A colloquio con monsignor Juan Usma Gómez, capo ufficio del dicastero vaticano

Conoscenza e dialogo
per costruire l'unità di tutti i cristiani


di Gianluca Biccini

Esperto conoscitore del movimento pentecostale, da pochi mesi monsignor Juan Usma Gómez è il nuovo capo ufficio del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. Colombiano, dell'arcidiocesi di Medellín, lavora da quindici anni al dicastero ecumenico. In quest'intervista al nostro giornale, alla vigilia della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, parla del "cambiamento" in atto negli ultimi tempi nelle relazioni tra cattolici e pentecostali, che - avverte - "forse non trovano eco sufficiente nei mass media".

Da zero a seicento milioni di fedeli in appena un secolo. Il pentecostalismo costituisce una sfida enorme per la Chiesa cattolica.

Innanzitutto puntualizziamo che in questa cifra rientrano anche i cento milioni del Rinnovamento nello Spirito Santo e delle comunità carismatiche, che appartengono a pieno titolo alla Chiesa cattolica. Resta comunque il fatto che si tratta non solo di una crescita numerica, ma anche di una diffusione, di una presenza in quasi tutte le Chiese e comunità ecclesiali. È una realtà trasversale e la seconda entità cristiana nel mondo.

E come sono i rapporti con la Chiesa cattolica?

Dopo i dissidi degli anni passati siamo ora in una nuova fase, soprattutto nel Continente latinoamericano, dove la sfida si avverte in modo maggiore. È stato infatti nel maggio 2007 ad Aparecida che per la prima volta, tra gli osservatori alla quinta Conferenza generale dell'episcopato latinoamericano e dei Caraibi, è stato invitato un cristiano pentecostale:  il teologo cileno Juan Sepúlveda, della Iglesia Misión Pentecostal. Una scelta favorita anche dall'impegno ecumenico di Benedetto XVI, che durante la messa per l'assunzione del ministero petrino indicò come priorità del suo Pontificato l'unità dei cristiani, ricorrendo all'immagine evangelica della "rete" del pescatore che purtroppo "ora si è strappata". Lo hanno confermato gli stessi evangelici latinoamericani, il settantacinque per cento dei quali sono pentecostali. Proprio ad Aparecida nel loro intervento comune, lo stesso Sepúlveda, la presbiteriana cubana Ofelia Ortega, il battista colombiano Harold Segura, il metodista argentino Néstor Míguez e il luterano brasiliano Walter Altmann hanno affermato di sentirsi chiamati in causa dall'invito di Papa Ratzinger a fondare nella lettura e nella conoscenza della Parola di Dio il nuovo risveglio missionario di cui hanno bisogno l'America Latina e i Caraibi.

Un'attenzione, quella di Benedetto XVI, confermata anche dalla sua recente nomina a capo ufficio del dicastero per l'unità dei cristiani?

Lo spirito di apertura e al contempo di fermezza del Pontefice è stato molto esplicito già durante la visita in Brasile. Il Papa ha ricordato ad Aparecida che per realizzare la vocazione ecumenica in mezzo al crescente pluralismo religioso e in un ambiente non sempre favorevole, per i cattolici "vale sempre il principio dell'amore fraterno e della ricerca di comprensione e di avvicinamento reciproci; ma anche la difesa della fede del nostro popolo".

Ma chi sono i pentecostali?

Con questo termine ci si riferisce a tutte quelle realtà che sostengono di aver avuto la stessa esperienza spirituale della piccola comunità afroamericana di Azusa Street a Los Angeles nel 1906:  una "effusione dello Spirito Santo" analoga a quella descritta negli Atti degli Apostoli. Simili eventi si verificarono in seguito anche nel Kansas, nel Galles, in Svezia e in Cile. All'inizio si trattò di un movimento di rinnovamento del protestantesimo che cercando un ritorno alle comunità delle origini, dette vita a vere e proprie denominazioni nel senso protestante del termine:  i cosiddetti pentecostali classici (1912). Con il passare degli anni, l'esperienza pentecostale fa irruzione all'interno delle diverse tradizioni cristiane senza condurre a divisioni; si parla dunque di pentecostali denominazionali o carismatici, dal 1950. In tempi recenti, sono sorti gruppi che non hanno legami con i pentecostali classici, né appartengono a una specifica tradizione ecclesiale; questi sono descritti come pentecostali non denominazionali, dal 1980. Tra queste diverse "correnti" vi è una situazione di influenza reciproca e, a volte, di interazione.

Facciamo esempi concreti per conoscerli meglio?

