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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE
DELLA LETTERA DEL SANTO PADRE AI SACERDOTI
PER IL GIOVEDÌ SANTO 2005

INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. DARÍO CASTRILLÓN HOYOS

Venerdì, 18 marzo 2005

 

1. Se ogni Lettera del Santo Padre ai sacerdoti per il Giovedì Santo è sempre una viva testimonianza della premurosa carità del Successore di Pietro - carità volta a confermare nella fede i ministri sacri e la loro missione (cfr. Lc 22,32) -, questa Lettera lo è in un modo del tutto particolare, perché essa è firmata da un luogo segnato dalla Croce di Cristo: l’ospedale.

Sul Golgota, da quella Croce che da patibolo ignominioso è divenuta la cattedra della carità infinita e misericordiosa di Dio verso il mondo, il Verbo incarnato ci manifestò nel silenzio il totale dono di sé, dandoci il segno indelebile di quell’amore ablativo e salvifico con cui egli "ci amò sino alla fine" (cfr. Gv 13,1). Da quel luogo di cura, "ammalato tra gli ammalati" (cfr. Lettera, n. 1) il Papa, nel silenzio della sua sofferenza, ripete con l’esempio di una vita donata "sino alla fine", l’affermazione paolina: "Noi predichiamo Cristo crocifisso…potenza di Dio e sapienza di Dio" (1 Cor 1, 23-24), amando con la carità di Cristo tutti gli uomini e completando nel suo corpo quello che manca alla passione dell’unico Salvatore e Redentore (cfr. Col 1,24).

Al riguardo, come non ricordare con emozione quelle parole pronunciate due anni or sono dal Papa e rivolte al Collegio Cardinalizio, al termine del Convegno promosso per il XXV Anniversario del suo Pontificato: "Il coraggio nel proclamare il Vangelo mai deve venir meno; anzi, sino all’ultimo respiro deve essere il nostro principale impegno, affrontato con dedizione sempre rinnovata" (Giovanni Paolo II, Discorso del 18.10.2003, n. 3).

Dalla sua Croce, il Papa addita ad ogni sacerdote l’insondabile dignità, conferitagli dall’Ordinazione, di poter pronunciare le parole della Istituzione del mistero eucaristico in persona Christi, e di ricevere la capacità di trasformare la propria esistenza sacerdotale in un dono radicale per la Chiesa e per l’umanità, vale a dire di assumere una "forma eucaristica" (cfr. Lettera, n.1). L’Eucaristia, infatti, costituisce il momento culminante nel quale Cristo, nel suo Corpo donato e nel suo Sangue versato per la nostra salvezza, svela il mistero della sua identità ed indica il senso del ministero sacerdotale. Come diceva Sant’Agostino: "Siate ciò che ricevete e ricevete ciò che siete" (Discorso 272,1: Nella Pentecoste).

2. «Una esistenza profondamente "grata"» (cfr. Lettera, n. 2). In questa espressione di Giovanni Paolo II viene significata l’azione di ringraziamento innalzato a Dio dal sacerdote che rivive "il primo sentimento espresso da Gesù nell’atto di spezzare il pane" (Ibid. n. 2). Configurati a Cristo, noi sacerdoti, veniamo esortati dal Papa a trasformarci in pane eucaristico, rendendo grazie a Dio, con la nostra stessa esistenza, per l’opera di salvezza compiutasi nel suo Figlio Unigenito. In tal senso il Salmista pone sulle labbra del sacerdote quella invocazione orante colma di gratitudine "Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore" (Sal. 115,12-13).

«Una esistenza "donata"» (cfr. Lettera, n. 3): Cristo si dona nel pane e il sacerdote viene interpellato con la sua vita a farsi a sua volta pane umile e povero ma efficace e ricco perché portatore di vita eterna, a beneficio dell’intera umanità. Il Santo Padre ci ricorda l’obbedienza dell’amore, quel grato obbligo di donarci interamente al Popolo di Dio che ci è stato affidato, obbligo assunto il giorno della nostra Ordinazione sacerdotale, e che si manifesta, in modo esemplare per tutti i fedeli, nell’aderire all’autorevole discernimento dei Vescovi, imitando Cristo che nell’Ultima Cena affidò se stesso alla Chiesa.

