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SANTA MESSA IN OCCASIONE DELLA FESTA PATRONALE
DI SAN GIUSEPPE CALASANZIO, FONDATORE E PATRONO DEI PADRI SCOLOPI
NEL 450° ANNIVERSARIO DELLA SUA NASCITA

OMELIA DEL CARD. ZENON GROCHOLEWSKI

Chiesa di San Pantaleo, Roma
Sabato, 25 agosto 2007

 

Come Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica sento una vera gioia nel presiedere, in questa chiesa, l'Eucaristia, nella festa patronale di San Giuseppe Calasanzio (1557-1648), durante l'Anno Giubilare del 450° anniversario dalla sua nascita. Egli, infatti, è eminente educatore, fondatore delle prime scuole pubbliche popolari in Europa e il suo benefico impegno - per opera dell'Ordine religioso da lui fondato, i Padri Scolopi - è stato poi continuato per oltre 400 anni, in trentaquattro paesi, in varie parti del mondo, ed oggi abbraccia circa 120.000 alunni.

La mia gioia è sentita anche per il motivo che, se non sbaglio, il primo paese fuori l'Italia, che ha beneficiato dell'opera dei Padri Scolopi, ancora durante la vita del Santo, è stato proprio la Polonia, il mio paese natale, dove i Padri Scolopi hanno svolto un ruolo importantissimo per quanto riguarda l'educazione popolare.

Nel Vangelo di oggi (Mt 18, 1-5), che ci invita a diventare come bambini per essere grandi nel regno dei cieli, abbiamo sentito anche le significative parole di Gesù: "Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me". L'importanza di esercitare un benefico influsso sui bambini è stata espressa da Gesù anche con un severissimo ammonimento: "Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare" (Mt 18, 6).

Giovanni Paolo II, nella graziosa Lettera ai bambini, scritta nel 1994 in occasione dell'Anno della Famiglia, dopo aver presentato quanto gli Evangelisti hanno raccontato dell'infanzia di Gesù e dopo aver poi descritto lo "straordinario affetto" che Gesù, diventato grande, ha mostrato per i bambini, ha esclamato: "Quanto importante è il bambino agli occhi di Gesù! Si potrebbe addirittura osservare che il Vangelo è profondamente permeato dalla verità sul bambino".

In tutto questo contesto, ci impressionano oggi particolarmente le parole del Vangelo che abbiamo ascoltato: "Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me". Queste parole, infatti, appaiono come chiave di lettura della vita e della santità di San Giuseppe Calasanzio. Nei fanciulli che vagavano per le strade del quartiere più povero di Roma, egli ha scorto Gesù bisognoso, che ha deciso di servire con tutto il cuore. Quindi, a chi nell'Ambasciata Spagnola in Roma continuava ad offrirgli l'opportunità di un canonicato, rispose decisamente: "Ho trovato in Roma la maniera definitiva di servire Dio, facendo del bene ai piccolini. Non la lascerò per alcuna cosa al mondo" (cfr G. Ausenda, Nato per educare. San Giuseppe Calasanzio, Roma 2007, p. 6).

Che cosa ha da dire questo ricordo di San Giuseppe Calasanzio ai Padri Scolopi? Penso molte cose. Vorrei enuclearne due.

a. La prima è che il giubileo che celebrate, pieno di gioia e di riconoscenza al Signore, costituisce anche un intimo invito a vivere seriamente la vostra vita religiosa, secondo quanto al riguardo ha insegnato il Santo Fondatore. La proposta di abbracciare la vita consacrata è stata da lui considerata proprio come un mezzo per renderVi educatori credibili e fruttuosi, come credibile e fruttuosa si è dimostrata l'opera di San Giuseppe Calasanzio, che per primo fra Voi si è fatto religioso con tutto il suo cuore. Il Santo ha parlato e scritto molto della vita religiosa. Non posso, però, dilungarmi su questo punto perché la predica è per tutti i qui presenti e non soltanto per i Padri Scolopi.

