Index

  Back Top Print

INCONTRO "LA PROTEZIONE DEI MINORI NELLA CHIESA"
[VATICANO, 21-24 FEBBRAIO 2019]

Aula Nuova del Sinodo
Giovedì, 21 febbraio 2019

[Multimedia]


 

3a Relazione a cura del Sig. Card. Rubén Salazar Gómez *

 

LA CHIESA IN UN MOMENTO DI CRISI 

RESPONSABILITÀ DEL VESCOVO  

AFFRONTARE I CONFLITTI E LE TENSIONI
E AGIRE CON DECISIONE

  

Cardinale Rubén Salazar Gómez
Arcivescovo di Bogotá

  

INTRODUZIONE/CONTESTUALIZZAZIONE 

Santo Padre, eminenze, eccellenze, fratelli e sorelle,

Nel corso della giornata abbiamo risposto ad una domanda molto concreta di fronte alla crisi che stiamo vivendo nella Chiesa. Qual è la responsabilità del vescovo? Per poter comprendere questa responsabilità e assumerla, è indispensabile cercare di classificare, per quanto possibile, la natura della crisi.

Una breve analisi di ciò che è accaduto ci permette di rilevare che non si tratta solo di deviazioni o patologie sessuali in coloro che commettono abusi, ma che c'è una radice più profonda che è il travisamento del significato del ministero convertito in mezzo per imporre la forza, per violare la coscienza e i corpi dei più deboli. E questo si chiama clericalismo.

Anche analizzando il modo in cui in generale si è risposto a questa crisi, scopriamo di avere avuto a che fare con una comprensione sbagliata del modo di esercitare il ministero, e questa comprensione sbagliata ha portato a commettere gravi errori di autorità che hanno ingigantito la gravità della crisi. Anche questo si chiama clericalismo.

È questa realtà che il Santo Padre Francesco descrive nella sua lettera al popolo di Dio nell’agosto dello scorso anno: "Questo si manifesta chiaramente in una maniera anomala di intendere l'autorità nella Chiesa - molto comune in numerose comunità in cui si sono verificati comportamenti di abuso sessuale, di potere e di coscienza - quale è il clericalismo dice il Santo Padre. Dire no all'abuso, è dire energicamente no a qualsiasi forma di clericalismo".

Parole chiare che ci spingono ad andare alla radice del problema per poterlo affrontare. Ma non è facile “dire energicamente no a qualsiasi forma di clericalismo", perché è una mentalità che ha permeato la nostra Chiesa negli anni e che, quasi sempre, non siamo consapevoli sia alla base del nostro modo di concepire il ministero e di agire nei momenti decisivi. Questa osservazione significa che si rende necessario smascherare il clericalismo di fondo e realizzare un cambiamento di mentalità che, espresso in termini più precisi, in termini biblici, si chiama conversione.

La nostra responsabilità si esprime fondamentalmente in una meticolosa coerenza tra le nostre parole e le nostre azioni. E per questo è necessaria una profonda revisione della mentalità che sta dietro alle parole affinché le nostre parole e le nostre azioni siano quelle che corrispondono alla volontà di Dio in questo momento della Chiesa.

Questo invito alla conversione è rivolto a tutta la Chiesa, ma prima di tutto a noi che siamo i suoi pastori.

I. LA RESPONSABILITÀ DEL VESCOVO ALLA LUCE DELL'UFFICIO RICEVUTO E LA SUA CORRESPONSABILITÀ COME MEMBRO DEL COLLEGIO EPISCOPALE SOTTO LA SUPREMA AUTORITÀ DELLA CHIESA

1.1. La responsabilità del vescovo come pastore

Come Vescovi, la Nostra responsabilità inizia nell’accrescere costantemente la consapevolezza che, da soli, non siamo nulla, non possiamo nulla, dal momento che non siamo noi che abbiamo scelto il ministero, ma il Signore che ci ha scelto (cfr. Gv 15,16´18) per rendere presente la sua salvezza con la potenza dell'azione ecclesiale, senza offuscare la sua presenza con le tenebre della nostra contro-testimonianza.

