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CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA

SANTA MESSA CELEBRATA NEL CENTENARIO
DELLA RIPRESA DELL'ATTIVITÀ ACCADEMICA
DELLA PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA
DI SAN BONAVENTURA "SERAPHICUM"

OMELIA DEL CARD. ZENON GROCHOLEWSKI

Cappella del Collegio Internazionale, Roma
Sabato, 11 marzo 2006

 

Con grande soddisfazione ho accolto l'invito a presiedere questa solenne Concelebrazione e ad accompagnarVi in tal modo nella Festa di questa Pontificia Facoltà Teologica "San Bonaventura", unita alla commemorazione del centenario della ripresa dell'attività accademica di questo centro di studi, dopo la sua sospensione nel 1873 per le note leggi eversive. Saluto quindi cordialmente il Gran Cancelliere, Padre Joachim Anthony Giermek, il Rev.mo Preside, Padre Zdzislaw Kijas, tutto il corpo docente e amministrativo, studenti, collaboratori ed amici della Facoltà.

Esprimo per l'odierna circostanza, anche da parte della Congregazione per l'Educazione Cattolica, vivi rallegramenti e i migliori auguri di ulteriore consolidamento e sviluppo di questo centro di studi ecclesiastici dei Frati Minori Conventuali.

Non si può in questa celebrazione non ricordare che la vostra Facoltà è avvalorata da una lunga e gloriosa tradizione, in quanto le sue radici rimontano agli antichi Studi Generali, che fiorivano nell'Ordine fin dalla prima metà del secolo XIII e specialmente al Pontificio Collegio di San Bonaventura fondato da Sisto V nel 1587.

Il motivo della mia soddisfazione nell'essere oggi qui presente, però, è soprattutto altro, ossia la specificità di questa Facoltà, caratterizzata, da una parte, dal rigore scientifico nel coltivare la teologia e, d'altra parte, dall'avvolgere questo studio, secondo la sensibilità francescana, nella prospettiva sapienziale e spirituale.

Questo approccio ha caratterizzato fortemente anche San Bonaventura (1217 ca.-1274) che da dato il nome alla vostra Facoltà e che quindi rimane per voi una costante ispirazione e il punto di riferimento. Egli, di sottile ingegno, dopo aver completato gli studi a Parigi, che era capitale intellettuale dell'Europa del Medioevo, quindi già uomo di cultura, entrò nell'Ordine francescano attratto dalla semplicità, dall'umiltà e dalla freschezza dei seguaci del Poverello di Assisi. Si diceva che era il frate più colto di tutto l'Ordine. Ha dato un contributo importantissimo alla teologia. La considerava, da una parte, vera scienza, anche se "sui generis", in quanto subordinata alla fede.

Essa però, d'altra parte, è rimasta per lui fondamentalmente sapienza, perché mira ad amare Dio, alla unione con Lui già in questa vita, mira all'esperienza mistica. Padre Giovanni Iammarrone ha sintetizzato ciò, scrivendo:  "È il merito di Bonaventura aver connesso intimamente teologia scientifica e mistica, facendo della prima la premessa della seconda e di questa il marchio di autenticità della logica e della verità di quella, il tutto in un'atmosfera di visione sapienziale serafica della vita" (Dizionario dei Teologi, Ed. Piemme, Casale Monferrato 1998, 214).

Ambedue gli aspetti, ossia quello scientifico e quello sapienziale, sono di grande importanza nell'impegno teologico. La prima lettura dell'odierna Messa (Sap 8, 2-7.16-18) ci invita, però, a rivolgere la nostra attenzione particolarmente alla dimensione sapienziale, il marchio spirituale della teologia, della quale purtroppo talvolta oggi ci si dimentica e senza la quale la teologia rischia di perdere tutto il suo sapore genuino e di degradarsi ad una semplice "scienza sulla religione".

a. Ecco le principali costatazioni del testo che abbiamo letto: 

- La sapienza è una realtà di impronta divina:  "Essa manifesta la sua nobiltà, in comunione di vita con Dio, perché il Signore dell'universo l'ha amata". Anzi, "essa [...] è iniziata alla scienza di Dio e sceglie [ci spinge a scegliere] le opere sue".

- Questa sapienza viene indicata come la "più grande" ricchezza nella vita dell'uomo, "ricchezza inesauribile".

- Essa è una forza operativa. Essa "tutto produce", è "più artefice" dell'intelligenza.

- Insegna le virtù:  "Essa insegna infatti - leggiamo nel testo - la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza [ossia le quattro virtù cardinali], delle quali nulla è più utile agli uomini nella vita". Quindi, se uno la ama, "le virtù sono il frutto delle sue fatiche".

- "La sua compagnia non dà amarezza, né dolore la sua convivenza, ma contentezza e gioia".

