Intervista all'arcivescovo di Nagasaki, Joseph Mitsuaki Takami

Le radiazioni scuotono la coscienza del Giappone


di ROBERTO SGARAMELLA

"L'evoluzione degli avvenimenti all'interno della centrale atomica di Fukushima, il sacrificio di quanti sono impegnati nell'opera di spegnimento dei generatori e le radiazioni che rischiano d'inquinare per sempre l'ambiente circostante ci preoccupano molto ma questi sentimenti non prevalgono sul profondo dolore per le migliaia di vittime del terremoto e dello tsunami". Questo è quanto dichiara monsignor Joseph Mitsuaki Takami, arcivescovo di Nagasaki, nel corso dell'intervista a L'Osservatore Romano. Su questa tragica vicenda, il presule giapponese dimostra forte sensibilità per i lutti e le sofferenze causati dal disastro naturale e pone attenzione sui rischi di contaminazione per le emissioni radioattive dalla centrale atomica il cui livello di sicurezza rimane ancora una incognita.

Monsignor Takami, lei afferma di essere preoccupato per i problemi causati dalla centrale di Fukushima. Trova forse un'anologia tra lo shock subìto dagli abitanti di Nagasaki per l'esplosione dell'atomica e l'allarme per i danni causati dalle fughe di radiazioni nella centrale atomica?

Assolutamente no. I tragici bombardamenti di Hiroshima e di Nagasaki furono legati agli eventi bellici. L'attuale situazione è invece una conseguenza di un grave disastro naturale che tuttavia poteva avere conseguenze meno devastanti se ci fosse stata una maggiore prevenzione. Certo è innegabile che lo shock provocato dagli ordigni atomici di Nagasaki e di Hiroshima permane ancora oggi per le atroci conseguenze subìte da chi venne colpito dalle radiazioni. Penso che sia comprensibile che quanto sta avvenendo alla centrale di Fukushima colpisca profondamente i tanti che hanno impresse nella memoria le sofferenze delle radiazioni. L'incidente della centrale atomica è solo il più recente di una lunga serie che ha colpito gli impianti atomici in Giappone dal 1981 ad oggi.

Cosa sta facendo la sua diocesi per aiutare le vittime del disastro?

Partecipiamo a tutte le iniziative avviate dalla Caritas del Giappone. In più stiamo inviando volontari della nostra diocesi esperti in aiuti umanitari. Non dubitiamo certo sull'efficienza degli aiuti già in atto, ma vogliamo dare un apporto diretto a quanti si trovano in una condizione di urgente bisogno. L'aiuto proveniente da chi è discendente diretto delle vittime della bomba atomica può avere un forte valore di testimonianza.

Lei ha detto che l'incidente alla centrale di Fukushima è il più recente di una lunga serie. Crede che la tecnologia nucleare non sia così sicura?

Non posso rispondere perché non sono un esperto di energia atomica. Tuttavia, devo constatare la lunga serie d'incidenti avvenuti in Giappone prima dell'attuale: dal 1981, con la fuga di radioattività nell'impianto di Tsuruga, fino a quello del luglio 2007 che ha riguardato l'impianto di Kashiwazaki-Kariwa, la più grande centrale atomica del mondo che fornisce energia a venti milioni di abitanti. Anche qui l'incidente è avvenuto in seguito ai danneggiamenti alle strutture causate da un terremoto. Ha preso fuoco un trasformatore elettrico che ha provocato la fuoriuscita di milleduecento litri di acqua radioattiva che si sono riversati nel Mar del Giappone. L'allora direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), El Baradhei, aveva dichiarato che il sisma "era stato più forte di quello per cui la centrale era stata progettata". C'è il fondato sospetto che la faglia sismica passi sotto la centrale.

Attualmente è possibile che il Giappone rinunci all'uso delle centrali atomiche?

Non è assolutamente realistico! Nel Paese sono in funzione cinquantadue impianti a propulsione nucleare che forniscono un quarto dell'energia totale. Bloccarli significherebbe provocare uno shock all'economia. Certo è possibile migliorare gli standard di sicurezza e incentivare lo sviluppo di altre fonti energetiche più sicure. Come vescovo posso dire che l'energia è un dono di Dio all'uomo e che deve essere usata solo per il bene comune.



(©L'Osservatore Romano 23 marzo 2011)
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