Consapevoli di questo compito, dobbiamo ammettere che molte volte la Chiesa - nelle persone dei suoi vescovi - non ha saputo e ancora, a volte, non sa comportarsi come deve per affrontare con rapidità e decisione la crisi causata dagli abusi. Molte volte si procede come i lavoratori salariati che, vedendo arrivare il lupo, fuggono lasciando il gregge incustodito. E fuggono in molti modi: cercando di negare la dimensione delle denunce presentate, non ascoltando le vittime, ignorando i danni causati in coloro che subiscono gli abusi, trasferendo gli accusati in altri luoghi dove essi continuano ad abusare o cercando di giungere a compromessi monetari per comprare il silenzio. Agendo in questo modo, manifestiamo chiaramente una mentalità clericale che ci porta a mettere il mal compreso bene dell'istituzione ecclesiale davanti al dolore delle vittime e delle esigenze della giustizia; a mettere al di sopra della testimonianza delle persone colpite le giustificazioni dei colpevoli; a mantenere un silenzio che mette a tacere il grido di dolore delle vittime per non affrontare lo scandalo pubblico che può provocare una denuncia davanti all'autorità civile o ad un processo; ad adottare misure controproducenti che non tengono conto del bene delle comunità e dei più vulnerabili; ad affidarsi esclusivamente alla consulenza di avvocati, psichiatri e specialisti di ogni tipo, trascurando il senso profondo della compassione e della misericordia; ad arrivare addirittura a mentire o a travisare i fatti per non confessare l'orribile realtà che si presenta.

Una manifestazione di questa mentalità si manifesta anche nella tendenza ad affermare che la Chiesa non è e non deve essere soggetta al potere dell'autorità civile, come gli altri cittadini, ma che possiamo e dobbiamo gestire tutte le nostre questioni all'interno della Chiesa governati esclusivamente dal diritto canonico, e addirittura giungere a considerare l'intervento dell'autorità civile come un'indebita ingerenza che, in questi tempi di crescente secolarismo, sembra avere tinte di persecuzione contro la fede.

Dobbiamo riconoscere questa crisi in profondità, riconoscere che il danno non è fatto da esterni, ma che i primi nemici sono all’interno, tra i vescovi, i sacerdoti e le persone consacrate che non siamo stati all'altezza della nostra vocazione. Dobbiamo riconoscere che il nemico è dentro.

Riconoscere e affrontare la crisi - superando la nostra mentalità clericale - significa anche non minimizzarla affermando che gli abusi si verificano su larga scala in altre istituzioni. Il fatto che avvengano abusi in altre istituzioni e gruppi non giustifica mai la presenza di abusi nella Chiesa perché contraddice l'essenza stessa della comunità ecclesiale e costituisce un mostruoso travisamento del ministero sacerdotale che, per sua propria natura, deve cercare il bene delle anime come suo fine supremo. Non vi è alcuna giustificazione possibile per non denunciare, per non smascherare, per non affrontare con coraggio e fermezza qualsiasi abuso si presenti all’interno della nostra Chiesa.

Dobbiamo anche riconoscere che il ruolo svolto dalla stampa, dai media e dai social network è stato molto importante nell’aiutarci a non scansare ma ad affrontare la crisi. I media svolgono un lavoro prezioso in questo senso che deve essere sostenuto. Papa Francesco ce lo dice chiaramente nel suo discorso di Natale alla Curia:“Parlando di questa piaga alcuni all'interno della Chiesa si infervorano contro certi operatori della comunicazione, accusandoli di ignorare la stragrande maggioranza dei casi di abusi, che non sono commessi dai chierici della Chiesa - le statistiche parlano di più del 95% - e accusandoli di voler intenzionalmente dare una falsa immagine, come se questo male avesse colpito solo la Chiesa cattolica. Invece io vorrei ringraziare vivamente quegli operatori dei media che sono stati onesti e oggettivi e che hanno cercato di smascherare questi lupi e di dare voce alle vittime. Anche se si trattasse di un solo caso di abuso - che rappresenta già di per sé una mostruosità - la Chiesa chiede di non tacere e di portarlo oggettivamente alla luce, perché lo scandalo più grande in questa vicenda è quello di coprire la verità”.