Vorrei, però, citare almeno alcune frasi significative del Santo: "Il religioso che vive nella religione senza dare frutto alcuno commette un furto"; "Guai al religioso che si preoccupa più della sua salute che della sua santità!"; "Non è amico di Dio chi non è amico dell'orazione" (cfr G. Ausenda, Op. cit., pp. 18-20, nn. 4, 17, 56). Queste frasi dimostrano il radicalismo cristiano vissuto dal Santo, il radicalismo che egli ha chiesto anche ai suoi seguaci. Proprio tale radicalismo rende l'educatore testimone di quello che insegna e, quindi, lo rende efficace. Mi sia permesso al riguardo citare un'altra frase del Santo: "Guai a colui che distrugge con l'esempio quelli che educa con la parola!" (ivi, n. 46).

L'unione profonda con Dio e la realizzazione della vita cristiana in modo radicale e coerente svelano il mistero della fruttuosità di tanti religiosi nel campo dell'educazione, anche di quelli che non hanno avuto una grande preparazione pedagogica. Si tratta di un principio di perenne attualità. Benedetto XVI, parlando recentemente dell'educazione alla fede, ha, fra l'altro, notato: "Per l'educazione e formazione cristiana [...] è decisiva anzitutto la preghiera e la nostra amicizia personale con Gesù: solo chi conosce e ama Gesù Cristo può introdurre i fratelli in un rapporto vitale con Lui" (Discorso all'apertura del Convegno della Diocesi di Roma, 11 giugno 2007, cpv. 6).

Quindi, il primo messaggio del Santo per Voi è di vivere la vita consacrata al cento per cento, senza devastanti compromessi.

b. La seconda cosa che, per i Padri Scolopi, che vogliono rendere fruttuoso il Giubileo, deve costituire l'oggetto dell'esame di coscienza, è il loro effettivo impegno nel campo educativo. Infatti, l'educazione è la prima e fondamentale ragione di essere del loro Ordine religioso. San Giuseppe Calasanzio ha scritto chiaramente: "Chi non ha spirito per insegnare ai poveri, non ha la vocazione del nostro Istituto" (anno 1630, n. 1429). Anzi, ha arricchito la consacrazione dei membri del proprio Ordine religioso con un quarto voto, quello di dedizione all'apostolato dell'educazione dei fanciulli e dei giovani, soprattutto poveri. Non impegnarsi, quindi, seriamente in questo campo sarebbe, per gli Scolopi, tradire il Fondatore, tradire il proprio Ordine.

San Giuseppe Calasanzio - similmente, del resto, a tutti gli autentici riformatori della Chiesa - è stato fortemente osteggiato, nella propria attività educativa, con forti calunnie e con l'incostanza di alcuni collaboratori. È stato perfino denunciato alla Santa Sede, nonché pubblicamente arrestato e portato prigioniero. Ma non si è scoraggiato, sostenuto dall'amore verso il Signore e dalla convinzione di servire Dio nei ragazzi, ossia dalla fede nelle parole di Gesù: "Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me". Anche oggi, l'educazione cristiana non è un'impresa facile. Essa trova forti ostacoli in un relativismo "diventato una sorta di dogma" (Benedetto XVI, Discorso cit., cpv. 4), in un fondamentalismo laicista che è avverso alla scuola cattolica, nelle tentazioni che provengono dai moderni mezzi di comunicazione, nel consumismo, nella profanazione della sessualità, nella secolarizzazione e nella crisi della famiglia, ecc. Ma guai se, di fronte a questi ostacoli e difficoltà, vi scoraggiaste. Questo significherebbe mancanza di fede e di amore. Quanto più forte sarà il vostro amore verso il Signore e, nello stesso tempo, la fede nelle parole di Gesù "Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me", tanto più incisiva sarà la vostra opera nel superare le ostilità e nell'educare i giovani secondo la volontà del Signore. La vita dei santi ci insegna che la vera fede e l'autentico amore sono più forti di ogni ostacolo.

I due pensieri, che ho delineato, sono legati alle due letture dell'odierna Messa. La prima lettura dal Libro di Giobbe (Gb 1, 1.13-22) invita a saper rinunciare a molte cose per poter servire il Signore, e cioè alla serietà nell'impegno religioso. Nella seconda (1 Ts 2, 3-8), invece, San Paolo dice di aver predicato ai Tessalonicesi "non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio", "non cercando la gloria umana", non avendo cupidigia, desideroso di dare ai suoi ascoltatori "non solo il vangelo di Dio, ma la [sua] stessa vita" e, in tal modo, ci sollecita all'impegno e alla generosità nell'opera di educazione.