Tra i classici ci sono le assemblee di Dio e la Chiesa quadrangolare. I secondi sono presenti in tutte le Chiese cristiane. Tra i non denominazionali, o neopentecostali, case di preghiera e congregazioni nascono ogni giorno ovunque. In Europa il fenomeno è più evidente nei Paesi scandinavi, in Inghilterra e in Germania. Dal punto di vista numerico i gruppi più consistenti sono in America Latina, ma da quello proporzionale, cioè in base all'incidenza percentuale sul totale, allora le statistiche indicano soprattutto l'Asia. Queste realtà fioriscono in società cristiane e si presentano come il "momento dopo", cioè successivo alla prima evangelizzazione, che di solito viene portata dalle Chiese tradizionali.

Con delle eccezioni...

Certo. In alcune zone dello Zimbabwe, per esempio, i missionari pentecostali sono giunti in villaggi sperduti prima degli altri, prima di noi cattolici.

Quali sfide ci attendono?

Alla presenza sempre più consistente di questi gruppi non corrisponde una conoscenza adeguata da parte dei cattolici. Per qualche tempo, il problema è stato sottovalutato dicendo che si trattava di minoranze non significative. Poi si è passati a un confronto aperto, a volte aspro, fatto di mancanza di rispetto, accuse di proselitismo, persecuzioni. C'è dunque un lungo cammino da percorrere, poiché ancora oggi sembrano prevalere animosità e competizione, specie nel campo missionario. Non abbiamo superato le accuse reciproche. I sentimenti anticattolici e antievangelici sono all'ordine del giorno e i presupposti per le relazioni fraterne si dimostrano deboli dal punto di vista della mutua percezione, che continua a essere influenzata dai pregiudizi e dalla non conoscenza. Basti pensare che ancora oggi i pentecostali vengono indiscriminatamente considerati una setta.

Ma la situazione non presenta solo punti negativi?

Lentamente stiamo assistendo a un avvicinamento reciproco a vari livelli. La convivenza quotidiana ha fatto sì che si stabilissero relazioni di vicinanza e di fraternità che attenuano le differenze confessionali:  il condividere la stessa spiritualità pentecostale ha fatto in modo che si realizzassero sempre più frequenti atti di preghiera comune fra pentecostali e carismatici cattolici; situazioni sociali e catastrofi naturali hanno imposto di collaborare; studi secondari e universitari in centri cattolici hanno mitigato gli atteggiamenti negativi; e la partecipazione sempre più massiccia di teologi a simposi ecumenici internazionali ha portato a iniziative simili anche a livello nazionale e regionale.

Del resto in una società sempre più secolarizzata l'unione fa la forza.

Non tutto è stato frutto di costrizioni o conseguenza di effetti esterni. Ci sono stati gesti consapevoli di alto livello, che hanno mirato a migliorare lo stato delle cose. Bisogna riflettere anche su ciò che il rapporto con i pentecostali sta cambiando nella nostra identità cattolica. Compito urgente per coloro che si dedicano alla pastorale e per tutti i battezzati è riscoprire i nostri tesori.

Come entrare in dialogo?

Ci troviamo a un crocevia. Le cause sono diverse. Nella coscienza e nella percezione di molti cattolici il mandato missionario sembra entrare in collisione con quello dell'unità. Sembra quasi che i missionari escludano la vocazione ecumenica e che quanti si dedicano a promuovere l'unità rinuncino ad annunciare il Vangelo o lo presentino senza tener conto della propria tradizione. Ciò riguarda anche i nostri interlocutori poiché molti hanno lasciato la Chiesa cattolica e la maggior parte di essi nutre riserve e diffidenza verso di essa. Non meno complessi sono i sentimenti di alcuni cattolici che, consapevoli della ricchezza della loro fede, rifiutano per principio un confronto sincero, considerandolo inutile. Alla base di tali atteggiamenti ci sono complessi di superiorità o d'inferiorità, che difficilmente si conciliano con il clima di dialogo del Vaticano ii. D'altra parte, le motivazioni per un'apertura sono a loro volta discutibili poiché, accanto a un indebolimento progressivo delle frontiere confessionali, negli ultimi anni nelle società sta riscuotendo un consenso sempre maggiore l'opinione secondo la quale la religione si deve limitare alla sfera del privato e del benessere individuale. Di conseguenza si tende a pensare che la questione religiosa in generale e la divisione dei cristiani in particolare si possano risolvere per dissoluzione, rivestendole di "egualitarismo":  "tutte le religioni sono uguali", "ognuno crede in ciò che vuole", "ognuno può prendere da ogni tradizione quello che gli conviene o di cui ha bisogno".

Quali sono gli aspetti principali del modello proposto da loro?

La fede personale, la conversione individuale esplicita, l'esperienza vissuta, lo zelo apostolico, il fortissimo senso di appartenenza alla congregazione. Più che un sistema dottrinale, i pentecostali offrono un'esperienza spirituale. A tutto questo si deve anche aggiungere una grande adattabilità che permette loro di adottare diverse forme a seconda della cultura in cui si muovono.