Senza dubbio, abbiamo fatto molto per affrontare la crisi degli abusi. Tuttavia, se non fosse stato per la preziosa insistenza delle vittime e la pressione esercitata dai media, forse non avremmo deciso di affrontare questa crisi vergognosa come è stato fatto. È così profondo il danno causato, così profondo il dolore inflitto, sono così enormi le conseguenze degli abusi che si sono verificati nella Chiesa, che non potremo mai dire di avere fatto tutto il possibile e la nostra responsabilità ci porta a lavorare ogni giorno affinché gli abusi non si presentino mai più nella Chiesa e affinché quelli che alla fine si presentano ricevano la punizione e la riparazione richiesta.

1.2 La responsabilità del vescovo come membro del collegio episcopale sotto la suprema autorità della Chiesa

Nella gestione della crisi e nel processo di conversione che deve intraprendere per poterla affrontare, il vescovo non è solo. Il suo ministero è un ministero collegiale. Con la sua ordinazione episcopale, il vescovo entra a far parte del collegio formato da tutti i successori degli apostoli sotto la guida e l'autorità del successore dell'apostolo Pietro. Più che mai dobbiamo sentirci chiamati a rafforzare i nostri legami fraterni, ad entrare nel vero discernimento comunitario, ad agire sempre con gli stessi criteri e a sostenerci reciprocamente nel processo decisionale. La nostra forza dipende, senza dubbio, dalla profonda unità che segna il nostro essere e agire.

Per aiutarci in questo compito i Papi ci hanno illuminato con le loro parole e i diversi dicasteri della Curia romana hanno emanato disposizioni che ci indicano la strada che dobbiamo percorrere. Sappiamo già come procedere, ma sembra auspicabile che al vescovo venga offerto un "Codice di condotta" che, in armonia con il "Direttorio per i vescovi", mostri chiaramente quale debba essere la condotta del vescovo nel contesto di questa crisi. Papa Francesco, nella sua lettera apostolica in forma di Motu Proprio "Come una madre amorevole", ci presenta l’esigenza dell'azione del vescovo e della sua rimozione dall’incarico in caso di grave negligenza dimostrata in questi casi. Il "Codice di condotta" verrà a chiarire e ad esigere da noi la condotta che è propria del vescovo. La sua obbligatorietà sarà una garanzia per tutti noi di agire all'unisono e nella giusta direzione, visto che ci permette di avere un controllo chiaro sulla nostra condotta e ci fornisce indicazioni concrete per le misure correttive che siano necessarie. Sarà anche una guida per la Chiesa e per la società che permetterà a tutti di guardare correttamente il modo di procedere del vescovo nei casi specifici e potrà dare a tutti noi la fiducia che stiamo lavorando bene. Sarà anche un modo concreto per rafforzare la comunione che nasce dalla collegialità episcopale.

Dall’altro canto, la formazione continua del vescovo è stata una preoccupazione costante della Chiesa. I tempi che cambiano presentano nuove sfide alle quali il vescovo deve rispondere e per questo è necessario un continuo aggiornamento. Nella nostra azione di fronte a questa crisi dobbiamo anche stare in un processo permanente di aggiornamento, formazione, istruzione, in modo che la nostra risposta sia sempre quella giusta e questo su base obbligatoria, poiché dobbiamo mostrare al mondo una perfetta unità nella risposta.

