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DISCORSO DEL CARDINALE JOZEF TOMKO 
ALLE FAMIGLIE MISSIONARIE 
PRESENTI ALL'EXPO MISSIO 2000 

Ottobre 2000

È per me una grande gioia potermi incontrare con voi nella cornice dell'Expo Missionaria, che esprime la dinamica missionaria della Chiesa in questi 2000 anni. Il Giubileo che ricorda l'incarnazione del Figlio di Dio e la sua continua presenza amorevole e creativa nella storia degli uomini è infatti la festa della missione di Cristo e della Chiesa. Nella Palestina, un piccolo paese ai confini dell'Asia, Gesù Cristo, con la sua morte e resurrezione ha fondato la Chiesa degli apostoli ed essa, Corpo di Cristo, come la definisce san Paolo, si è diffusa fino ai confini del mondo.
Questa storia dei duemila anni comprende la vita degli apostoli, dei martiri, dei santi grandi e piccoli, ma anche comprende ed abbraccia la vostra storia personale, la storia della vostra famiglia. Grazie al battesimo, infatti, noi siamo stati incorporati a Cristo, fatti una cosa sola nella comunità cristiana, confermati nei sacramenti e nella nostra vocazione.

Il cammino della Chiesa, che è la famiglia di Dio, ci ha fatto sempre più sperimentare il grande amore che Cristo ha per noi. In tutti gli aspetti della vita noi scopriamo la sua presenza consolante, la sua forza illuminante, la sua compagnia più forte della morte:  "Sia che mangiamo, sia che beviamo, sia che viviamo, sia che moriamo siamo nel Signore" (1 Cor 10, 31).

Il nostro destino è ormai reso uno col destino di Cristo, lo scopo della sua vita è anche lo scopo della nostra vita. Questa scoperta, piena di gioia, ci porta a comunicare a chiunque incontriamo "ciò che abbiamo visto e ascoltato" (1 Gv 1, 1.4)

Sì, qualunque battezzato nella Chiesa è chiamato alla missione degli Apostoli, a continuare la loro missione e testimonianza:  la missione non nasce anzitutto da progetti ben calcolati, da strategie politiche o sociologiche. Essa nasce dalla semplice esperienza piena di entusiasmo della presenza di Cristo in mezzo a noi:  "Questa vita che vivo nella carne, la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me", ci dice san Paolo nella lettera ai Galati (Gal 2, 19).

Per questo il primo contributo di una famiglia alla missione della Chiesa non sono prima di tutto grandi opere o grandi progetti, ma il semplice entusiasmo della fede che ci si comunica fra marito e moglie, fra genitori e figli. In molti paesi, come la Russia o la Slovacchia, dove la missione pubblica è stata proibita per decenni, la fede si è comunicata proprio in famiglia, dal padre e dalla madre ai figli. Ancor oggi, in paesi come la Cina, dove è in atto una grande persecuzione e controllo delle attività religiose, la famiglia, questa chiesa domestica, è spesso l'unico ambito di libertà dove i figli possono comprendere, sperimentare e amare Gesù Cristo. La crescita del numero dei cristiani in queste nazioni, mostra quanto importante sia il contributo della famiglia all'evangelizzazione.

Una famiglia cristiana, proprio perché vive la presenza di Gesù Cristo, non si chiude mai nel borghesismo, nella vita comoda o svuotata. La preghiera quotidiana in famiglia è il modo con cui siamo recuperati dalla distrazione, confortati nella fede e aperti al mondo intero. La preghiera, proprio perché fatta con Cristo, è preghiera universale. Quante vocazioni missionarie sono nate proprio dalla preghiera familiare che si prende a cuore il destino e le sofferenze di popoli che soffrono la persecuzione, la guerra, la carestia, la fame, l'ingiustizia?

Proprio la preghiera universale acuisce l'attenzione piena di carità di ogni uomo, ai suoi bisogni immediati, ma anche al suo bisogno di Dio. L'uomo di ogni cultura, razza o religione non vive solo di pane, ma di ogni parola che viene dalla bocca di Dio. Per questo, un nuovo campo missionario delle famiglie qui in Italia è divenuta la presenza di tanti extracomunitari nel nostro paese.