Ho parlato finora principalmente ai Padri Scolopi; ma che cosa ha da dire questo ricordo di San Giuseppe Calasanzio a tutti noi? Anche in risposta a tale domanda vorrei mettere in rilievo due cose.

a. La prima riguarda l'importanza che dobbiamo attribuire tutti all'educazione e, in modo particolare, all'educazione religiosa. San Giuseppe Calasanzio ha riconosciuto nell'educazione dei poveri ragazzi, che ha trovato sulla sua strada, la cosa più importante da fare. Egli concepiva questa educazione in modo integrale; ossia, ha cercato di soddisfare tutti i bisogni dei giovani, da quelli materiali e professionali a quelli spirituali e religiosi. Anzi, in questo contesto ha dato un particolare rilievo ai bisogni religiosi, convinto che il fattore religioso contribuisce ad arricchire tutti gli altri aspetti dell'educazione. Ripeteva, quindi, con insistenza: "Si attenda non solo alle lettere ma, principalmente, al santo timor di Dio". Per la medesima ragione, ha ritenuto necessarie anche le pratiche religiose nelle sue scuole e le ha chiamate "Scuole Pie".

Penso che, soprattutto oggi, dobbiamo essere tutti convinti che la cosa più importante per il bene dell'umanità è, senza alcun dubbio, la corretta educazione; e che, nell'ambito di questa, ha da svolgere un ruolo del tutto particolare l'educazione religiosa. Mi vengono in mente le parole di Gesù: "Qual vantaggio, infatti, avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?" (Mt 16, 26). L'educazione religiosa, comunque, ha importanza non soltanto in rapporto alla nostra vita eterna, ma anche nella prospettiva della fruttuosa e pacifica convivenza qui sulla terra.

b. La seconda cosa che vorrei rilevare è la responsabilità di tutti per l'educazione. Padre Perrone, dopo aver notato, in un suo articolo, che il presente Anno Giubilare calasanziano viene espresso con il motto "Nato per educare", concluse: "Un po' tutti gli adulti, insomma, ci dobbiamo sentire, come Calasanzio, "nati per educare"" (Vivere la gratuità di un anno di grazia fedeli al carisma del Padre Fondatore, in L'Osservatore Romano, 17 febbraio 2007, p. 5).

Anche recentemente, Benedetto XVI ha cercato di sensibilizzare tutti i fedeli a sentirsi responsabili per l'educazione alla fede delle nuove generazioni, in una situazione nella quale "l'educazione tende ampiamente a ridursi alla trasmissione di determinate abilità, o capacità di fare, mentre si cerca di appagare il desiderio di felicità delle nuove generazioni colmandole di oggetti di consumo e di gratificazioni effimere" (Discorso cit., cpv. 4). Quindi, sottolinea il Papa: "L'intera comunità cristiana, nelle sue molteplici articolazioni e componenti, è chiamata in causa dal grande compito di condurre le nuove generazioni all'incontro con Cristo" (cpv. 7), promovendo "l'unità tra la fede, la cultura e la vita che è obiettivo fondamentale dell'educazione cristiana" (cpv. 14). Ciascuno, tenendo conto della propria situazione e possibilità, deve scorgere la propria responsabilità e il proprio ruolo nell'importante campo dell'educazione.

Mi vengono in mente le parole del profeta Daniele: "Coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre" (Dn 12, 3). Tutti siamo chiamati ad essere fra questi.

Questo Giubileo è certamente un motivo di gioia per tutto il bene che Dio ha operato tramite il nostro Santo, per la grande ispirazione che il Calasanzio ha dato alla Chiesa, per l'Ordine dei Padri Scolopi e il loro impegno di quattro secoli. Ma un giubileo finirebbe come una bella bolla di sapone, senza frutti, se non fosse unito a un esame di coscienza, se non ci sentissimo interpellati dalla figura del Santo, se non fosse un momento di profonda meditazione che apre al futuro.

La nostra gioia per quest'Anno Giubilare sia anche un punto di partenza per un rinnovato entusiasmo e un genuino impegno. Infatti, nella vita spirituale e nell'attività pastorale, chi non va avanti, necessariamente va indietro.

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