Tutto questo ci porta a concludere che ancora una volta la crisi è una chiamata ad una conversione che arrivi nel profondo del nostro agire ecclesiale. L'incontro che stiamo vivendo è un chiaro segno e una reale opportunità per crescere in questo spirito di comunione.

II. LA RESPONSABILITÀ DEL VESCOVO NEI CONFRONTI DEI SUOI SACERDOTI E DELLE PERSONE CONSACRATE

La responsabilità del vescovo si prolunga nella responsabilità per la santificazione dei sacerdoti e delle persone consacrate. Questa responsabilità abbraccia un ampio raggio d'azione perché deve essere compresa nel contesto di un processo che inizia con il discernimento della vocazione nei futuri sacerdoti e consacrati, prosegue nella formazione iniziale e deve accompagnare l'intera esistenza di coloro che sono stati chiamati ad una vita di dedizione totale al servizio della Chiesa. Alla luce della crisi scatenata dalle denunce di abusi sessuali da parte dei chierici, questa responsabilità ha acquisito dimensioni particolari, in cui la vicinanza del vescovo si rivela indispensabile. Il dialogo permanente - di amico, fratello, padre - che permette al vescovo di conoscere i suoi sacerdoti e di accompagnarli nelle loro gioie e dolori, nelle loro conquiste e fallimenti, nelle loro difficoltà e successi, è il cammino permanente che il vescovo deve seguire nel rapporto con i suoi sacerdoti.

Come vescovi, dobbiamo adempiere al nostro dovere di affrontare immediatamente la situazione che nasce a partire da una denuncia contro un sacerdote o un consacrato. Ogni denuncia deve innescare immediatamente le procedure che sono indicate sia nel diritto canonico che nel diritto civile di ogni nazione, secondo le linee guida stabilite da ogni conferenza episcopale. Ci aiuterà distinguere sempre tra il peccato soggetto alla divina misericordia, il crimine ecclesiale soggetto alla legislazione canonica e il crimine civile soggetto alla corrispondente legislazione civile. Si tratta di campi che non devono essere confusi e che, se adeguatamente distinti e separati, ci consentono di agire con piena giustizia. Oggi ci è chiaro che qualsiasi negligenza da parte nostra può comportare sanzioni canoniche, compresa l'espulsione dal ministero, e sanzioni civili che possono anche portare all'incarcerazione per occultamento o complicità.

Durante tutto il processo canonico, è essenziale che l'imputato sia ascoltato. La vicinanza generosa del vescovo è un primo passo verso il recupero del colpevole. La coscienziosa osservanza delle linee guida tracciate dalla propria Conferenza episcopale permette al vescovo di tracciare per la sua diocesi il percorso da seguire nei vari casi di accusa di abuso da parte di un chierico. Dalla particolare attenzione prestata a questa attuazione dipenderà in larga misura che i processi possano essere eseguiti con piena giustizia. Ma non è sufficiente perseguire e condannare l'imputato, quando sia provata la colpa, è anche necessario esaminare il suo trattamento perché non abbia ricadute.

Il modo concreto in cui la giustizia viene attuata nei diversi processi a carico dei chierici che commettono abusi è una delle chiavi per poter superare la crisi per quanto concerne la salute dei presbiteri, visto che spesso si sente dire: "Dove sono i diritti dei sacerdoti? Il fatto che vi siano casi di sacerdoti e consacrati accusati non può, in nessun caso, condurci a giustificare il comportamento sbagliato dei colpevoli. Nelle indagini precedenti, nei processi canonici e civili che sono stati aperti, è stata e deve sempre essere una preoccupazione quella di salvaguardare i diritti inalienabili dei possibili colpevoli. Inoltre, spesso è stata la paura di violare questi diritti a portare ad azioni che sono state in seguito valutate come insabbiamenti e complicità. Tuttavia, dobbiamo avere chiaro che i diritti dei colpevoli - ad esempio, alla loro buona reputazione, all'esercizio del loro ministero, a continuare a condurre una vita normale nella società - non possono mai avere la precedenza sui diritti delle vittime, dei più deboli, dei più vulnerabili.