- Inoltre, "nell'unione con la sapienza c'è l'immortalità".

b. Leggendo, però, questo brano e volendo che esso sia di nutrimento per noi oggi, non possiamo fermarci qui. Sarebbe troppo limitativo. Dobbiamo alzare gli occhi. Nel frattempo, infatti, ha avuto luogo l'evento di Gesù di Nazareth. È stato giustamente osservato che la dottrina sulla sapienza, che nel libro da cui è stato tratto il nostro brano raggiunge gli ultimi sviluppi, è come il prodromo dell'insegnamento del Nuovo Testamento, l'ultimo passo verso la rivelazione cristiana, che presenta Cristo stesso come Sapienza di Dio, incarnata fra gli uomini, la fonte della vita e della felicità eterna. A sua volta, il Nuovo Testamento aiuta a capire la dottrina dell'Antico sulla sapienza (cfr ad es. s. Garofalo, Introduzione al libro della Sapienza, in La Sacra Bibbia, Edizione ufficiale della CEI, Ed. Paoline, Roma 1980, p. 643).

Soprattutto san Paolo nella prima lettera ai Corinzi espone la relativa verità del Nuovo Testamento in modo molto espressivo, contrapponendo la sapienza di Dio a quella degli uomini:  "Mentre [...] i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso [...] stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati [...] sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini" (1, 22-25). Sì, Cristo Gesù "per opera di Dio è diventato per noi sapienza" (1, 30). Quindi san Paolo si vanta davanti ai Corinzi:  "Quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso" (2, 1-2). E spiega l'Apostolo: 

- Si tratta "di una sapienza che non è di questo mondo [...] di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta" (2, 6-7),

- ma che Dio ha rivelato a noi per mezzo dello Spirito (cfr 2, 10).

- Questa sapienza è stata preordinata da Dio "per la nostra gloria" (2, 7).

- Dio ha preparato questa sapienza "per coloro che lo amano" (2, 9), quindi non la può comprendere l'uomo carnale, ma solo l'uomo spirituale, ossia aperto allo Spirito di Dio (cfr 2, 15-16).

Ammonisce poi san Paolo "Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente; perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio" (3, 18-19).

c. Avendo presenti le menzionate affermazione (della prima lettura e di san Paolo) circa la sapienza, niente di strano che l'autore del libro della Sapienza dica, come abbiamo sentito:  "Questa ho amato e ricercato fin dalla mia giovinezza, ho cercato di prendermela come sposa, mi sono innamorato della sua bellezza [...] Ritornerò a casa, riposerò vicino a lei [...] andavo cercando come prenderla con me". E san Paolo esploderà:  "Per me infatti il vivere è Cristo" (Fil 1, 21), "Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2, 20).

Questi sono atteggiamenti di ogni autentico teologo.

Non siamo chiamati a coltivare la nostra saggezza, la nostra dottrina, ma a scrutare umilmente e trasmettere agli altri la sapienza di Dio. Dobbiamo quindi amarla, cercare di prenderla come sposa, riposare vicino a lei. Se Cristo morto e risorto è la vera sapienza, dobbiamo convivere con Cristo intimamente, come condizione indispensabile per comprendere la sua saggezza. Infatti, non si possono conoscere le verità della fede con il solo impegno intellettuale, ci vuole unione con Dio, la preghiera, la contemplazione.

Inoltre, per comprendere le verità della fede, ossia la sapienza divina, è necessario anche lasciarsi coinvolgere da esse, cioè cercare di viverle, realizzarle sempre più intensamente nella nostra quotidianità. Infatti, come dice san Paolo, "l'uomo carnale non comprende le cose dello Spirito di Dio [...] e non è capace di intenderle" (1Cor 2, 14).

Solo tale atteggiamento verso la verità di Cristo può renderci veri maestri nella teologia, servitori della sapienza divina, portatori della vera luce capace di trasformare il mondo, condurre a Dio. Solo tale atteggiamento può spronare il dinamismo apostolico, la vera evangelizzazione.

Così ci siamo avvicinati al Vangelo che abbiamo ascoltato (Mt 5, 13-19): "Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo".

La teologia, senza intima unione con Dio e senza la conseguente realizzazione della sapienza di Dio nella vita, sarebbe il sale che ha perso sapore, irrilevante nel giardino della Chiesa, inefficace nella prospettiva dell'evangelizzazione.

Vi auguro, quindi, che la vostra Facoltà sia segnata dal costante progresso sia nello studio sia, e non di meno, nella santità. Nella Lettera Apostolica Novo Millennio ineunte (6 gennaio 2001), Giovanni Paolo II fra le priorità pastorali nel nuovo millennio ha messo al primo posto proprio la santità: "E in primo luogo non esito a dire che la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità" (n. 30a). Non sono parole dettate da una superficiale devozione, ma da un rigoroso realismo evangelico. E se tutti sono chiamati a riprendere un cammino di santità, ci sono ragioni serie che i teologi si sentano chiamati a ciò in modo particolare e lo prendano seriamente a cuore.

Studio e santità, non uno accanto all'altro, ma queste due realtà si devono penetrare a vicenda, convivere, crescere insieme.

Di esempio vi sia san Bonaventura. La sua grandezza infatti, come ho accennato all'inizio, sta nell'aver fatto unire lo sforzo intellettuale con l'unione con Dio e con la realizzazione della sapienza divina nella propria vita. Questo è stato anche fonte del suo dinamismo apostolico. Grazie a questa realtà, ha arricchito la Chiesa ed è diventato luce chiara, illuminante, attraente ed efficace.

Prego il Signore che ciò si realizzi nella vostra Facoltà.

 

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