Intervista al vescovo di Como monsignor Diego Coletti

La Chiesa e l'uso corretto
dei nuovi strumenti di comunicazione


di Alberto Manzoni

La comunicazione nelle visite pastorali, in diocesi di Como, ha di recente presentato - per così dire - due facce:  oltre a quella tradizionale, fatta di incontri diretti e personali del vescovo con sacerdoti, religiosi, fedeli singoli e gruppi, c'è quella "mediatica", che vede lo stesso presule in linea diretta a "chattare" con chi desidera formulare osservazioni, pareri e suggerimenti dopo la visita stessa. Infatti, dopo quella in Valle Intelvi, a fine ottobre, monsignor Diego Coletti si era disposto a rispondere on-line a quanti volessero interloquire con lui. Vista l'esperienza positiva, quello del vescovo che comunica in rete e in diretta è diventato un appuntamento fisso:  si è ripetuto in dicembre, a seguito della visita in Valtellina Superiore. E si riproporrà al termine della visita nella prossima zona (Prealpi), che prenderà il via nei prossimi giorni, subito dopo l'Epifania.

Monsignor Coletti, come e perché è nata questa idea?

Confesso che l'idea non è stata mia:  la proposta è giunta dai miei collaboratori, molto più esperti di me in fatto di comunicazione sociale e uso delle nuove tecnologie. Il suggerimento, però, ha trovato in me, fin da subito, una favorevole accoglienza, perché ho l'impressione che questi nuovi modi di comunicare - tra l'altro da me sperimentati già in qualche altra occasione - abbiano un ruolo importante per il futuro, per le relazioni tra le persone e per la possibilità di far arrivare messaggi e diffondere iniziative a un gran numero di persone in pochissimo tempo.

Come è stata accolta dai preti e dalla gente? Quante persone le hanno scritto o hanno chattato con lei?

Nelle due esperienze fatte sinora - rispettivamente con le zone "Valle Intelvi" (sul lago di Como) e "Valtellina Superiore" (in provincia di Sondrio) - ci sono state molte più domande e interventi del tempo che avevamo a disposizione. La prima volta da un'ora abbiamo protratto il collegamento di quindici minuti, la seconda addirittura di trenta. Una delle cose che posso notare è la qualità delle domande fatte, mai banali né superficiali. La seconda volta, poi, un intero consiglio pastorale parrocchiale, riunitosi in seduta ordinaria, ha espresso una serie di quesiti ai quali ho risposto e sono diventati immediatamente occasione di verifica e di confronto tra i membri del consiglio stesso.

Quindi ha visto un concreto apprezzamento della proposta

Certo, anche questa mi sembra una reazione positiva. Aggiungo che nelle due zone sopra citate, alle quali è stata offerta questa possibilità di interloquire con il vescovo, l'iniziativa della chat era stata proposta senza eccessiva pubblicità. Pur essendo molto flebile e sommesso, però, il richiamo è stato efficace e la risposta molto significativa:  in termini "quantitativi" direi che siamo andati al di là di ogni più rosea previsione.

Monsignor Coletti, lei è vescovo da nove anni - l'anniversario d'ordinazione è il prossimo 13 gennaio -, di cui sei trascorsi a Livorno, prima di passare a Como. Sono gli anni in cui internet si è sviluppato in modo massiccio, entrando nelle case della gente. Si è sentito, in qualche modo, "immerso" in questa nuova realtà anche come pastore?

In merito al mio livello di immersione nella comunicazione cibernetica, confido che non si tratta di una scelta preferenziale in assoluto. Sono convinto che la comunicazione fra le persone continui a richiedere - una necessità che, forse oggi, mi sembra si presenti con maggiore urgenza - l'utilizzo di altri canali, primo fra tutti quello della conversazione faccia a faccia. Il rapporto diretto fra le persone non può essere sostituito da niente e da nessuno. Quindi la mia disponibilità a utilizzare tali canali di "nuovo conio" non comporta la sopravvalutazione di questi ultimi e la sottovalutazione di quelli più tradizionali, ma è semplicemente l'occupazione di alcuni spazi che possono essere utili alla diffusione del Vangelo.

Lei è originario dell'arcidiocesi ambrosiana e ne è "partito" quando ancora era arcivescovo il cardinale Carlo Maria Martini. Quanto le hanno lasciato le sue riflessioni dei primi anni Novanta sul comunicare (Effatà, Il lembo del mantello)?

"Credo che il cardinale Martini, a quell'epoca, abbia toccato l'argomento della comunicazione con grande equilibrio. Da un lato aprendo una visione tutto sommato positiva e carica di speranza su queste nuove opportunità, dall'altro indicandone anche i limiti e le cautele che occorre avere nel loro utilizzo, perché è facile che il mezzo diventi messaggio. In questi casi, anziché essere un veicolo che permette di comunicare con le persone in quanto tali, o comunicare alle persone ciò che ci sta veramente a cuore, si entra in una specie di realtà virtuale, nella quale scompaiono le persone e i valori, il senso, il significato di quello che si vuole comunicare finisce per essere "vaporizzato".

Sempre facendo riferimento a Milano, è nota l'iniziativa del cardinale Dionigi Tettamanzi di intervenire su youtube, per citare solo uno dei tanti esempi di presenza della Chiesa nei mass-media. La recente assemblea plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali e il discorso del Papa per tale occasione hanno ribadito la necessità di un'attenzione competente e costante a questo ambito. Come vede la crescita di questa attenzione nelle comunità locali? Quanto può questa moderna "rete" aiutare i successori dei "pescatori di uomini"?

Mi pare che, da quanto detto fin qui, da parte mia si riveli una visione abbastanza positiva e fiduciosa nelle opportunità che questi mezzi ci offrono. Siamo in un contesto nuovo. Come Paolo usò quella rete di comunicazioni sociali che era possibile utilizzare all'epoca dell'impero romano - e si potevano scrivere lettere per mandarle un po' in tutto il bacino del Mediterraneo - così credo che anche per noi, oggi, sia necessario che la Chiesa utilizzi questa nuova tecnologia della comunicazione. Aggiungo, però, che occorre essere anche molto coerenti e attenti al fatto che dentro questi strumenti può entrare soltanto una parte o, se si vuole, una sola fra le tante dinamiche che costituiscono il comunicare umano. Credo, in sostanza, che per quanto utile, veloce, pratica, efficace possa essere la comunicazione attraverso le nuove tecnologie, non potrà mai essere sostitutiva dell'incontro personale, del cammino comunitario, dell'ascolto pacato e meditato della parola, della riflessione profonda intorno a ciò che davvero conta nella vita.

Dunque torniamo ancora al concetto di equilibrio.

L'utilizzo quasi esclusivo o eccessivamente entusiastico di tale tecnologia comunicativa credo che potrebbe portare - e di fatto penso già attualmente porti - a una superficializzazione della comunicazione, a un'estenuazione dei contenuti e, soprattutto, a un'estraneità fra le persone. Questi mezzi che, per un verso ci aiutano a raggiungere centinaia di migliaia di persone e ad aprire la nostra comunicazione a tutto il mondo, possono portare all'indifferenza riguardo all'incontro fra le persone. Per quanto riguarda il messaggio cristiano non possiamo mettere in ombra una cosa per noi fondamentale:  imparare a vivere la vita come amore e servizio concreto gli uni per gli altri, in un contesto dove la prossimità, la vicinanza, il volto dell'altro sul quale io pongo i miei occhi sono assolutamente indispensabili.



(©L'Osservatore Romano 4-5 gennaio 2010)
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