Intervista al fondatore del Silsilah, padre D'Ambra, per il venticinquesimo dell'organizzazione

Il dialogo interreligioso
migliore via di pace nelle Filippine


di Roberto Sgaramella

Dialogo interreligioso tra credenti cristiani e musulmani per accrescere la conoscenza e il rispetto reciproci:  questa è la sostanza del movimento Silsilah che opera nelle Filippine ponendo a lavorare affianco appartenenti alle due grandi religioni su progetti finalizzati a combattere la povertà. In occasione dei venticinque anni di attività di questa organizzazione islamo-cristiana con base a Zamboanga, nella grande isola meridionale di Mindanao, "L'Osservatore Romano" ha posto alcune domande al suo fondatore e presidente, padre Sebastiano D'Ambra, missionario del Pime, che svolge il suo apostolato, dal 1977, in una delle zone dove più violento è lo scontro con gli estremisti ma dove è più fondata la speranza di una duratura pace tra i credenti.

Il Silsilah, il movimento di volontariato interreligioso che lei ha fondato nel 1984, ha appena compiuto venticinque anni di attività. Le motivazioni iniziali di questo organismo sono tuttora valide oppure alcune di esse devono essere riviste?

L'intuizione iniziale di avviare un movimento di dialogo basato sulla spiritualità si rivela soprattutto oggi una priorità per ogni impegno di dialogo e pace. La grande sfida è quella di far capire a tutti che il Silsilah propone una spiritualità di vita in dialogo che risponde anche alle esigenze del dialogo interreligioso, ma va vissuto prima di essere promosso e copre i vari aspetti della vita nel nostro incontro con Dio, con noi stessi, con gli altri e col creato. Inizialmente avevo la preoccupazione che i musulmani non riuscissero a capire questa proposta di dialogo ma adesso vedo che anche per loro la "spiritualità" è un valore come per i cristiani. La grande sfida è quella di superare la preoccupazione e la paura che il dialogo possa essere usato come una strategia di conversione da una religione all'altra. Bisogna lavorare con più serenità per il bene comune. Il bisogno della pace nel mondo oggi gioca un ruolo importante nella nostra missione, ma spesso diventa un ostacolo perché c'è la preoccupazione di raggiungere velocemente dei risultati. In realtà il vero dialogo richiede tempi lunghi. Tuttavia ogni tanto succedono dei "miracoli" e così si riesce a vedere dei risultati più in fretta.

Porre a lavorare insieme cristiani e musulmani, senza distinzione di appartenenza religiosa, per sconfiggere la povertà attraverso la solidarietà:  questa è la base del Silsilah. Di queste azioni quali sono stati i risultati più significativi?

I risultati più significativi sono i segni di speranza che il Silsilah è in grado di creare pur nella situazione di povertà e di conflitto in cui viviamo in Mindanao. I poveri capiscono più facilmente questi segni, gli altri, specialmente quelli che vogliono usare la religione per controllare la gente, cercano di minimizzare gli sforzi e i risultati del nostro dialogo. Mentre si nota resistenza da parte di alcuni leader musulmani, guidati da ideologie integraliste, c'è tuttavia in molti altri una coscienza maggiore che il dialogo è possibile, lavorare insieme per la pace è possibile. Ma se la pace viene usata per il potere e per ottenere vantaggi tutto diventa più difficile. Questo è ciò che avviene in Mindanao e in altre parti del mondo. Spesso dico che se gli operatori di violenza sono così attivi a dividere la gente noi che crediamo al dialogo dobbiamo essere altrettanto attivi per costruire la pace. Purtroppo la paura spesso prende su di noi il sopravvento. Tuttavia i volontari del Silsilah hanno dato prova di grande coraggio in tanti casi, specialmente dopo l'uccisione del missionario del Pime padre Salvatore Carzedda, nel 1992.

"Call to a dream" ovvero "Chiamata a un sogno":  così si intitola il libro, pubblicato recentemente, in cui lei narra la sua vita dedicata al dialogo. Ritiene che il Silsilah rappresenti la completa realizzazione del sogno a cui si riferisce?

Penso che un sogno, anche il mio sogno, è sempre in divenire. Quello che descrivo nel libro è una riflessione sulla mia esperienza e l'esperienza del Silsilah. Quando il defunto vescovo Bienvenido Solon Tudtud, un mio amico e un profeta del dialogo interreligioso nelle Filippine fino agli anni Ottanta, venne a sapere della mia intenzione di avviare il movimento Silsilah, partendo da una spiritualità di vita in dialogo, mi disse:  "Questo sarà un cammino di cento anni". Ebbene adesso abbiamo celebrato solo i venticinque anni di questo cammino e vedo che molti oggi, sia nelle Filippine che in altre parti del mondo, credono e parlano di un dialogo che deve basarsi sulla spiritualità. Per me questo è un segno dei tempi che già avevo intravisto anni addietro e che, in qualche modo, il Silsilah ha contribuito a realizzare. Tuttavia il mio sogno continua. Spero che arriverà presto una intesa maggiore tra i popoli e le religioni. Purtroppo adesso siamo nella fase più dura e drammatica. Ma io credo che siamo già arrivati al punto che gli "onesti" hanno capito che l'umanità potrà raggiungere la pace solo per la strada dell'amore vero che si esprime in tanti aspetti della società. E così andiamo avanti sognando, pronti a dare la nostra vita per questo sogno.

Quando lei arrivò per la prima volta nelle Filippine, il 1977, il suo confratello padre Cadei lo accolse esclamando "benvenuto nella terra degli eroi!". A chi si riferiva? Quanti di questi eroi lei ha finora conosciuto in questo Paese?

Padre Cadei si riferiva alla situazione di allora. In quel periodo era in vigore la legge marziale sotto la presidenza di Marcos. Parecchi confratelli vennero espulsi perché impegnati in attività in difesa dei poveri. Credo che Cadei si riferisse a tante situazioni di violenza che c'erano allora. Ma quello che lui mi disse rimane valido oggi nella mia missione specifica di dialogo e di pace in Mindanao. Ho conosciuto tanti preti, suore e laici che sono stati uccisi, minacciati, rapiti in questi anni. Al Silsilah abbiamo iniziato a contare quelli che hanno partecipato ai nostri corsi, membri oppure amici che hanno fatto un cammino con noi, e che sono stati uccisi. Tra questi il vicario apostolico di Jolo, monsignor Benjamin de Jesus, o.m.i., padre Rohel Gallardo, Clarettiano, ucciso a Basilan e, lo scorso anno, padre Reynaldo Jesus Roda, o.m.i., ucciso a Tawi Tawi. Lo ricordo come un nostro alunno nei corsi di dialogo che il Silsilah promuove ogni anno. Purtroppo prevedo che la lista diventerà più lunga in seguito. Personalmente sono stato minacciato tante volte, ma vado avanti. Il motto del Silsilah è "Padayon!", "andiamo avanti!". Pur in uno scenario di violenza ci sono dei grandi segni di speranza. Tanti vedono nel Silsilah una risposta ai segni dei tempi e così andiamo avanti!



(©L'Osservatore Romano 22-23 maggio 2009)
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