A colloquio con il presidente dei vescovi della regione Oeste 2

Chiesa di frontiera nel cuore dell'Amazzonia


Una Chiesa in permanente stato di missione che si affida alla diffusione della Bibbia per arginare il fenomeno delle sette e che cerca di condividere con i poveri le limitate risorse di cui dispone. È quanto affermato da monsignor Gentil Delázari, vescovo di Sinop e presidente della Conferenza episcopale regionale dell'Oeste 2 del Brasile, in visita ad limina, nell'intervista che pubblichiamo qui di seguito.

Quali caratteristiche possono definire la Chiesa  della  Conferenza  regionale  Oeste 2?

La caratteristica principale della nostra Chiesa nell'Oeste 2, che comprende tutto lo Stato del Mato Grosso, è di essere in permanente stato di missione. Una parte dei territori della Conferenza regionale dell'Oeste 2 appartiene all'Amazzonia. È quindi una Chiesa che comprende molti immigrati, provenienti da tutti gli Stati del Brasile e anche dall'estero. Una Chiesa completamente dedita a praticare la solidarietà, povera e missionaria, dove gli accampamenti dei "senzaterra" sono una caratteristica permanente in tutte le diocesi appartenenti alla nostra Conferenza. E in tutte sono presenti anche tribù indigene. È una Chiesa che ha ancora bisogno di un grande sviluppo umano ed ecclesiale. D'altro canto, qui nel Mato Grosso esiste anche un forte contrasto fra la tecnologia dell'industria agricola, che è molto avanzata, e la moltitudine dei "senzaterra" - quelli che vivono ancora negli accampamenti e quelli già sistemati su degli appezzamenti di terra, ma non ancora proprietari - e le famiglie indigene, sparse in tutta la nostra regione.

La società locale è sempre più secolarizzata e relativizzata. Quali iniziative sono state prese perché il Vangelo sia annunciato agli uomini del nostro tempo?

Prima di tutto, la nostra regione è ancora profondamente immersa nella natura, a contatto con tutta la selva amazzonica e la bellezza delle campagne. Inoltre, il nostro popolo conserva gelosamente la propria religiosità. Purtroppo, sono evidenti anche i segni della secolarizzazione. Stiamo, pertanto, lavorando a un grande progetto per rispondere a questa urgenza, mettendo le sacre Scritture a disposizione del maggior numero possibile di persone. Si tratta di distribuire alle famiglie e al popolo in generale, un milione di esemplari della Bibbia, affinché il contatto con la Parola di Dio - la lex orandi - rafforzi e ravvivi lo spirito della nostra Chiesa, ed eviti che il processo di secolarizzazione del nostro popolo si approfondisca.

Dinanzi alla sfida della povertà e della miseria che interpella la Chiesa, come viene testimoniata la carità?

La carità viene esercitata, soprattutto nei confronti degli abitanti che vivono nella parte settentrionale dello Stato, dove vi sono persone che hanno trovato una relativa sistemazione e quelle che si trovano ancora negli accampamenti in attesa di una propria terra. Devo dire che fra il popolo stesso esiste una solidarietà molto grande. Tutti condividono i pasti e i beni di cui dispongono. La Chiesa nel suo insieme, qui nell'Oeste 2, sta cercando di investire e di lavorare per l'avvio e lo sviluppo della Caritas, come di uno strumento che riunisca gli organismi pastorali e le iniziative e che orienti e inviti quanti possiedono maggiori risorse a condividerle con quanti ne possiedono meno. Per questo stiamo cercando di promuovere la costituzione delle Caritas diocesane, legate alla Caritas nazionale, e stiamo cercando di rispondere ai bisogni della gente aprendo orfanotrofi e asili nido. Nel campo della salute, lavoriamo in collaborazione con gli organi pubblici per potere far fronte alla dengue, per debellare la malaria e anche la febbre suina, che si sta diffondendo. Abbiamo approntato diverse iniziative per rispondere alle sfide e praticare la carità nella nostra regione, nonostante i limitati mezzi a disposizione.

La proliferazione delle sette minaccia di allontanare dalla fede cattolica molti settori della popolazione. Come si può impedire questo fenomeno?

Questa premessa è vera:  le sette sono presenti ovunque nel nostro Stato, nei luoghi più isolati, in mezzo alla selva, poiché persino lì si possono incontrare. Cosa sta facendo in concreto la Chiesa? Stiamo lavorando con i nostri movimenti con un'attenzione particolare alle coppie sposate e alle famiglie, poiché l'attività pastorale nella nostra zona è incentrata sulla famiglia e sull'ambiente. La formazione poi è alla base del nostro lavoro. Riteniamo anche che diffondere la Bibbia tra la gente, e di conseguenza informare, orientare e spiegare come si legge e cosa significa, sia un modo per risvegliare e aiutare il popolo cattolico a conoscere la sacra Scrittura. Pensiamo che rendere familiare la Bibbia e conoscere meglio la nostra Chiesa, aiuti a far fronte a tutte le sette che stanno nascendo.

Esiste una pastorale specifica per gli indios?

Sì, abbiamo una pastorale specifica per gli indios. Ci sono dei missionari che vivono proprio nei villaggi indigeni. A Sinop, per esempio, dei missionari vivono in tre villaggi abitati da indigeni e così a Xingu. C'è anche una equipe "volante" di missionari, con una formazione antropologica, che lavora a contatto con le strutture indigene e con il Cimi, l'organismo che si occupa del lavoro nella nostra Conferenza. Questa pastorale specifica è quindi volta ad assistere i nostri indios e a creare un legame culturale fra il mondo indigeno e il mondo "bianco", facendo sì che anche essi frequentino le scuole statali o comunali. Sono importanti anche le visite che realizziamo nei villaggi, durante le quali cerchiamo di conversare con gli indigeni, sebbene questi ultimi si esprimano spesso solo nella propria lingua.



(©L'Osservatore Romano 5 settembre 2009)
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