III. LA RESPONSABILITÀ DEL VESCOVO VERSO IL POPOLO SANTO FEDELE DI DIO

Qual è stata la reazione dei cattolici di fronte allo scandalo degli abusi da parte del clero e dei consacrati? La risposta non può essere univoca, ma ancora una volta si è notato che per la stragrande maggioranza dei cattolici e non cattolici la Chiesa si identifica con i sacerdoti e con i consacrati. È la Chiesa ad essere ritenuta responsabile di ciò che è accaduto. Questa realtà deve spingerci a realizzare una crescente vicinanza al popolo di Dio, che è chiamato a crescere ogni giorno nella sua coscienza di appartenenza alla Chiesa e di corresponsabilità verso di essa.

Nel contesto di questa vicinanza al popolo di Dio, dobbiamo collocare il nostro approccio alle vittime di abuso. E il nostro primo dovere è ascoltarle. Uno dei peccati commessi all'inizio della crisi è stato proprio quello di non aver ascoltato con apertura del cuore coloro che denunciavano di essere stati abusati dai chierici.

L'ascolto delle vittime inizia con il non minimizzare i danni causati e il dolore provocato. In molti casi si è arrivati a pensare che l'unico motivo a spingere alle denunce fosse la richiesta di un risarcimento economico. "L'unica cosa che cercano sono i soldi", si usava ripetere. Non c'è dubbio che a volte le accuse sono orchestrate. Non vi è inoltre alcun dubbio che in molte occasioni si è tentato di ridurre il risarcimento delle vittime a un indennizzo senza tener conto della reale portata di tale risarcimento. E non c'è dubbio che in molte occasioni abbiamo anche ceduto alla tentazione di cercare di risolvere situazioni insostenibili con il denaro per mettere a tacere il possibile scandalo. Questa realtà dannosa non può tuttavia impedirci di prendere coscienza della grave e seria responsabilità che abbiamo nella riabilitazione delle vittime. Il denaro non può mai riparare i danni causati, ma diventa necessario in molti casi affinché le vittime possano seguire i trattamenti psicoterapeutici di cui hanno bisogno e che generalmente sono molto costosi, alcuni non sono riusciti a riprendersi dai danni causati e non sono in grado di lavorare e hanno bisogno di sostegno economico per sopravvivere, e per alcuni il riconoscimento pecuniario diventa parte di un riconoscimento del danno causato. E' chiaro che siamo obbligati ad offrire loro tutti i mezzi necessari - spirituali, psicologici, psichiatrici, sociali - per il recupero richiesto.

La responsabilità del vescovo è molto ampia, copre molti campi, ma è sempre inevitabile.

CONCLUSIONE

San Giovanni Paolo II nel discorso ai cardinali americani nel 2002 ha dato la direzione essenziale che devono avere tutti i nostri sforzi per superare la crisi attuale: "Tanto dolore e tanto dispiacere devono portare a un sacerdozio più santo, ad un episcopato più santo e ad una Chiesa più santa”. Con l'aiuto del Signore e con la nostra docilità alla sua grazia faremo in modo che questa crisi porti ad un profondo rinnovamento di tutta la Chiesa con vescovi più santi, cioè più consapevoli della loro missione di pastori e padri del gregge; con sacerdoti e consacrati più santi, cioè più consapevoli del loro servizio esemplare per il popolo di Dio; con un popolo di Dio più santo, cioè più consapevole della sua corresponsabilità nel costruire permanentemente una Chiesa di comunione e partecipazione, dove i bambini e gli adolescenti, e tutte le persone, trovino sempre un luogo sicuro che favorisca la loro crescita umana e il modo di vivere nella fede. In questo modo contribuiremo a sradicare la cultura dell'abuso nel mondo in cui viviamo. Grazie.


* Traduzione di lavoro