A colloquio con il musicologo Philip Gossett

Quando Verdi sbagliò
il testo del "Rigoletto"


Anticipiamo integralmente un'intervista che sarà pubblicata nel prossimo numero di "Vita e Pensiero", il bimestrale dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.

di Alessandro Gamba

Incontro Philip Gossett nella Sala Giuditta dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, poco prima che in Aula Magna presenti la sua ultima fatica musicologica:  la nuova edizione critica della partitura de Il barbiere di Siviglia di Rossini.

Professore, partirei domandandole qual è il suo rapporto con il segno, perché mi sembra che il cuore della sua attività giri intorno a questa nozione.


È vero. Il mio compito, la mia responsabilità professionale, è curare una edizione a stampa di musica. Si capisce perfettamente che si tratta di un punto di partenza per chi quella musica poi esegue. Infatti, è improprio dire:  "Quel musicista esegue un'edizione critica". Piuttosto è vero che si utilizza un'edizione critica come base testuale per un'esecuzione musicale.

Quel che dice equivale a una critica a coloro che affermano:  "Io eseguo quel che è scritto"?

Chi dice così fa male. Noi sappiamo che nella verità di una rappresentazione devono entrare così tanto nella musica, raggiungere un livello di immedesimazione così forte, che un margine di libertà è - me lo lasci dire - indispensabile. Il mestiere dell'esecutore è eccedente rispetto al segno scritto. Il lavoro di noi musicologi esprime un'altra preoccupazione:  che il lavoro del musicista possa cominciare, da un lato, su un dato testuale il più possibile corretto da errori; dall'altro, con una consapevolezza il più possibile profonda delle fonti storiche.

Quindi il lavoro del musicista...

È quello di trasformare una cosa che sta sulla carta in un'esperienza effettuale. Questo spiega, per altro verso, quale è - per tornare alla sua domanda d'esordio - il mio rapporto con il segno:  io aspetto fino al possibile il segno del compositore, ma so benissimo che quel segno non equivale a un'esecuzione.

Ha accennato ai compositori:  come entra spiritualmente in contatto con loro?

Sarei ridicolo se paragonassi il mio lavoro a quello di chi quando ha un dubbio alza la cornetta e telefona:  "Rossini, qui lei cosa ha voluto dire?". È invece principalmente una questione di studio. Bisogna studiare e ristudiare. Così, oggi, dopo più di quaranta anni di lavoro in questo campo, so qualcosa di più sulla modalità compositiva dei diversi autori. Tanto è vero che, con la consapevolezza e il bagaglio che possiedo adesso, quando in una partitura autografa vedo una cosa strana posso anche dire:  "Questo non va inteso così, bisogna capirlo in un altro modo", proprio sulla base di una maturata consuetudine con quel compositore.

Le partiture autografe contengono spesso correzioni.

Su questo la mia disciplina ha acquisito ormai un'esperienza enorme. Quando un compositore opera un cambiamento del segno musicale scritto, spesso lo accenna solamente, e a prima vista potrebbe sembrare qualcosa di incompleto. Per noi è allora legittimo sciogliere queste complicazioni e presentare la soluzione musicale che funziona, devo dire una cosa che sembrerà paradossale per uno che fa il mio mestiere, ma in realtà non lo è per nulla:  i compositori non hanno sempre ragione. Sappiamo che anche gli autori più prudenti a volte commettono errori. Faccio un esempio per chiarire questo punto. Quando Giuseppe Verdi scrive Rigoletto, si accorge che le vicende della seconda scena dell'opera (la notte che culmina nel rapimento della figlia di Rigoletto come atto di ritorsione di una parte della corte) non possono avvenire immediatamente dopo la prima scena; quest'ultima infatti è una festa di corte, che notoriamente durava sino all'alba. Verdi allora, insieme al suo librettista Francesco Maria Piave, rivede il testo di modo che la scena del rapimento si svolga la notte successiva. Questo implica che dove nella prima scena sta scritto "stanotte" si corregga in "domani". Problema:  i due hanno corretto tutti gli "stanotte", ma uno è loro sfuggito. E per decenni tutti hanno cantato questo errore facendosi scudo con l'affermazione:  "È stampato così". Ma è evidente che si tratta di un errore:  al controllo di Verdi è sfuggito uno "stanotte"! Ecco, una parte del nostro lavoro è ricostruire il perché e il come di certi mutamenti ed eventualmente far emergere dimenticanze o incoerenze.

Dunque i compositori, anche i più grandi, non sono i padroni assoluti delle proprie creazioni?

Certo, perché il compositore può arrivare sino all'espressione più chiara della propria volontà, ma non ha mai il controllo dell'esecutore. Faccio un altro esempio verdiano. Quando il melodramma Ernani (rappresentato per la prima volta a Venezia nel 1844) deve essere eseguito a Vienna, Verdi non può raggiungere la capitale austriaca per seguire le prove. Abbiamo una sua lettera al collega Gaetano Donizetti - che proprio a Vienna si trovava - in cui sta scritto:  "Maestro, ho inviato la mia partitura agli esecutori. Conto sul fatto che lei seguirà le prove. Se i cantanti avessero bisogno di qualche modifica nelle loro rispettive parti, la prego di accomodarli". Insomma, non è il finimondo se una nota viene cambiata per esigenze pratiche, e i primi a esserne consapevoli erano proprio i compositori. Non è tanto una questione di impotenza, quanto una concezione che prevede che il compositore sia sì colui che crea l'opera, ma anche colui che con chi la deve eseguire si rapporta cordialmente senza dogmatismi. Questo è stato il modo consueto di lavorare sino alla fine del xix secolo.

Come vede il ruolo - oggi spesso oggetto di culto - del direttore d'orchestra?

Era il compositore ad avere sulle spalle la responsabilità dell'esecuzione. Fino a quando è comparsa la figura del direttore d'orchestra come lo concepiamo oggi. Io stimo i direttori che sanno insistere sulle proprie idee, ma noto troppo spesso un'eccessiva arroganza.

Lei, oltre che essere un esperto, è anche un amante della musica. Quali sono i criteri con cui - da ascoltatore - giudica gli esecutori?

È una bella domanda. Non ho una risposta "giusta", ma ciò che mi sta a cuore è anzitutto che non venga tradito lo stile del compositore. Per il resto, cerco ciò che cercano tutti gli altri ascoltatori:  l'abilità di trasformare la linea musicale in uno strumento di espressione.



(©L'Osservatore Romano 13 marzo 2010)
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