Intervista a Nigussu Legesse del World Council of Churches

Sostegno alle vittime
nella Repubblica Democratica del Congo


di Alessandro Trentin

"Nella Repubblica Democratica del Congo sono in atto crimini contro l'umanità equivalenti a un genocidio":  sono le parole scelte dal responsabile per l'Africa del World Council of Churches (Wcc), Nigussu Legesse, per descrivere in un colloquio con "L'Osservatore Romano", la situazione del Paese.
Legesse è da pochi giorni tornato a Ginevra, in Svizzera, dove ha sede il Wcc, dopo aver compiuto un visita ecumenica nella Rdc, nell'ambito del programma "Living Letters". "Mi sento scioccato e angosciato - afferma - per i racconti delle vittime che abbiamo raccolto durante il nostro viaggio".
La visita ha consentito di appurare la crudele realtà in cui sono costrette a vivere migliaia di persone. "La Repubblica Democratica del Congo - spiega Legesse - è in crisi. Anni di guerra e d'interventi politici ed economici mal gestiti, hanno condotto il Paese alla povertà e all'instabilità sociale".
Il rappresentante del Wcc parla di "crimini brutali", in particolare compiuti contro le donne. Dal 1999 a oggi si sono registrati centinaia di migliaia di casi di donne che hanno subito stupri o mutilazioni degli organi genitali. Nella  maggioranza dei casi a commettere le brutalità sono le milizie armate che agiscono indisturbate sul territorio.
Per Legesse, "le Nazioni Unite e la comunità internazionale dovrebbero riconoscere tali violenze come crimini contro l'umanità, equivalenti a un genocidio, e punire i responsabili". "L'esigenza primaria - ribadisce - è quella di porre fine immediatamente a questi crimini, con l'aiuto della comunità internazionale, e di assicurare i responsabili alla giustizia".
Il rappresentante del Wcc conclude sottolineando che "le Chiese e il movimento ecumenico, assieme al Governo della Repubblica Democratica del Congo, hanno la responsabilità morale di lavorare sul terreno della riabilitazione e della compensazione a favore delle vittime che hanno perduto la loro dignità morale".
Legesse, è stato affiancato nella visita dalla responsabile per l'Africa del German Church Development Service. Karin Döhne. I due delegati, in particolare, hanno viaggiato in due province:  quella del Basso Congo e del Kasai Orientale. Le aree sono colpite fra l'altro da una crisi occupazionale che sta alimentano una forte tensione sociale.
Il Kasai Orientale, per esempio, che nel passato godeva di prosperità, grazie alla produzione mineraria, è oggi una provincia depressa. "Le miniere di diamanti - osserva Legesse - erano la maggiore risorsa per la popolazione locale. Ora c'è una situazione critica, perché non ci sono alternative economiche valide per la sopravvivenza delle persone".
La povertà colpisce solo le fasce sociali più deboli della popolazione, mentre altri riescono ugualmente ad arricchirsi nella corruzione. "Nelle strade dei villaggi - racconta il rappresentante del Wcc - i commercianti di diamanti, prodotti da attività minerarie illegali, vendono i preziosi per decine di migliaia di dollari. Il suolo della provincia congolese produce fortune, ma soltanto per poche persone".
In questo contesto, il Wcc sta supportando una serie di programmi di sostegno alla popolazione, in particolare nel campo scolastico e sanitario. Nel Basso Congo sono oltre 150.000 gli studenti accolti nelle scuole dei religiosi, mentre nel Kasai Orientale le strutture didattiche sono oltre 4.000. Le scuole sono peraltro viste come un'importante campo d'azione dove i bambini possono imparare e praticare la pacifica coesistenza. "La voce dei bambini - evidenzia il rappresentante del Wcc - controbilancia quella di coloro che agiscono per diffondere conflitti e tensioni". Nelle scuole, così come altrove, aggiunge, "si vive un ecumenismo pratico:  gli operatori delle varie comunità ecclesiali mantengono la propria identità, ma nelle attività sociali essi uniscono le loro risorse ed energie". I delegati hanno anche visitato l'Institut Médical Evangélique che ha a disposizione 400 posti letto per i ricoveri.



(©L'Osservatore Romano 21 agosto 2009)
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