Quali sono gli ostacoli nel rapporto con i cattolici?

I pentecostali vedono la loro esperienza come l'unica prodotta direttamente da Dio. Perciò, non sono disposti a riconoscere ad altri la stessa importanza. Secondo loro, la pienezza si raggiunge con il Battesimo nello Spirito. Quindi la differenziazione tra cristiani e pentecostali dipende dal possedere o meno lo Spirito in modo pieno, cioè secondo quanto viene descritto, con le stesse manifestazioni e modalità di Pentecoste, nel secondo capitolo degli Atti degli Apostoli. Il pentecostale è un nuovo soggetto religioso che sta plasmando una nuova cultura religiosa, anche se un pentecostale tipico normalmente non ne parla in modo esplicito, ma preferisce sottolineare il successo della sua opera missionaria che si traduce in "nuovi modelli di comportamento" dettati dai canoni biblici che, a loro volta, influenzano l'ordine sociale.
Problematico può essere considerato anche un altro fenomeno riguardante l'impatto che il pentecostalismo ha sulla realtà con la quale viene a contatto. Conosciamo comunità evangeliche e protestanti che, pur conservando il loro nome, mantengono ben poco della tradizione ecclesiale originaria dopo aver adottato la forma pentecostale; e altre che si sono divise in due o più fazioni opposte, una fedele alla tradizione d'origine, l'altra che predilige lo stile pentecostale, il quale "diluisce" spesso la tradizione precedente. Anche se non si può scordare l'altra faccia della medaglia, ovvero un influsso da parte delle diverse tradizioni delle Chiese storiche sul pentecostalismo.

Cosa possono insegnarci i pentecostali?

Tra gli aspetti positivi dei cambiamenti intervenuti nel mondo cristiano dalla comparsa del pentecostalismo ci sono il ruolo centrale dello Spirito Santo, il fatto che la conversione personale a Gesù sia richiesta in modo esplicito e continuativo durante tutta la vita, l'enfasi posta sulla preghiera e sul suo potere, la riscoperta dei carismi e dei doni spirituali come realtà operanti nell'esistenza di ogni credente. Essi possono aiutarci a rafforzare la nostra identità.

E dal punto di vista escatologico?

Un pentecostale vive nell'imminenza della seconda venuta del Signore, giudice giusto, e per questo motivo cerca di condurre tutti a Cristo, poiché tutti saranno giudicati colpevoli dell'incredulità dei propri vicini al momento del giudizio. Anche i cattolici professano di credere nella seconda venuta, ma talvolta smarriscono il senso dell'imminenza e la consapevolezza della loro responsabilità per la mancanza di fede di quanti li circondano:  ritengono la missione responsabilità di pochi.

Questo ha a che fare con la missione dell'evangelizzazione?

Un pentecostale deve essere membro attivo della sua congregazione. Mentre una parte dei cattolici vive in modo anonimo tale appartenenza. Questa può essere una provocazione salutare, perché ci spinge a domandarci:  può esistere una Chiesa cattolica dove la buona novella non è proclamata ogni giorno? È possibile nascondere Gesù e impedire di ascoltare la sua voce? Si tratta di un problema metodologico o abbiamo due Vangeli diversi, due Cristi diversi?

Come prosegue il cammino di riavvicinamento?

Il dialogo internazionale cattolico pentecostale, iniziato nel 1972 e giunto alla sua quinta fase, ha finora concentrato le discussioni intorno al divenire cristiano e lo ha fatto servendosi delle testimonianze bibliche e patristiche. Il rapporto On becoming a christian:  insights from Scripture and the Patristic writings. With some contemporary reflections, che illustra le relazioni sulla quinta fase del dialogo tra alcune chiese pentecostali classiche e leader della Chiesa cattolica dal 1998 al 2006, è una novità assoluta perché per la prima volta cattolici e pentecostali hanno studiato insieme i Padri della Chiesa, citandoli ampiamente nel documento.

E con i non denominazionali?

Accogliendo una loro richiesta e dopo un processo di preparazione di vari anni, il dicastero per l'unità dei cristiani ha tenuto delle conversazioni preliminari con un gruppo di leader nell'aprile 2008.

Dunque si può essere ottimisti per il futuro?

Le critiche rivolte ai cattolici non sono un'esclusiva dei pentecostali. Altri evangelici hanno una percezione simile nei nostri confronti. Ecco perché da un lato bisogna intervenire sulle ragioni che sono alla base del cambiamento di affiliazione tra i cattolici e dall'altro essere pronti a condividere con gli altri cristiani le nostre convinzioni ed esperienze di fede, la nostra tradizione, la nostra spiritualità e la diversità devozionale. Solo così possiamo parlare veramente di conoscenza reciproca, di dialogo, di collaborazione e di preghiera comune.



(©L'Osservatore Romano 17 gennaio 2010)
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