quantità di richieste vocazionali, ma è necessario esercitare un corretto discernimento. Globalmente, il mondo occidentale è in sofferenza anche su quest'aspetto, perché manca sempre di più la spiritualità".

Quali sono gli aspetti dell'opera del Centro nazionale vocazioni che ritiene più rilevanti da sottolineare?

"Sono essenzialmente due:  l'attenzione alla realtà formativa degli accompagnatori, che sono gli educatori, e i seminari laboratoriali sull'accompagnamento e sulla direzione spirituale-discernimento che stiamo inaugurando proprio in questi giorni".

Una domanda personale:  com'è nata la sua vocazione?

"Devo la mia vocazione innanzitutto al contesto familiare, molto affettuoso e carico di spiritualità, che non ha esercitato su di me alcun tipo di pressione particolare, ma era disponibile a una qualsiasi scelta di vita avessi intrapreso. Mia madre e mio padre mi hanno accompagnato con amore a quella che è stata la scelta della mia vita. La seconda ragione della mia vocazione la devo al grande entusiasmo che ho provato nei confronti della figura di un sacerdote che era il parroco della mia parrocchia. Le ho raccontato due connotati che facevano parte della vita ordinaria di 25-30 anni fa, almeno in Italia. La famiglia e la parrocchia. Connotati di una vita ordinaria che vanno recuperati al più presto".

Non crede che alcuni sacerdoti, forse per mancanza di formazione, pongono sempre meno Cristo al centro della loro vita e della loro opera e si dedicano, invece, a un'attività prevalentemente di carattere sociologico?

"Condivido quanto lei dice. Non so se si tratti di attività "sociologica". So che molti sacerdoti - sollecitati da una cultura che privilegia l'improvvisazione, la frammentarietà, il part-time - sono molto presi da attività che hanno aspetti burocratici, anche di carattere economico. Si è persa la priorità, che è Cristo. La fedeltà a Cristo, come dice Benedetto XVI, è la priorità del sacerdote".



(©L'Osservatore Romano 4-5 maggio 2009)
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