Si tratta di una donazione della nostra automomia, anche di quella legittima, di una donazione contro la quale si ribella la cultura attuale che pretende la autorealizzazione della ragione svincolata da ogni limite. Perché l’obbedienza è anche umiltà della intelligenza. Usando una espressione di San Carlo Borromeo, rivolta ai sacerdoti, possiamo anche noi ripetere: "Se così faremo, avremo la forza per generare Cristo in noi e negli altri" (Acta Eccelsiae Mediolanensis, Milano 1559, n. 1178).

«Una esistenza "salvata" per salvare» (cfr. Lettera, n. 4). Quando il Santo Padre ci rammenta le parole di Cristo "quod pro vobis tradetur", ci aiuta a capire che esiste un inscindibile unità tra sacerdozio e vittima, tra sacerdozio ed Eucaristia: Sacerdos et Hostia! Ogni sacerdote è chiamato a configurarsi al Volto eucaristico di Cristo che lo porta ed essere, come diceva Sant’Ignazio di Antiochia "frumento di Dio per essere trovato pane mondo di Cristo" (Epistola ad Romanos, IV, 1). La nostra vita sacerdotale, "spezzata" con il Corpo di Cristo, diviene essa stessa offerta per la salvezza di tutti.

3. «Una esistenza "memore"» (cfr. Lettera, n. 5). Il Papa ribadisce che la consegna del Cenacolo è memoriale vivo che attualizza sacramentalmente la morte e resurrezione del Signore: "Fate questo in memoria di me" (Lc 22,19; 1 Cor 11,24). È l’invito del Successore di Pietro rivolto a noi sacerdoti affinché, continuando il ministero dei primi Apostoli, purifichiamo la nostra memoria per rendere il memoriale eucaristico fedele e luminoso.

«Una esistenza "consacrata"» (cfr. Lettera, n. 6). Ancora una volta, in quest’Anno dell’Eucaristia, il Santo Padre ci introduce con amore nel mysterium Paschae, che è il grande mistero della fede: con le sue parole ci inginocchiamo ai piedi dei nostri Altari in adorazione orante, intrisa di contemplazione e di ascolto dinnanzi al Corpo di Cristo veramente, realmente e sostanzialmente presente. Con la soavità della fede, veniamo invitati dal Papa a custodire con riverenza le norme liturgiche che non solamente tutelano ma fanno risplendere la sacralità del Rito. Accoglieremo, noi sacerdoti, le sue parole per essere custodi dell’Eucaristia, in una veglia continua ed in tutti gli angoli del mondo e porremo in ginocchio dinnanzi al Tabernacolo tutte le nostre solitudini.

«Una esistenza protesa verso Cristo» (cfr. Lettera, n. 7). Siamo sollecitati dal Santo Padre ad annunciare dai nostri Altari la morte del Signore e a permanere uniti alla nostre comunità ecclesiali, sicuri nella speranza, per confessare la Resurrezione del Signore fintanto che Egli venga. Nonostante il passare degli anni, rafforzati dalle parole del Papa, contageremo la giovinezza di Dio che è in noi e la irradieremo su coloro che incontreremo sul nostro cammino. Le parole di vita eterna che il Santo Padre ci offre, sono un invito a non aver paura dell’età ed un incoraggiamento a superare la stanchezza, con il vigore trasformante del pane eucaristico. L’espressione di San Paolo ben rispecchia la forza del sacerdote santo: "Ciò che è debolezza è più forte degli uomini" (1 Cor 1,25). Dalla santità sacerdotale, il Santo Padre ci assicura che sorgerà la vita nuova della Chiesa, con vocazioni che garantiranno l’ardore della nuova evangelizzazione, alimentato dal pane di vita eterna.

Da ultimo (cfr. Lettera, n. 8), il Papa ci conduce da Maria con le parole "Ecco tua Madre" e ci introduce alla scuola della grande maestra dell’Eucaristia, come ha fatto in questi anni, specialmente nella Novo millennio ineunte e nella Rosarium Virginis Mariae, per insegnarci a contemplare e a far contemplare con Maria il Volto eucaristico di Cristo.

 

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