Occorre che la carità che mostriamo verso di loro non sia solo una generosità istintiva, ma una testimonianza cristiana. Nel mio amore per loro io comunico l'amore che Cristo vuole donare e donarsi a loro. Questo amore cristiano, espresso senza falsi ritegni, si esprime in un'attenzione più profonda di quella di un semplice assistente sociale e con una fedeltà più duratura di qualunque moto generoso.

Il desiderio di comunicare Cristo a un popolo lontano, ad gentes, porta i missionari ad appassionarsi alla lingua, alla cultura, alla storia di quel popolo. L'informazione è un'espressione dell'amore e della missione. Per questo, come richiamava Papa Giovanni, ormai beato, ogni famiglia dovrebbe avere tra le sue letture una rivista missionaria che ci spalanchi al mondo, che ci faccia apprezzare le fatiche e le gioie dei nostri missionari e ci renda meno succubi della mentalità dominante nello sguardo ai popoli e all'attualità.

L'informazione missionaria costruisce un ponte fra la nostra vita quotidiana e la vita della Chiesa dove la Chiesa è appena un germoglio. In tal modo la nostra vita quotidiana potrà partecipare alla vita di missione, offrendo a Dio quello che viviamo:  uno dei più grandi contributi alla missione è l'offerta della fatica, delle sofferenze, accolte non più come un limite o un ostacolo, ma come mezzo che Cristo usa per la redenzione del Mondo. Agli ammalati ed agli anziani si può così aprire un nuovo movente e sostegno per dare alla loro non facile esistenza un valore e un significato.

Dentro quest'offerta c'è spazio per le offerte di denaro:  la missione ha bisogno anche di questo. Ed è per noi un'occasione per affermare nei fatti che tutto ciò che abbiamo non è nostro, ma ci è dato con una responsabilità universale.

Soprattutto, dentro quest'offerta, c'è spazio per l'offerta, il dono della vita. Molte vocazioni di consacrazione totale vengono frenate in questi tempi per il troppo attaccamento dei genitori ai figli.

Il Papa ha detto, nella Redemptoris Missio:  "La fede si rafforza donandola". La nostra fede e l'unità della famiglia si rafforza donando figli al Signore. Tutte le famiglie che hanno avuto il dono della vocazione possono testimoniare che la partenza di un figlio o di una figlia per la missione non ha disgregato, ma rafforzato i legami e reso più vero il rapporto fra di loro. Anzi, molto spesso, padri e madri sono trascinati dall'entusiasmo dei loro figli a partire in missione con loro in paesi lontani.

Prima di concludere, mi preme sottolineare ancora due modi in cui la famiglia può vivere la missione. Il primo è il volontariato, in cui marito e moglie vanno a vivere insieme ai missionari loro amici o con qualche organizzazione non governativa per offrire una testimonianza di fraternità cristiana e un aiuto allo sviluppo. Queste esperienze sono ancora molto comuni e sono un arricchimento per i popoli dove si va, ma anche per le famiglie che vi vanno.

Vi è anche un incontro con altri popoli forse più fuggevole, ma non meno importante:  il turismo o i viaggi di lavoro. Anche questi sono occasione di missione. Ormai, grazie al benessere e alla globalizzazione, ci troviamo a viaggiare in molti paesi dove la Chiesa non c'è, è perseguitata, o è un piccolo germoglio. Coltivare rapporti con queste chiese e testimoniare lì dove siamo la nostra fede è un'opportunità fondamentale. Ricordiamoci che le prime comunità cristiane del Mediterraneo sono state fondate spesso da cristiani che si muovevano di qui o di là per viaggiare o commerciare. Se noi ci prendiamo delle vacanze, il nostro essere cristiano non va mai in vacanza. E ricordiamoci anche che il nostro  lavoro  ci  è  dato  per  esprimere un impegno e ricevere una ricompensa più grande e più duratura del salario mensile.

            

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